Marco Tullio Cicerone è vissuto e ha composto le proprie opere, com’è noto, nel corso del I secolo a.C.; si trattò di un’epoca di grandi trasformazioni politiche, sociali e culturali, che contemplarono anche un cambiamento della condizione femminile. Le donne, in particolare le matrone, si trovarono ad agire in contesti che in precedenza erano loro preclusi, ricoprendo ruoli di elevata importanza e a contatto diretto con i principali personaggi politici del tempo. Cicerone dunque, nelle diverse opere, e in particolare nelle Verrine e nelle Filippiche, che qui interessano, nomina alcuni personaggi femminili con svariate motivazioni, talvolta connotandoli in maniera strumentale al fine di screditare l’avversario, aprendo uno spaccato sullo spazio e sul ruolo che ricoprivano. Non si tratta solo di matrone: accanto alle parenti più strette dei protagonisti della scena politica romana, Cicerone nomina anche ballerine e prostitute che erano al fianco dei suoi avversari e, sottolineandone la presenza e il margine di autonomia di cui esse godevano, persegue il fine di screditare l’avversario. Nelle orazioni dell’Arpinate dunque si trovano donne di diversi ceti sociali e di diversa provenienza geografica: dalle matrone dell’élite senatoria romana, alle nobildonne della provincia di Sicilia, fino ai personaggi femminili di più umili origini. In queste pagine l’intento sarà quello di offrire una breve contestualizzazione storica della condizione femminile nei secoli della repubblica, e soprattutto dei cambiamenti intercorsi durante il I secolo a.C., al fine di comprendere il contesto politico, storico e sociale in cui Cicerone visse ed entrò in contatto con queste donne, in modo spesso estraneo al canone della tradizione trasmesso dalle fonti; si procederà dunque all’analisi del modello della donna ideale; quindi alla discussione di alcuni episodi della storia romana in cui le donne sono diventate protagoniste attive; in seguito, si offrirà una breve descrizione delle nuove situazioni e dei cambiamenti che nella tarda repubblica comportarono un maggiore margine d’azione e d’autonomia per le matrone; infine ci si soffermerà brevemente su donne di ceti inferiori, con particolare attenzione alle mime. Molti sono gli aspetti che si potrebbero toccare, così come numerosi sono i personaggi femminili che verranno nominati; tuttavia, non si tratterà approfonditamente delle diverse vicende, da un lato perché la bibliografia citata ne fornisce un’articolata analisi, dall’altro, perché di alcuni di essi si dirà in seguito.
Per quanto riguarda alcuni aspetti della vita sociale delle donne romane, sono state studiate le questioni dell’onomastica (le matrone hanno solamente un elemento, il gentilizio declinato al femminile, che le identifica come appartenenti per l’appunto alla gens del padre), della tutela (potestas del padre o manus del marito, con i casi di eccezione come poteva essere il ius
liberorum), del matrimonio e dei rapporti sociali che con esso si instauravano (il matrimonio
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siglavano un’alleanza).87 L’età del matrimonio era fissata tra i 12 e i 14 anni; era permesso
sposarsi solo tra liberi cittadini, tuttavia è da notare che anche gli schiavi potevano intrattenere relazioni con carattere simile a quella matrimoniale – ma non formalizzate - , e potevano avere figli, i quali a loro volta acquisivano lo status di schiavi di proprietà del patronus. Il matrimonio romano era monogamico, patrilocale, patrilineare; si trattava di iustum matrimonium quando venivano rispettate le condizioni che lo rendevano legale: gli aspiranti sposi dovevano possedere il conubium, cioè la capacità di contrarre matrimonio, in base all’età e allo status giuridico. Un matrimonio poteva essere sciolto per divortium o repudium - probabilmente quest’ultimo indicava lo scioglimento del matrimonio unilaterale, a differenza del primo che si riferiva alla comune volontà degli sposi.88
Per quanto riguarda gli spazi che potevano frequentare, in casa le donne non occupavano i locali aperti alla frequentazione di persone esterne alla famiglia, come per esempio i clientes; erano infatti gli uomini, i patroni, di mattina a presenziare nell’atrium per ricevere la salutatio e in generale a curare il rapporto clientelare nelle diverse occasioni. Nei luoghi pubblici, invece, le donne potevano frequentare teatri e terme, inoltre prendevano parte in qualità di pubblico alle processioni trionfali, ai funerali, alle feste religiose.89
Le fonti che parlano di episodi che vedono come protagoniste le donne spesso nascondono finalità diverse. Famosi casi di attenzione rivolta dagli storiografi a personaggi femminili si attestano, per esempio, in occasione dei processi in tribunale. Ben note sono le vicende in cui alcune matrone sono giudicate per l’accusa di avvelenamento, verificatisi in diversi momenti della storia romana.90 Inoltre, le donne potevano essere processate per stuprum e probum: lo stuprum consisterebbe in una relazione sessuale esterna al matrimonio – invece l’adulterium è
commesso all’interno di un matrimonio; il probum è un reato di valenza più estesa, che identificherebbe ogni reato attinente alla sfera erotica condannabile sia sul piano giuridico, sia su quello morale.91
87
Molti aspetti sono esaustivamente trattati in Cenerini 2002 (2009).
