Negli ultimi 35 anni la Cina ha conosciuto uno sviluppo straordinario puntando sulle produzioni destinate all’esportazione più che sui consumi interni e sugli investimenti diretti esteri, che hanno creato posti di lavoro per 45 milioni di persone, riuscendo a crescere ad un ritmo annuale del 9,7%, togliendo circa 600 milioni di suoi cittadini dalla povertà (Lubello A., 2015).
Quando però è scoppiata la crisi finanziaria del 2008, dato questo orientamento dell’economia verso le esportazioni, l’impatto più duro è stato avvertito sul commercio, sugli investimenti e sulla produzione, in particolare in termini di riduzione delle esportazioni, in quanto è diminuita la domanda esterna, principalmente la domanda di Stati Uniti, Europa e Giappone che rappresenta il 46% delle esportazioni cinesi.
La figura 5 mostra in che percentuale il conto delle partite correnti hanno contribuito al PIL col passare degli anni, e si può facilmente notare che fino al 2008 il surplus delle partite correnti rappresentava una cospicua quota del PIL, mentre a partire dal 2009, a causa della riduzione della domanda esterna e della conseguente riduzione delle esportazioni, ha fatto sì che si riducesse anche l'incidenza del conto delle partite correnti nel PIL.
Per quanto riguarda gli investimenti, a partire dal 2008 gli Investimenti Diretti Esteri verso la Cina hanno registrato una tendenza decrescente, infatti nei primi cinque mesi del 2009 sono
diminuiti del 20,4% rispetto allo stesso periodo del 2008, attestandosi a 34.050 milioni di dollari e a maggio dello stesso anno sono diminuiti di un ulteriore 17,8%, scendendo a 6.380 milioni di dollari, in conseguenza dell’ottava caduta mensile consecutiva.
La crisi finanziaria ha avuto un effetto notevole sulla crescita, causando il rallentamento più forte a partire dalle riforme di trent’anni fa e ha reso necessario l'abbandono del modello di crescita basato sulle esportazioni, per passare a un’economia in cui contano molto di più i consumi interni, ciò però richiede molto tempo e determinate scelte politiche.
In virtù di quanto detto, il presidente segretario del Partito, Xi Jinping, e il premier Li Keqiang, hanno avviato un piano di riforme che ha toccato l’agricoltura, la polizia e il settore delle imprese private promuovendo delle misure per rendere più facile la loro vita e per far imboccare una nuova via al sistema produttivo cinese, passando ad un modello misto pubblico-privato in cui il mercato sia in grado di allocare in maniera efficiente prezzi e risorse e la crescita economica venga stimolata dalla domanda interna dei consumatori.
La leadership cinese già prima della crisi del 2008 aveva cominciato a porsi il problema di un maggior equilibrio e di una maggiore qualità dello sviluppo economico. Infatti con il Decimo Piano Quinquennale 2000-2005, la leadership centrale ha mirato al tentativo di correggere il problema del basso livello di consumo privato, richiedendo ai governi locali di aumentare il salario minimo e di introdurre una politica di riduzione delle tasse per i cittadini delle aree rurali. Questo con l'obiettivo di ridurre la pressione fiscale uniformandola per tutte le città ed i villaggi, eliminando le tasse informali e adeguando i trasferimenti da parte dei governi di livello superiore, a cui si aggiunse un aumento sensibile della spesa pubblica nei settori sociali come la sanità e l’istruzione.
Ma è soprattutto con l’Undicesimo (2006-2010) e il Dodicesimo Piano (2011-2015) che la Cina ha dimostrato di voler imprimere una svolta vera e propria nel suo sentiero di crescita. Dal punto di vista sociale è intervenuta migliorando i servizi assistenziali, e ha chiesto alle imprese statali di non distribuire i dividendi in modo da poterli utilizzare per aumentare la copertura pensionistica; dal punto di vista economico invece ha aumentato la flessibilità del tasso di cambio dello Yuan, ha introdotto una tassa sui carburanti e ha aumentato gli investimenti pubblici per rendere l’agricoltura più moderna.
Il Dodicesimo Piano Quinquennale, che copre l’economia cinese dal 2011 al 2015, esalta ancora di più il miglioramento degli standard di vita della popolazione ed è un piano innovativo perché da' più importanza all'innovazione, stanziando 609 milioni di dollari per sostenere le imprese in grado di produrre innovazione e lo spostamento di molti processi produttivi verso le regioni centrali per favorire l'occupazione e contrastare l'immigrazione interna.
