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Brevi considerazioni critiche sul nuovo intervento legislativo

Senza voler anticipare le valutazioni e le conclusioni cui si giungerà nei precedenti capitoli è opportuno fare una breve analisi critica sulle modifiche che sono state ap-portate non solo alla disciplina, ma anche all’inquadramento dell’istituto della multi-proprietà in sede di ricezione dell’ultima direttiva comunitaria.

Non può che balzare agli occhi, proprio ai fini dell’inquadramento, e - come succes-sivamente vedremo - con ripercussioni anche sulla tutela effettiva data al consumato-re, l’abolizione del riferimento al diritto reale nella definizione dell’oggetto del con-tratto di multiproprietà.

Il legislatore italiano, che aveva fatto una scelta determinata in merito, pur nella in-consapevolezza delle conseguenze in termini di efficienza economica che avrebbe comportato la sua scelta, ha preferito in seconda battuta, anziché approfittare dell’oc-casione per fare scelte ancora più coraggiose e definitive, orientate a una effettiva ed efficace tutela del consumatore, seguire l’approccio del legislatore comunitario, teso più ad armonizzare le prassi che ad effettuare sforzi definitori.

La disciplina della c.d. multiproprietà costituisce il tipo ideale di tale approccio della legislazione comunitaria, in quanto, ancor più di altri interventi normativi sintetizza la scelta programmatica di non affrontare i nodi concettuali delle materie disciplina-te, né di approntarne una regolamentazione analitica, secondo la tradizione dei diritti codificati, per soffermarsi, piuttosto, su quegli aspetti del fenomeno da regolare se-gnalati dalla prassi come snodi idonei ad alterare il gioco della concorrenza e ad ac-crescere l’asimmetria di potere contrattuale ossia ad esporre a pregiudizio gli interes-si dei consumatori e ad offrire occainteres-sioni di approfittamento ai profesinteres-sionisti. Da qui la scelta del legislatore europeo di tralasciare la definizione del contenuto del diritto

di godimento a tempo parziale, con il corredo della relativa tutela, e di concentrarsi sulla disciplina della pubblicità, delle informazioni precontrattuali, della conclusione e del contenuto del contratto di costituzione o di trasferimento del diritto in discorso, dei contratti accessori e della loro risoluzione sulla scorta del collegamento negoziale con il contratto principale, del recesso e delle garanzie bancarie o assicurative. Alla base della selezione dei punti nevralgici della c.d. multiproprietà meritevoli di disciplina si pongono, quindi, due ragioni. La prima è che l’attuale fase di sviluppo del diritto privato europeo esige di limitare gli obiettivi della legislazione comunita-ria al conseguimento di un livello strettamente necessario di armonizzazione e di evi-tare regole comuni su punti che non si rivelino strettamente indispensabili alle finali-tà di tutela del consumatore e di policy del mercato, così da non incontrare la naturale resistenza dei diritti nazionali all’abbandono delle regole maggiormente radicate nel-la loro tradizione giuridica; nel-la seconda è che l’analisi comparata delle discipline na-zionali della c.d. multiproprietà segnala che i sistemi europei conoscono forme, reali od obbligatorie, di godimento ripartito a tempo parziale di beni immobili e, pertanto, non è sul piano delle norme attributive - ossia delle norme che delineano il contenuto del diritto e ne regolano il conferimento della titolarità - che appare necessario inter-venire a maggior tutela del consumatore e del mercato, ma piuttosto sul versante del re-gime circolatorio e, dunque, dello strumento di disposizione par excellence: il contratto. Secondo una lettura critica, la direttiva 94/47 avrebbe troppo trascurato il profilo del-la sicurezza e deldel-la conservazione del diritto oggetto dell’acquisto, ma l’assunto può riferirsi anche alla direttiva 08/122 che, in virtù del principio di sussidiarietà, lascia impregiudicate le disposizioni nazionali relative ai rimedi contrattuali di carattere generale (quali nullità, annullamento, risoluzione, rescissione, risarcimento del danno etc.), alla registrazione di beni immobili o mobili e al trasferimento di beni immobili, e soprattutto alla natura giudica dei diritti oggetto dei contratti regolati dalle norme comunitarie. In effetti, negli ordinamenti governati dal sistema della pubblicità im-mobiliare in funzione dichiarativa, quali l’italiano ed il francese, la normativa comu-nitaria non ha sciolto i nodi relativi al rischio connesso all’acquisto del diritto di go-dimento a tempo parziale su di un immobile in corso di costruzione, che si traduce nell’esposizione dell’acquirente al pericolo di vedersi opposto un diritto