88
Cfr. Rawson 2006, pp. 332-338; Cenerini 2002 (2009), pp. 39-43. Per alcuni casi di repudium in età tardo- repubblicana, cfr. Mastrorosa 2016.
89
Cfr. Rawson 2006, pp. 338-340.
90
Per questo argomento si vedano più approfonditamente Cavaggioni 2004, pp. 53-82; Valentini 2012, pp. 83-101.
91
Per stuprum, si veda Modestin. D. 48, 5, 35. Per probum, Ulp. D. 50, 16, 42. Per un’analisi dei processi, cfr. Valentini 2012, pp. 104-117.
III. 1) La donna ideale
È da notare come, analizzando fonti di diversa tipologia, ad esempio letterarie od epigrafiche, emerga in maniera netta un modello femminile univoco, che si estende immutato nei secoli: le donne appaiono legate alla sfera domestica, le loro virtù sono quelle tipiche dell’ambito privato. La donna ‘ideale’ che la tradizione riporta consiste in una figura che si attiene ai dettami del mos
maiorum, ed è questo il modello cui dovevano guardare le donne ‘reali’. Si può notare, a titolo
esemplificativo, come alcune delle caratteristiche che la donna ideale possiede siano elencate nel cosiddetto “elogio di Claudia”, un documento epigrafico, oggi perduto, risalente alla fine del II secolo a.C.:
Straniero, ho poco da dire: fermati e leggi. Questo è il sepolcro non bello d’una donna che fu bella. I genitori la chiamarono Claudia. Amò il marito con tutto il cuore. Mise al mondo due figli: uno lo lascia sulla terra, l’altro l’ha deposto sotto terra. Amabile nel parlare, onesta nel portamento, custodì la casa, filò la lana. Ho finito. Va’ pure.92
Brevemente, andrà rilevato come gli eventi principali della vita della defunta siano individuati nel matrimonio e nella maternità, mentre le caratteristiche per cui è lodata sono il possesso di
sermo lepidus (il parlare misurato) e incessus commodus (il portamento, che deve indicare la
condizione sociale e la virtù femminile). L’azione di Claudia si colloca all’interno dell’abitazione ed assolve ai compiti tradizionali: domum servavit, lanam fecit.
Allo stesso modo, rispetto all’elogio di Claudia, così nella laudatio Murdiae si può rintracciare un modello preciso. Si tratta di un’iscrizione databile alla fine del I secolo a.C., di cui si sono conservate circa trenta righe.93 A distanza di pressappoco cento anni rispetto alla precedente
iscrizione, le qualità della defunta sono ancora le medesime: si può notare l’applicazione di un canone di comportamento fissato dalla tradizione cui le matrone dovevano conformarsi.94 Gli
aggettivi che sovente accompagnavano la commemorazione della defunta erano quasi sempre gli stessi, e descrivevano non tanto le specificità della donna compianta, quanto piuttosto la vita e il carattere di una donna idealizzata: tra i più frequenti, si pensi a casta, indicante il fatto che la donna aveva rapporti sessuali a fini procreativi all’interno del matrimonio; pudica, ossia modesta; pia, osservante della tradizione e dei culti; frugi, semplice; domiseda, attestante il fatto
92
CIL I2 1211 (= ILLRP 973): Hospes quod deico paullum est, asta ac pellege. / Heic est sepulcrum hau pulcrum
pulcrai feminae. / Nomen parentes nominarunt Claudiam. / Suom mareitum corde deilexit sovo. / Gnatos duos creavit: horunc alterum / in terra linquit, alium sub terra locat. / Sermone lepido, tum autem incessu commodo. / Domum servavit, lanam fecit. Dixi. Abei.