Il rallentamento della crescita a cui ha contribuito il rallentamento dell'economia mondiale, non è stato uniforme in tutto il paese, ha infatti avuto luogo soprattutto nelle province costiere in quanto producono oltre l'85 % delle esportazioni cinesi, mentre le province interne hanno mantenuto tassi di crescita relativamente elevati, creando una convergenza all'interno del paese.
Di conseguenza, il coefficiente di Gini nazionale del reddito personale è sceso da 0.481 nel 2010 a 0,473 nel 2013.
In questo grafico si può notare che fino al 2008 il coefficiente di Gini presentava un trend crescente, mentre dal 2009 in poi presenta una tendenza crescente verso il basso.
Quindi si può dire che il riequilibrio, dovuto alla rapida riduzione della dimensione del surplus delle partite correnti della Cina, abbia aiutato la Cina a migliorare la sua distribuzione del reddito e ha accelerato la regolazione del settore manifatturiero cinese, in quanto la produzione del settore manifatturiero, in percentuale del totale nazionale, ha cominciato ad abbassarsi nel 2013.
Come mostra il grafico sottostante, nel 2013 il settore dei servizi ha superato quello industriale nella ripartizione della produzione economica.
Nello specifico il grafico mostra che nel 2000 i servizi contavano per il 39%, l’industria per il 45,9%, e l’agricoltura si era assestata al 15,1%, mentre tredici anni dopo, nel 2013, il settore primario è sceso al 10,1%, l’industria è scesa al 43,89 % e i servizi sono saliti al 46,9%. Il passaggio dall'industria ai servizi avvenuto tra il 2012 e il 2013, è un segnale che la Cina, attraverso le recenti politiche, sta accelerando la maturazione dell'economia cinese, trasformando l'economia cinese in un'economia più basata sui servizi che permette di far aumentare la quota del lavoro nel reddito nazionale e soprattutto fa aumentare il consumo interno. In conformità, il consumo interno in percentuale del PIL, che era stabile nel 2008, ha finalmente cominciato a salire nel 2013.
Inoltre a partire dal 2010, si è anche notato un rallentamento dei settori delle infrastrutture e delle abitazioni, segno questo che la Cina sta cambiando i settori di destinazione degli investimenti. Ad esempio sta rafforzando la capacità di innovazione accelerando la spesa in Ricerca e Sviluppo e sta migliorando il capitale umano tra i giovani in quanto, attualmente, il 27% di giovani tra i 18-22 anni ha una formazione universitaria e si prevede che entro il 2020, il numero raggiungerà il 40 per cento.
3.2: L'inversione di tendenza del risparmio aggregato
Una delle caratteristiche del modello di crescita che per anni ha garantito alla Cina un tasso di crescita a due cifre è stato l'alto risparmio. Quest'ultimo, accumulato a partire dall’inizio del nuovo millennio, è dovuto all'alto risparmio nel settore delle imprese, unito ai sempre più elevati investimenti pubblici. Le imprese generavano circa un quarto del reddito complessivo ed una parte molto rilevante delle imprese era controllata dallo Stato. Venendo direttamente reinvestito, senza passare mai attraverso le famiglie, si trasformava in risparmio del settore pubblico, a cui si aggiungeva quello delle famiglie, il cui tasso di risparmio era 30% del reddito disponibile che equivale a circa il 18% del PIL.
Il grafico in figura 8 mostra l'elevato tasso risparmio, come è cresciuto nel tempo e in che proporzione le tre componenti del risparmio aggregato hanno contribuito a ciò. Il grafico evidenzia la necessità di alcuni interventi per ridurre l’ammontare dei risparmi cinesi, in quanto l'alta propensione al risparmio riduce il contributo della domanda interna nella crescita del paese, necessario per un riequilibrio dell'economia cinese.
Negli anni di forte crescita, a questa elevata propensione al risparmio si affiancava la graduale riduzione della quota di reddito destinata alle famiglie, quota questa potenzialmente disponibile per il consumo.
Nonostante l'aumento del reddito, la quota di reddito destinata alle famiglie andava diminuendo dal 70% nei primi anni novanta al 60% a metà dello scorso decennio, anche per questo motivo i consumi rappresentavano solo il 40% del PIL, una percentuale decisamente più bassa rispetto ai paesi avanzati.