sull’immo-   108  

bile incompatibile con il proprio o di perdere il denaro versato in acconto in caso di disonestà o di crisi finanziaria del venditore.

In Italia, la lacuna è stata colmata, in un primo momento, dal di 669/96 convertito in 1. 30/97, che ha esteso la trascrizione anche ai contratti preliminari di immobili (art. 2645 bis c.c) e, in seguito, dal d.lgs. 122/05 che ha introdotto norme a tutela dei dirit-ti patrimoniali degli acquirendirit-ti di immobili da costruire.

La funzione di strumento di armonizzazione minima della direttiva 94/47 che si av-vale delle tradizionali norme di scopo è stata abbandonata dalla direttiva 08/122 che rappresenta uno strumento di armonizzazione massima, contrassegnata dall’in-derogabilità, e comunque demanda agli Stati membri la scelta di introdurre nei loro ordinamenti soltanto la disciplina contemplata dal legislatore europeo oppure di completarne il contenuto regolando anche gli aspetti dell’istituto non affrontati dall’intervento comunitario. L’inderogabilità rappresenta un tratto a tal punto qualifi-cante della nuova normativa da operare persino quando al contratto è applicabile non solo la legge di uno dei Paesi membri ma anche, in forza del regolamento 393/2008, la legge di un Paese terzo a condizione che uno qualsiasi dei beni immobili interessa-ti sia situato sul territorio di uno Stato membro oppure, nel caso di un contratto non direttamente collegato a beni immobili, l’operatore svolga attività commerciali o pro-fessionali in uno Stato membro o diriga tali attività, con qualsiasi mezzo, verso uno Stato membro e il contratto rientri nell’ambito di dette attività (art. 12 dir. 08/122). Il giudizio complessivo sulla dir. 94/47 aveva evidenziato alcuni punti assai delicati e lasciati irrisolti in quella sede che investivano la disciplina di dettaglio di tutti i fe-nomeni di godimento turnario di beni immobili, sia di quelli strutturati in forma di comunione sia di quelli a base societaria; l’articolazione delle facoltà spettanti al multiproprietario, mediante la configurazione del suo diritto come diritto reale sui

generis o come diritto reale rientrante nei tipi tradizionali o come diritto personale di

godimento associato alla titolarità di azioni o quote di una società o, ancora, come di-ritto collegato alla costituzione di un trust; la disciplina di dettaglio del contratto e delle garanzie; il coordinamento con le normative sui contratti del consumatore, sui contratti a distanza, sulle vendite fuori dai locali commerciali e sui contratti preliminari di immobili da costruire; il collegamento con la disciplina del credito al consumo.

Si può ben dire che la recente dir. 08/122, pur non sciogliendo tutti i i nodi abbia of-ferto più di una risposta, specie sul fronte del diritto di recesso e del collegamento negoziale con il contratto di credito al consumo. Altri aspetti oltremodo significativi sono rappresentati dall’allargamento della disciplina a fenomeni contigui al nucleo tradizione della multiproprietà (i c.d. prodotti per le vacanze di lungo termine) - se-gno di una declinante diffusione del diritto di godimento turnario e, in ogni caso, del-la sua evoluzione verso forme nuove che tra l’altro non si appuntano più soltanto sui beni immobili ma investono anche altre tipologie di beni, quali navi da crociera, rou-lotte o chiatte - nonché dall’inclusione nell’ambito applicativo delle operazioni di scambio e di rivendita, che gli artt. 2 e 5 accostano ai contratti di multiproprietà e a quelli relativi a prodotti per le vacanze di lungo termine, anche se in realtà, a diffe-renza di questi ultimi, tali operazioni non rappresentano nuovi fenomeni economici accomunabili al tradizionale diritto di godimento turnario, ma più semplicemente ri-guardano vicende legate al potere dispositivo di tale diritto o attività correlate all’acquisto o ancora alla vendita di quest’ultimo o di un prodotto per vacanze di lungo termine (art. 2 , co. 1, lett. c) e d) dir. 08/122).

