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Cambio di colore e design del logo

Nel documento Rebranding e il significato dei colori (pagine 99-103)

PROCESSO DECISIONALE NEL CAMBIO DI COLORE

3.4 Cambio di colore e design del logo

Nel seguente paragrafo si procederà con un’analisi riguardo le diverse modalità con cui le aziende possono rivitalizzare il proprio logo. L’obbiettivo è quello di comprende- re se il cambio di colore può essere una pratica isolata o un cambiamento abbinato ad altre pratiche che le aziende tendono a implementare simultaneamente. Le possibili alternative che saranno prese in considerazione sono fondamentalmente tre: nuovo colore del logo; nuovo design del logo; nuovo colore e nuovo design del logo in modo combinato.

Nel condurre quest’analisi sono stati presi in considerazione 52 casi di rebranding di marchi più o meno celebri, andando a definire in quale delle suddette categorie rien- tra la loro strategia. Fra i 52 analizzati, sono presenti anche i casi di rebranding già citati in precedenza in questa tesi. Lo scopo di quest’analisi è quello di definire se è pratica comune variare gli obbiettivi di comunicazione attraverso la mera variazione del colore sociale dell’azienda e, dunque, dei significati che a esso sono associati. Ai fini dell’analisi è considerata variazione di colore non solo il cambio di tonalità, ma

qualsiasi cambiamento percettibile subito da questo.

Nell’analisi si procederà, quindi, al confronto fra i loghi pre e post rebranding delle aziende prese in considerazione, indicando il nome del brand e in quale delle tre cate- gorie la rivitalizzazione del marchio ricade. Al termine si procederà con una definizione dei risultati medi, allo scopo di trarre delle conclusioni utili a verificare la seguente ipotesi:

H1. Le aziende fanno ricorso al cambio di colore, come strumento per modificare ciò che vogliono comunicare, in modo isolato rispetto al cambio di design del logo.

Un esempio di logo in cui vi è una modifica del solo colore sociale è quello di Visa, che nel 2014 ha deciso di cambiare tonalità di blu e di eliminare il dettaglio arancione dalla lettera V (si veda Fig. 3.11).

Un esempio, invece, di logo in cui vi è una modifica solamente nel design è quello di Google, che nel 2015 rivede il font con cui è scritto il proprio nome, mantenendo i classici colori sociali che la contraddistinguono (si veda Fig. 3.12).

Fig. 3.11 A sinistra il logo Visa pre-rebranding, a destra il logo Visa post-rebranding.

Fig. 3.12 A sinistra il logo Google pre-rebranding, a destra il logo Google post-rebranding.

Infine, un esempio di logo in cui sono stati modificati sia il colore sociale che il design è Microsoft, che abbandona la classica scritta di colore nero per introdurre un nuovo

Per l’analisi dettagliata dei 52 casi di rebranding presi in considerazione si veda l’Al- legato 1.

L’analisi dei precedenti casi di rebranding ha condotto ai seguenti risultati:

Colore Design Colore e design Totale

N° 5 19 28 52

Percentuale 9,6 % 36,5 % 53,9 % 100 %

Le aziende hanno cambiato colore nel 63,5% dei casi, mentre hanno cambiato design nel 90,4% dei casi.

Quello che si può, quindi, dedurre da quest’analisi è che le aziende 9 volte su 10 in un rebranding tendono a cambiare il design del proprio logo. Le variazioni nel design, tuttavia, possono essere quasi impercettibili (es. Dolby o Google) oppure possono essere sostanziali, che si tratti dell’acquisizione di un’azienda (es. Vodafone) o di un semplice ringiovanimento del marchio (es. American Airlines o Juventus). Il cambia- mento di design è molto più frequente perché è più semplice da notare e permette, quindi, di lanciare un segnale più evidente sul mercato. Ad esempio, Came eliminando il simbolo del cancello dal proprio logo vuole comunicare ai propri stakeholder che non si occupa più solamente di automazioni per cancelli, ma che la sua gamma di prodotti è molto più ampia.