Ma l'aumento dell'incidenza del settore dei servizi ha permesso di sbloccare la fase di stallo dei consumi, cinesi facendoli aumentare e ha fatto aumentare l'incidenza della quota dei consumi nella crescita del PIL, che è aumentato da circa un terzo nel 2007 al 52% nel 2012 (A. Lubello, 2015).
Riguardo l'inversione di tendenza del livello dei consumi, da un lato Huang e i suoi collaboratori (2010), adottando come nuovo tasso di crescita per il consumo, la media ponderata del consumo legato alla crescita vendite al dettaglio e la crescita delle vendite di servizi, rivelano che la quota di consumo di PIL è sceso per gran parte degli ultimi dieci anni, ma ha rimbalzato dal 48% del 2008 al 52% nel 2010, rispetto alla stima ufficiale del 47% nello stesso anno. Dall'altro lato, David Li (2012) ha condotto un analogo studio in cui, ricalcolando la spesa per consumi delle famiglie cinesi, è arrivato alla conclusione che la quota dei consumi delle famiglie rimbalzato dal 36% del 2007 al 38,5% nel 2011.
In effetti l'inversione di tendenza dei consumi, il rapido aumento dei salari, aumentati anche ad un ritmo tale che per molti anni il reddito delle famiglie è cresciuto più velocemente del PIL, i progressi compiuti nell'ambito del welfare, come l'introduzione di una qualche forma di assicurazione sanitaria al 95% della popolazione e il diritto alla pensione ad un numero crescente di persone, il finanziamento (nel 2010) di 6 milioni di alloggi popolari, la riforma dell’hukou, che ha introdotto diritti di cittadinanza per i migranti e le prime misure di costruzione di un sistema di welfare universale, hanno contribuito tutte alla riduzione del risparmio.
La riduzione del risparmio precauzionale, e la riduzione del risparmio aziendale hanno contribuito all'inversione di tendenza del tasso di risparmio aggregato, che è passato dal 53% registrato nel 2008 al 46.004 %, tasso di risparmio corrente (Econ. Stats., 2016).
Dato che ora la popolazione in età da lavoro si sta effettivamente riducendo, a causa dell'invecchiamento della popolazione e dato il rapido aumento dei salari, è probabile che questo trend in crescita del settore dei servizi si rafforzi, stimolando ulteriormente la crescita
della spesa per il consumo privato.
Inoltre visto che l'inversione di tendenza dei consumi privati si sbloccata in gran parte grazie allo sviluppo del settore dei servizi, ciò dimostra che l'aumento dell'importanza del settore dei servizi si sta rivelando un buon mezzo per riequilibrare l'economia cinese.
Vi sono numerosi fattori che dimostrano che i servizi, come il commercio all’ingrosso e al dettaglio, le spese per hotel e ristoranti, per la sanità, per l’educazione, i servizi di leasing, i servizi commerciali e i servizi finanziari e l’information technology, continueranno a trainare la crescita economica cinese ad esempio: la graduale riduzione dell'altissimo tasso di risparmio, il fatto che la quota dei servizi nella spesa per il consumo privato è cresciuta e la quota dei beni della spesa per consumo si è ridotta, il rapido aumento dei salari, dovuto all'aumento della produttività totale dei fattori produttivi e il tasso di cambio.
Il tasso di cambio per anni ha contribuito a incrementare i profitti della produzione industriale a spese dei servizi, dirottando gli investimenti verso l'industria e lontano dai servizi, in quanto la sottovalutazione della moneta cinese ha rappresentato un sussidio alle esportazioni e allo stesso tempo una tassa implicita sui servizi, largamente non commerciabili.
Però nel 2005 si è iniziato a percepire un miglioramento dovuto alla sua maggiore flessibilità, e negli ultimi anni la rivalutazione della valuta cinese è proseguita, come riconosciuto anche dal Fondo monetario internazionale e dal Tesoro americano a metà del 2015 e ciò ha permesso alla quota dei servizi negli investimenti di aumentare per il terzo anno consecutivo, arrivando a costituire quasi il 60% degli investimenti (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, 2016).