Al di là di questi aspetti però non può che risultare la mancata presa di posizione sul-la natura giuridica delsul-la multiproprietà e comunque sul contenuto dei diritti nascenti dai contratti disciplinati dalla direttiva: presa di posizione, come evidenzieremo suc-cessivamente, che si rivela assolutamente necessaria al fine di garantire una più effi-cace e attenta tutela del consumatore, consentendo all’operatore del diritto che voles-se anche imbarcarsi in una voles-seppur elementare analisi economica di valutare meglio gli interessi in gioco e la loro portata.

Il dato è tanto più grave quanto si nota che il legislatore nazionale, che prima aveva, seppur con un grava mancato coordinamento, preso una posizione definitiva orien-tandosi verso il diritto reale, ha interpretato l’obiettivo della direttiva di armonizza-zione massima in senso erroneo, abolendo ogni riferimento nella disciplina al diritto reale con riferimento alla multiproprietà e di fatto non solo non ha rimediato alle problematiche che si potevano sollevare sotto il precedente regime, ma ha lasciato l’operatore del diritto in un maggiore stato di incertezza, ancor più negativo in termi-ni di efficienza economica.

 

C

APITOLO

Q

UARTO

LE SOLUZIONI ADOTTATE E L’EFFICIENZA ECONOMICA

4.1 Le peculiarità del sistema italiano

Il sistema civilistico italiano risente di una tradizione particolarmente antica. Non va dimenticato infatti, quando si richiama l’origine del nostro codice civile dalle tradi-zioni prima del codice Napoleonico, poi della pandettistica tedesca, che in generale anche queste tradizioni sono rielaborazioni e aggiornamenti della cultura civilistica romana.

Il diritto romano nasce essenzialmente da esigenze pratiche dettate dalla vita quoti-diana o dalle esigenze del commercio. Regole auree quali la responsabilità aquiliana, riassumibile nel motto “Chi rompe paga” ci restituiscono l’idea di un diritto sì basila-re e scarno di elaborazione logico scientifica, ma estbasila-remamente pratico, fruibile, im-mediato e soprattutto di facile attuabilità (e coercizione, in caso di violazione).

La sua evoluzione ha risentito sicuramente di una società che si è evoluta, strutturata e di conseguenza ha anche strutturato il suo diritto: pensiamo a come il codice napo-leonico, con l’introduzione del principio consensualistico, abbia notevolmente cam-biato la precedente logica basata sulla realità necessaria per la conclusione del con-tratto: una necessità la sua introduzione, dovuta alle esigenze del nuovo commercio borghese. Tuttavia, va rilevato, non sempre soluzioni che sulla carta agevolano la circolazione e semplificano, si rivelano maggiormente efficienti.

La dimostrazione deriva dal fatto ad esempio che lo stesso principio consensualisti-co, per quanto abbia radicalmente semplificato la logica della circolazione dei beni, specialmente quelli immobili, abbia poi sollevato altre problematiche quali quella della effettività del trasferimento, suscettibile, in assenza di una res materialmente trasferita, di vanificarsi in caso di consenso erroneamente o dolosamente prestato. La

dottrina è stata abilissima nel corso del tempo a costruire rimedi e principi capaci di ovviare a queste problematiche, il principio dell’affidamento, la disciplina dei vizi del consenso, il sistema della trascrizione al fine di rendere opponibile a terzi l’acquisto. Queste soluzioni, che è confermato dalla prassi essere efficaci, tuttavia è da discutere se siano anche economicamente efficienti. Di fronte cioè ad una onesta analisi in termini economici degli inquadramenti adottati nell’evoluzione giurispru-denziale e dettati da una evidente semplificazione richiesta dalla pratica commercia-le, ci si domanda poi se nei fatti il costo che comporta la predisposizione dei rimedi necessari a bilanciarne e correggerne gli effetti li renda anche più efficienti dei vec-chi inquadramenti.