Il cambio di colore, invece, viene effettuato 6 volte su 10, quindi comunque abbastan- za frequentemente, tuttavia è effettuato in modo isolato rispetto al design solamente 1 volta su 10. Questo risultato, ovviamente, è in antitesi con l’ipotesi H1, dove era stato ipotizzato che la maggioranza dei casi di rebranding riguardasse il colore in modo iso-

Fig. 3.13 A sinistra il logo Microsoft pre-rebranding, a destra il logo Microsoft post-rebranding.

simbolo, il quadrato suddiviso in quattro colori (rosso, verde, blu e giallo), e la scritta realizzata con un font diverso (si veda Fig. 3.13).

lato rispetto al design. Le aziende che si sono concesse il lusso di cambiare solamen- te colore, mantenendo il medesimo design, sono aziende i cui loghi sono fra i più noti al mondo (es. Apple, McDonald’s, Visa, Shell). Fra queste il 60% ha cambiato colore in modo radicale, mentre il restante 40% si è limitato a una variazione solo velata dei colori sociali. Questo perché le prime avevano necessità di mandare un messaggio particolarmente forte al mercato. Ad esempio, nel caso Apple si voleva trasmettere maggiore serietà a un’azienda uscita da un forte periodo di crisi.

Per concludere, le aziende una volta che intraprendono la strada del rebranding e che, quindi, vanno a mettere mano al proprio marchio, tendono a non limitarsi a una modifica del colore, ma approfittano per modificarne anche il design. Il fatto che nel 36,5% dei casi i colori non vengano modificati è dovuto anche all’attaccamento che un’azienda ha verso il proprio colore sociale, dal momento che la rende riconoscibile, se non a livello globale, perlomeno nel mercato di riferimento. Per questo motivo le aziende sono spesso riluttanti al cambio di colore. Un esempio è quello di AT&T che ha deciso di non modificare il colore azzurro e bianco del suo logo. Questo perché nel mercato della telefonia mobile negli Stati Uniti compete con T-Mobile (magen- ta), Sprint (giallo) e Verizon (rosso). In questo tipo di mercato, ognuno dei maggiori competitors è fortemente identificato da un colore sociale e questo ne impedisce la modifica.

4.1 Airbnb

4.1.1 Storia

Airbnb è un portale online che mette in contatto persone in cerca di alloggio per brevi periodi di tempo. Tramite il sito web gli utenti possono pubblicare, scoprire e preno- tare alloggi in tutto il mondo. L’azienda nasce a San Francisco (attuale sede dell’HQ) nell’ottobre del 2007. Joe Gebbia e Brian Chesky, al tempo appena ventisettenni, faticavano a pagare l’affitto del loro appartamento. In quel periodo l’Industrial Design Society of America stava organizzando una conferenza che si tiene con cadenza an- nuale. La disponibilità di hotel nell’area era ormai esaurita e i due decisero, affittando tre materassini gonfiabili, di trasformare il proprio soggiorno in un bed & breakfast. Il giorno seguente crearono il sito web airbedandbreakfast.com. Da qui nacque l’idea di creare una piattaforma che mettesse in contatto persone, permettendo loro di affittare spazi che non erano convenzionalmente adibiti a questo uso. Quest’idea si trasformò in realtà nell’agosto del 2008, quando Barack Obama era atteso come speaker alla Democratic National Convention di Denver, dove era prevista la presenza di circa 80.000 persone. Gebbia, Chescky e Blecharczky (ventinovenne programmatore e ex coinquilino di Gebbia, incaricato dello sviluppo del sito web) riuscirono a lanciare onli- ne la propria piattaforma appena due settimane prima dell’evento. L’iniziativa ebbe un enorme successo, tanto che in una settimana raggiunsero le 800 stanze affittabili.

CAPITOLO 4

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