3.3: L'impatto della crisi del 2008 e la risposta della Cina
La crisi finanziaria, causata dalla crisi dei subprime americana, si è diffusa a livello globale nell'autunno del 2008 solo che, dato che il sistema finanziario cinese era parzialmente chiuso, poco globalizzato, sottoposto a severi controlli e in fase di sviluppo, si pensava che la crisi finanziaria non avrebbe causato rilevanti conseguenze negative, invece subì un crollo del tasso di crescita della propria economia, in particolare nel quarto trimestre 2008, scese al 6,8% contro l’11% dello stesso periodo del 2007 (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, 2016).
La Cina è stata contagiata dalla crisi finanziaria attraverso il canale commerciale e quello finanziario. Per quanto riguarda il settore commerciale, la Cina si è trovata di fronte ad un drastico calo della domanda di beni da parte dei paesi maggiormente colpiti dalla crisi, come Europa e Stati Uniti, che ha causato da un lato il calo della produzione industriale e la conseguente riduzione del prezzo dei beni stessi, dall'altro la riduzione delle esportazioni e l'arresto del tasso di crescita delle esportazioni, che dal 9% registrato nel secondo semestre del 2008 al 6,8% registrato nel terzo trimestre, che è ben al di sotto del 13% registrato nel 2007 nello stesso periodo (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, 2016).
Inoltre, il peggioramento della situazione economica dei paesi maggiormente colpiti dalla crisi finanziaria ha causato anche un forte calo degli investimenti diretti esteri in entrata, che diminuirono di ben 30 miliardi di dollari rispetto al 2007, contribuendo alla riduzione del tasso di crescita dell'economia cinese (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, 2016). Per quanto riguarda il settore finanziario, la Cina aveva investito gran parte degli elevati risparmi nel debito americano fino a detenere nel 2008 un quarto dei buoni del tesoro americano e il 70% delle riserve in valuta estera detenute dalla Cina era in dollari statunitensi. In particolare, le principali banche cinesi possedevano titoli derivati basati sui mutui subprime americani e 25,3 miliardi di dollari in titoli di Fannie Mae e Freddie Mac, banche che sono salvate dal Ministero del Tesoro americano, ma tra queste la banca cinese più esposta è stata la Bank of China che nell'agosto 2008, bruciò circa 2,8 miliardi di dollari in titoli di Lehman Brothers e gli altri titoli legati ai mutui subprime.
A primo impatto, già prima che la crisi si espandesse a livello globale nell'autunno 2008, gli Stati Uniti cercarono di fronteggiare la critica situazione adottando misure monetarie espansive, che prevedevano l'abbassamento del tasso di interesse vigente nel mercato monetario da 5,25% a zero. Ma ciò non è stato sufficiente per tranquillizzare i mercati e rilanciare l'economia, perciò, dalla fine del 2008 la Fed ha deciso di adottare il Quantitative Easing, un programma che permetteva alla Banca Centrale di creare moneta a debito e di iniettare liquidità nel sistema economico e finanziario attraverso operazioni di mercato aperto, ad esempio con l’acquisto titoli sui mercati secondari, titoli garantiti da ipoteche e titoli pubblici.
Il programma si è articolato in diverse ondate di acquisti: la prima ondata (QE1), iniziata nel 2008 e terminata all'inizio del 2010, si è concretizzata nell'acquisto di 100 miliardi di dollari di debito di imprese private con supporto governativo, ad esempio Fannie Mae e Freddie Mac,
di 500 miliardi di MBS e qualche mese dopo, nell’acquisto aggiuntivo di 300 miliardi di Treasuries a lungo termine.
La seconda ondata (QE2) è iniziata nel novembre 2010 e in questa fase la Fed ha venduto titoli a breve e ha acquistato titoli a lungo termine con l’obiettivo di diminuire i tassi di interesse a lungo termine rispetto a quelli a breve. Successivamente, nel settembre 2012 è stata approvata la terza ondata (QE3) e la Fed ha stabilito il ritmo degli acquisti, pari a 40 miliardi di MBS (mortgage-backed securities) al mese, ma non l'ammontare totale di titoli da acquistare e infine dopo pochi mesi la Fed ha deciso anche di acquistare Treasuries a lungo termine pari a 45 miliardi al mese senza sterilizzazione.
In Europa invece, la BCE ha risposto alla crisi varando, tra il 2011 e il 2012, il cosiddetto “Piano di rifinanziamento a lungo termine”, che si è concretizzato nella concessione di prestiti di denaro con scadenza a 3 anni alle banche che ne avessero fatto richiesta ricevendo come garanzia titoli di stato dei paesi europei.