93
CIL VI 10230.
94
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che le donne dovevano stare in casa; lanifica, indicante il lavoro tipico delle matrone, cioè il filare la lana.95
Non risulta dunque particolarmente agevole ricostruire la vita e la quotidianità di donne reali dell’epoca alto e medio repubblicana, considerato lo scopo moralmente edificante con cui molti scrittori usavano miti e leggende del passato per indicare i modelli di comportamento cui le matrone dovevano guardare. Si può pensare alla leggenda di Lucrezia, o anche all’episodio che vede come protagonista Virginia; in entrambi i casi si può ravvisare un motivo politico in sottofondo, ma anche l’intenzione di trasmettere un preciso ideale di castitas.96
III.2) Matrone nella tarda età repubblicana
A fronte di questo modello, tuttavia, sono attestati casi in cui, già in epoca precedente agli anni della tarda repubblica, le matrone uscirono dalla sfera domestica e diventarono attrici politiche in prima persona, ribaltando così le convezioni del mos maiorum: agirono al di fuori della casa, si organizzarono in un gruppo collettivo, presero parola in luoghi pubblici, non avevano nessun tutore che ne guidasse l’azione. Un esempio che si può considerare a questo proposito si collega alla vicenda dell’abrogazione della lex Oppia, varata nel 215, in un momento di grave difficoltà per Roma nel periodo della seconda guerra punica: tale legge proponeva che le donne limitassero l’esibizione eccessiva del lusso in considerazione delle gravi perdite che in quel momento interessavano la repubblica. Nel 195 a.C., quando era ormai lontano il pericolo rappresentato da Annibale, i tribuni Marco Fundanio e Lucio Valerio proposero di abrogare l’anacronistico divieto; tuttavia incontrarono la ferma opposizione di alcuni senatori. Le donne dunque occuparono le strade e manifestarono affinché la legge venisse cancellata, suscitando un acceso dibattito in Campidoglio.97 Notissimo è il discorso con cui Catone difese la propria
posizione: considerava questa vicenda come indizio della dissoluzione del sistema familiare romano, dato che le donne erano riuscite a contestare l’autorità del pater familias anche nel foro. L’oratore poneva l’accento sul fatto che le donne si fossero organizzate “in segreto” e che si fossero rese protagoniste di un’azione collettiva in maniera autonoma, indipendentemente dall’approvazione dei loro familiari di sesso maschile:
Del resto neppure in casa sarebbe per voi conveniente interessarvi delle leggi di cui qui si propose l’approvazione o l’abrogazione, se il ritegno trattenesse le donne nei limiti dei loro diritti. I nostri antenati vollero che le donne non trattassero alcun affare, nemmeno privato, senza la garanzia
95
Cfr. Cenerini 2002 (2009), p. 33.
96
Cfr. Rawson 2006, p. 326.
97
di un tutore, che rimanessero sotto il controllo dei padri, dei fratelli, dei mariti; noi, se così piace agli dei, lasciamo ormai che si occupino anche di politica, che prendano parte alla vita del foro, alle pubbliche riunioni, alle elezioni.98
Fu difensore delle posizioni delle matrone il tribuno Valerio, che considerava la lex Oppia come un provvedimento d’emergenza nel contesto della guerra annibalica – contrariamente a Catone, il quale invece ne sottolineava il carattere di legge suntuaria. Nonostante questo, Valerio e Catone erano concordi nel definire lo specifico ambito di intervento che poteva competere alle matrone, così come ciò che in nessun caso spettava loro:
(…) né magistrature, né sacerdozi, né trionfi, né insegne militari, né premi o bottino di guerra possono toccare loro; la raffinatezza, i monili, gli ornamenti: queste sono le insegne delle donne, di queste godono e si vantano, questa i nostri antenati chiamano eleganza femminile.99
Dunque, durante questo dibattito viene messo in luce come <<qualsiasi accostamento donne – ambito politico fosse da considerarsi come un’indebita intromissione dell’elemento femminile in una sfera di competenza prettamente maschile e, quindi, venisse implicitamente valutato come
extra mores>>.100 Con questa vicenda si può notare da un lato come le donne fossero capaci di
organizzarsi autonomamente dalla tutela maschile per rivendicare pubblicamente i propri diritti, dall’altro, come nessuno avesse mai messo in discussione il fatto che ad esse non potesse spettare nessuna prerogativa di carattere politico o militare.
