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La buona definizione e il buon ordine come ordine sintetico

Nel documento Geometria e metodo tra Cartesio e Spinoza (pagine 198-200)

4. La struttura definitoria del sapere geometrico

4.2 La buona definizione e il buon ordine come ordine sintetico

Ma, a questo punto, si capisce come il problema delle definizioni non sia più quello relativo alla loro natura essenziale o nominale – infatti non v'è essenza là dove non v'è nome – ma piuttosto quello della loro adeguatezza; questo termine, a sua volta,

354 Althusser, L'unica tradizione materialista, Spinoza, p. 42. Poche pagine più oltre, riferendosi al nominalismo spinoziano, Althusser afferma: “Non solo egli aveva rifiutato qualsiasi teoria del fondamento originario di ogni senso e di ogni verità (il cogito) funzionante sempre come garanzia dell'intero ordine stabilito […] ma era nominalista! Avevo letto in Marx che il nominalismo è la «via maestra» verso il materialismo. A dire il vero , credo proprio che il nominalismo sia non tanto la via maestra verso il materialismo, ma il solo materialismo concepibile al mondo” (Ivi, p. 60)

non potrà però più indicare l'adeguarsi della definizione all'essenza, ma indicherà piuttosto la capacità della definizione di rendere adeguatamente conto della formazione di quel concetto, fornendo al contempo un concetto chiaro e distinto. Infatti, finché si permette ad idee confuse di operare alle spalle dell'intelletto, costringendolo a misurarsi con una realtà che di quelle idee è il prodotto, nemmeno l'intelletto più attento potrà districarvisi, perché una realtà per sua natura confusa non potrà che essere conosciuta confusamente.

Così, come il dubbio poteva nascere solamente dall'azione di un concetto confuso circa la causa di una realtà contingente e quindi originariamente e definitivamente privata della possibilità di darsi secondo necessità – nonostante il sopraggiungere a

posteriori di una qualunque dimostrazione – allo stesso modo la possibilità per la mente di

produrre idee false o fittizie è legata alla stessa confusione concettuale all'interno della quale l'intelletto si trova a dover operare; confusione che mai si sarebbe determinata se l'intelletto fosse stato messo, fin dall'inizio, nella condizione di avere a che fare solamente con idee chiare e distinte. Per questo, se l'errore è figlio di concetti confusi, la confusione è figlia del cattivo ordine nell'indagine naturale, poiché si possono avere idee confuse solamente se non si è compresa la necessità di chiarire originariamente quell'idea che è causa di tutte le altre quale condizione perché le altre idee possano darsi con la chiarezza che permette di conoscerle adeguatamente. Ecco, quindi, la doppia valenza dell'ordine spinoziano: da un lato ordine vero e proprio, che dalla conoscenza della causa procede verso quella degli effetti; dall'altro metodo, in cui l'idea vera data riconosce nella definizione chiara e distinta del proprio oggetto la condizione per la propria verità, e quindi per l'instaurarsi di quella norma che permetterà di giudicare la verità delle idee future. Se il buon metodo mostra come condurre la mente nella conoscenza “riflettendo” sulla forma dell'idea vera, questo non potrà che riconoscervi l'azione di un concetto, che è fin da subito l'azione della mente, dovendo quindi giungere a vedere in questa libera attività creatrice la radice stessa della possibilità di conoscere alcunché.

Qui, però, occorre fare attenzione a non qualificare questa libertà come arbitrio, ossia a non confonderla con la facoltà di affermare tutto e il suo contrario; al contrario è proprio la possibilità per la mente di formare liberamente i propri concetti a fornire il presupposto per il costituirsi di conoscenze necessarie, per certi versi “vincolanti”, dunque sottratte una volta per tutte al destino contingente che caratterizza quelle

raggiunte per via analitica, costrette a fare i conti col presentarsi, sempre possibile, di circostanze che le mettano in discussione. É chiaro, invece, che la libertà con la quale la mente geometrica può giungere a formare le sue figure esclude a priori la possibilità del darsi di esemplari di quelle che non vi siano inclusi, permettendo poi alla conoscenza di attribuire necessariamente predicati a quel concetto, rendendo al contempo quest'attribuzione un evento tutt'altro che libero. E questo non accade certo per la capillarità con cui l'azione definitoria prende ad esaminare i singoli esemplari assicurandosi, sulla base dell'esperienza, di “estrarre” l'essenza che tutti li caratterizza; la sicurezza che le permette di predicare qualcosa su di essi senza il pericolo di incorrere in errori è data piuttosto dal suo rifiuto a riconoscere quell'essenza a ciò che, proprio per il suo rimanere escluso dal dominio disegnato dalla definizione, non può che non possederla, non potendo quindi in alcun modo minacciare l'indubitabilità delle predicazioni riferite all'oggetto così definito.

Ma se l'azione della mente è chiamata a produrre ordinatamente le proprie idee, questo significa che la rinuncia ad un riferimento estrinseco per la loro adeguatezza non va confusa nemmeno con la rinuncia ad una norma toutcourt355: la libertà dell'azione

della mente non è la sua onnipotenza.

“È certo in ogni caso che questa sua – della mente – potenza non si estende all'infinito. Infatti, quando affermiamo di una cosa alcunché, che non è contenuto nel concetto che formiamo di essa, questo indica un difetto della nostra percezione, ossia che abbiamo idee quasi mutile e tronche”356

I limiti della potenza creativa della mente, a ben vedere, non sono altro che il suo essere vincolata a creare secondo il giusto ordine, che è quindi il vero criterio di adeguatezza cui la definizione deve sottoporsi. Ma qual'è quest'ordine se non quello stesso ordine sintetico che procede dalla conoscenza della causa, e quindi a partire dalla formazione del suo concetto, per conoscere quegli effetti i cui concetti possono formarsi adeguatamente solamente se sono ricavati a partire dalla loro causa prossima? Così, se è vero che anche Cartesio sarebbe stato disposto a riconoscere quest'ordine come quello che porta alla vera conoscenza delle cose, appunto perché lo fa dalla causa in direzione degli effetti,

355 “È certo che il pensiero vero si distingue dal falso non tanto per denominazione estrinseca, ma soprattutto intrinseca. Se un artefice ha concepito con ordine una qualche opera, anche se tale opera non è mai esistita o non esisterà mai, tuttavia il suo pensiero è vero e il pensiero è lo stesso, sia che l'opera esista sia che non esista” (TIE, § 69). Sul carattere intrinseco della verità e sul rapporto che essa viene ad avere rispetto alla definizione, vedi anche la celebre lettera a De Vries (Ep. 9 del Marzo 1663).

Nel documento Geometria e metodo tra Cartesio e Spinoza (pagine 198-200)

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