Questo programma ha avuto un effetto positivo in quanto ha permesso all'Europa di evitare una crisi bancaria che avrebbe avuto conseguenze drammatiche, ma non è riuscito a rilanciare l'economia, perciò nel marzo 2015 anche la BCE ha ha dato inizio al programma di Quantitative Easing, ossia l'acquisto di titoli, compresi abs, covered bond e titoli pubblici, con scadenza tra 2 e 30 anni, per 60 miliardi di euro al mese, secondo un criterio di condivisione del rischio con le banche nazionali dei Paesi interessati: ossia il 20% del rischio a carico della BCE, il restante a carico delle banche centrali dei paesi interessati.
Rispetto ai paesi industrializzati dell'occidente, la Cina ha risposto alla crisi in modo opposto: mentre i paesi occidentali hanno adottato il Quantitative Easing che, pur essendo una misura non convenzionale, è un esempio di politica monetaria espansiva, la Cina ha adottato un politica monetaria restrittiva affiancata da una politica fiscale espansiva, attraverso l'aumento della spesa pubblica.
A livello monetario la Cina, attuò tale politica restrittiva aumentando i tassi di interesse e aumentando al 21% la riserva obbligatoria delle banche e così facendo ha contribuito alla graduale rivalutazione dello yuan, che in sei anni aveva fronteggiato un apprezzamento del 45% continuando negli anni attraverso l'adozione di misure di sterilizzazione monetaria, per impedire l'aumento dell'inflazione dovuto al Quantitative Easing americano, inglese e giapponese. Inoltre, in ambito monetario la Cina ha portato avanti anche una politica di
internalizzazione dello yuan promuovendo scambi monetari con le principali banche centrali del mondo, così facendo ha contribuito a far assumere allo yuan lo status di “moneta di riserva”, ossia quelle monete che determinano il valore dei Diritti Speciali di Prelievo (dollaro, euro, yen e sterlina).
A livello fiscale, abbiamo detto che la Cina ha adottato una politica fiscaleespansiva, che si è concretizzata in un pacchetto di stimolo economico di circa 600 miliardi di dollari di cui circa il 70% investito in economia reale per la realizzazione di un piano infrastrutturale che prevedeva la realizzazione di autostrade, ferrovie, aeroporti e porti per sviluppare la logistica e aumentare la produttività totale dei fattori produttivi, a cui si affiancò una politica di reflazione salariale, ossia un aumento dei salari medi annui del 12% per stimolare la domanda interna.
La politica fiscale espansiva è proseguita investendo buona parte del restante denaro del pacchetto di stimolo economico in spese nell'ambito sociale, sanitario, culturale e nell'ambito dell'educazione. Nello specifico nel 2010 il governo cinese ha finanziato la costruzione di 6 milioni di alloggi popolari, nel 2013 ha deciso di varare un piano di urbanizzazione per i migranti, ha apportato modifiche alla riforma dell'hukou garantendo diritti di cittadinanza, ai migranti e prime misure di costruzione di un sistema di welfare universale, ha inoltre allentato la politica del figlio unico permettendo alle donne di avere due figli.
Ad oggi il welfare state cinese poggia su una struttura statale e locale in cui lo Stato finanzia l'erogazione di servizi sanitari, sussidi di disoccupazione, pensioni, aiuti alla maternità, ma anche altri servizi come l'istruzione obbligatoria e il reddito minimo di sussistenza nelle campagne, mentre le entità locali si fanno carico dei servizi più direttamente legati ai settori di maggiore povertà e vulnerabilità.
In definitiva si può dire che gli Stati uniti hanno cercato di arginare le conseguenze della crisi impegnandosi a salvare le proprie banche, senza dare troppa importanza al benessere degli americani mentre la Cina ha cercato di arginare le conseguenze della crisi varando un piano orientato alla tutela dei cittadini cinesi e all'aumento dei posti di lavoro, quindi è riuscita in un certo senso a evitare la grave recessione che ha colpito i paesi occidentali tenendo in considerazione anche il benessere dei suoi cittadini.
CONCLUSIONI
Dal lavoro di tesi è emerso a Cina, scegliendo un modello di crescita basato sull'export, e quindi sulla domanda estera, a partire dagli anni ottanta ha registrato un tasso di crescita a due cifre, ma puntando sulla domanda esterna ha instaurato una sorta di legame di dipendenza