Il risultato dell’analisi può risultare sorprendente e non dobbiamo meravigliarci se può risultare che gli antichi romani, nella loro pur elementare visione del diritto, avessero elaborato istituti e rimedi giuridici capaci di garantire una buona efficienza economica, in quanto capaci di determinare con correttezza la distribuzione dei diritti e garantirne l’effettività e la protezione.

Il fatto che il nostro ordinamento derivi da una così antica tradizione è per il diritto italiano una risorsa e non un difetto: un’antica elaborazione infatti consente innanzi-tutto di disporre di rimedi collaudati nel tempo, la cui predisposizione, non dettata dalla contingenza e dalle esigenze, anche ideologiche, del tempo si rivela idonea a soddisfare nel tempo anche intervenute e differenti esigenze, grazie a una formula-zione efficace e generica.

Si afferma in dottrina generale del diritto che l’ordinamento è un sistema completo e privo di lacune, capace cioè, di fronte a nuove problematiche e fattispecie, di disci-plinarle e risolverle grazie alla coerenza sistematica che gli sono proprie. Questa dote è sicuramente riscontrabile nel nostro ordinamento.

Tuttavia negli ultimi decenni, il subentrare di nuove esigenze economico sociali, uni-te alle nuove necessità legislative dettauni-te dall’apparuni-tenenza del nostro Paese ad orga-nismi sovranazionali quale l’Unione Europea, già comunità, hanno alterato questa antica coerenza del sistema rendendolo spesso inefficiente. Con ciò non si vuole af-fermare che il sistema sovranazionale sia un sistema inefficiente: quello che può ren-dere inefficiente una determinata disciplina è semmai l’applicazione ad un ordina-mento di una disciplina che, seppur elaborata con comprensibili intenti di tutela di

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determinate categorie o fattispecie critiche, deve rispondere alle istanze di diversi Paesi, diverse tradizioni giuridiche, diversi impianti legislativi.

Questo è un po’ quello che risulta evidente in materia di multiproprietà.

Questo istituto è sicuramente quanto di più lontano possa esistere dalla logica giuri-dica del nostro ordinamento nazionale. Come abbiamo visto nei capitoli precedenti, nasce da una prassi commerciale straniera, è stato dottrinalmente e tecnicamente ela-borato in ordinamenti diametralmente opposti al nostro in quanto espressione del si-stema del diritto comune, eppure si può dimostrare che il nostro ordinamento sarebbe stato in grado di disciplinare e regolamentare la fattispecie anche in autonomia dall’intervento comunitario. Di più, ci si può spingere sino a sostenere, come vedre-mo nel merito, che l’intervento comunitario, essendo calibrato sulle esigenze comuni dell’acquis e non sulla singola esperienza nazionale, se recepito in maniera pedisse-qua, come è avvenuto, può portare a risultati controproducenti a livello di efficienza. Per effettuare questa analisi è necessario innanzitutto premettere brevemente dei cenni su come l’analisi economica del diritto si è rapportata in analogia al diritto ci-vile, dopo, sulle basi acquisite effettuare una valutazione generale su come l’istituto del contratto sia stato alterato e in parte snaturato dall’intervento integrativo di fonti esterne a quelle della volontà delle parti e di come l’efficienza economica dello stru-mento in questione possa avere risentito delle modificazioni intervenute. A conclu-sione dell’analisi si affronterà nello specifico la scelta del legislatore delle tutele e dei rimedi in materia di multiproprietà e la loro evoluzione nel corso del tempo.