Si è detto che il I secolo a.C., periodo in cui visse Cicerone e compose le proprie opere, è un periodo di importanti cambiamenti che sconvolsero il sistema politico e sociale romano: dopo la morte di Cesare, si aprì una fase di forte instabilità che porterà ad una diversa situazione politica e ad un nuovo assetto istituzionale, ossia l’impero. Eventi tragici e destabilizzanti come le guerre civili, le proscrizioni, la mancata osservanza delle regole per seguire un cursus honorum rispettoso delle leggi, lo sconvolgimento causato dall’assenza di uomini in città avevano portato le matrone a dover assumere atteggiamenti più dichiaratamente attivi, con cui guidare la propria famiglia nel corso di anni difficili, cercando di assicurare la sopravvivenza degli uomini loro legati da un lato, di garantire l’integrità del patrimonio dall’altro, trovandosi ad agire in contesti ad esse
98 Liv. XXXIV, 2, 11: Quamdam ne domi quidem vos, si sui iuris finibus matronas contineret pudor, quae leges hic
rogarentur abrogarenturve, curare decuit. maiores nostri nullam, ne privatam quidem rem agere feminas sine tutore auctore voluerunt, in manu esse parentium, fratrum, virorum; nos, si diis placet, iam etiam rem publicam capessere eas patimur et foro quoque et contionibus et comitiis immisceri. Cfr. Valentini 2012, pp. 8-19.
99
Liv. XXXIV 7, 8-9: (…) non magistratus nec sacerdotia nec triumphi nec insignia nec dona aut spolia bellica iis contingere possunt: munditiae et ornatus et cultus, haec feminarum insignia sunt, his gaudent et gloriantur, hunc mundum muliebrem appellarunt maiores nostri.
100 Così Valentini 2012, p. 21. Più in generale, sul dibattito del 195 a.C. cfr. Rawson 2006, pp. 326-327; Valentini
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precedentemente preclusi, o in via di trasformazione. La domus, spazio privato tradizionalmente riservato alla frequentazione femminile nella parte più riservata, era diventata luogo di riunioni tra membri delle factiones, in cui si prendevano decisioni strategiche per il futuro delle parti; ma le donne si trovarono ad agire anche nel foro, dove prendevano parola pubblicamente e incontravano personalmente magistrati di primo piano, e in generale in contesti di carattere politico e militare. In questa situazione Cicerone conobbe donne vicine ai più importanti protagonisti della vita politica e con loro si rapportò direttamente in diverse occasioni; la rappresentazione che l’Arpinate offre, nelle proprie opere, di queste matrone talvolta indica autentica stima per esse, talvolta risulta viziata da fini denigratori con cui sminuire la credibilità dell’avversario, soprattutto nel caso delle Verrine e delle Filippiche. Cicerone dunque deve parlare di personaggi femminili che il più delle volte sconvolgono il modello della donna ideale; si tratta di donne realmente attive e protagoniste nel nuovo contesto storico e sociale della tarda repubblica, e come tali l’oratore le dipinge, soffermandosi in modo talvolta pretestuoso sul sovvertimento del mos maiorum.
Le vicende del I secolo a.C. sono note: dapprima le riforme di Mario istituirono un legame senza precedenti tra il generale e i suoi soldati, che si sentivano non più difensori dello stato ma piuttosto obbedienti alle ambizioni del loro generale. Questa lealtà nei confronti del comandante sarà uno degli elementi che condurranno alle guerre civili, in cui i soldati non combattevano più contro popoli stranieri ma contro altri romani. Quindi si verificò l’ascesa di Silla, che comportò una “riorganizzazione” dello Stato attuata tramite proscrizioni, confische territoriali, modifica di figure istituzionali. Il tentativo di riforma sillano non ebbe fortuna: alla fine fu Cesare a riuscire ad avere la meglio sugli avversari, attuando una linea politica meno conservatrice che cercava di conciliare le diverse partes; ma anche il suo progetto fu destinato al fallimento, tanto che l’opposizione si concretizzò nel suo assassinio. Infine, dopo aver eliminato ogni nostalgico tentativo di restaurazione repubblicana, saranno gli stessi eredi di Cesare, originariamente parte di un’unica factio, a condurre una guerra civile che porterà al potere assoluto di Ottaviano sullo stato romano.101 Divenuto Augusto, l’erede di Cesare procederà nominalmente alla restitutio rei
101
Un racconto dettagliato delle vicende risulterebbe prolisso in un contesto in cui l’attenzione è rivolta al cambiamento della condizione femminile nell’età tardo repubblicana. Si sono date solamente le linee fondamentali del resoconto storico, considerata anche la notorietà dei fatti, che possono essere approfondite in Cristofoli – Galimberti - Rohr Vio 2014, in particolare si vedano pp. 17-135.
publicae; in realtà sconvolse l’ordinamento repubblicano sotto molteplici aspetti, creando una
nuova forma di governo destinata a durare nei secoli.102
Accanto agli sconvolgimenti di natura politica e militare, in età tardo repubblicana si registrò per le matrone un cambiamento eccezionale della loro condizione: poterono ad esempio accedere a spazi di azione pubblica, anche politica, in virtù dell’assenza dei protagonisti maschili impegnati nelle guerre civili. Le donne impostavano le loro azioni entro il canale della mediazione familiare, ritenuto adatto per loro in quanto le collocava in una dimensione che si inseriva in un contesto di natura privata; ma in seguito si organizzarono collettivamente e sfruttarono una rete relazionale che andava al di fuori delle mura domestiche.
Prima di prendere in esame qualche caso di età tardo repubblicana, andrà tuttavia considerato come già nel II secolo a.C. si possano rintracciare i primi segnali di un mutamento della condizione femminile: in questo periodo infatti sembra giungere a compimento << (…) un lungo processo di evoluzione della condizione femminile romana, attraverso (…) la diffusione del matrimonio sine manu, il progressivo e altalenante riconoscimento giuridico delle capacità patrimoniali e il contestuale indebolimento della tutela mulierum. (…) Un perdurante sforzo bellico, quale quello romano in età repubblicana, aveva decimato la popolazione maschile cittadina e, giocoforza, alterato il rapporto tra i sessi.>>103 Infatti, con le guerre di conquista
terminate in questo periodo giunsero a Roma non solo nuove ricchezze, che peraltro non erano più esclusivamente fondiarie, ma anche nuove idee soprattutto dal mondo ellenistico. L’afflusso di maggiori entrate ebbe come conseguenza la disponibilità, per le famiglie dell’élite, di spendere maggiori somme, e dunque di investire anche nell’educazione delle figlie di sesso femminile. Le donne poterono in questo periodo godere di un’istruzione e di un’alfabetizzazione di un livello mai raggiunto in precedenza; grande importanza venne assegnata inoltre alla conoscenza del greco.104 Più in generale, nel corso del II secolo l’educazione dei fanciulli venne fatta avvicinare
ad un modello grecizzante, favorendo in tal modo il bilinguismo diffuso. Grazie anche all’influsso del mondo ellenistico, tra il II e il I secolo a.C. si registrarono dunque, non solo per le donne ma in generale per tutti i giovani in età scolare, le maggiori innovazioni in campo educativo: venne adottato dagli aristocratici romani l’ideale greco della enkuklios paideia; le artes liberales (grammatica, retorica, dialettica, geometria, aritmetica, musica) vennero considerate
102
Dopo la restitutio rei publicae iniziò una fase di pace, escludendo guerre esterne ed oppositori politici, con cui Augusto procedette a riformare lo stato romano. È da notare come la linea femminile diventerà fondamentale nella questione della successione. Per un’analisi completa, cfr. Marcone 2015.
103
Così Cenerini 2002 (2009), p. 57.
104
Per il tipo di educazione cui potevano accedere le ragazze in età pre-maritale e le donne dopo il matrimonio, cfr. Hemelrijk 1999 (2004) pp. 18-32.
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imprescindibili nella formazione di un futuro uomo che agirà in pubblico, soprattutto in campo politico.105 Per le donne, il nuovo tipo di educazione cui esse potevano accedere determinò la
possibilità per loro di prendere parte, a fianco dei mariti o degli uomini della loro famiglia, ad occasioni pubbliche quali banchetti, spettacoli teatrali e, probabilmente, recitazioni pubbliche.106 La partecipazione delle donne a tali momenti di ritrovo poteva dunque costituire