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Ci commance le mariage que Renars fist au roi Noble le lyon

4.1. Il campo in comune

I primi sedici versi della branche sono occupati da un prologo che fa seguire a un incipit proverbiale diversi temi ricorrenti, tra cui la volontà di resbaudir il proprio pubblico (v. 7), l’appello ad una fonte affidabile da cui sarebbe stata appresa la storia che si sta per raccontare (in questo caso un veillart definito sages e de grant art, vv. 11-12),2 la cura e l’impegno profusi dall’autore/narratore nella composizione,3 la veridicità della storia stessa (v. 15). Il prologo si profila, inoltre, come una captatio

benevolentiae e una giustificazione dell’argomento trattato, il narratore infatti annuncia che li contes est traiz dou gorpil (v. 13) e prega il suo pubblico di non considerarlo por ce plus vil (v. 14); sembrerebbe

quasi che all’epoca della composizione della branche pesasse «sur les contes du goupil un soupçon de “mauvaise littérature”, aux deux sens du terme».4 C’è inoltre un dettaglio peculiare che sembra delinearsi come un riferimento al patto narrativo: se infatti una bone aventure (v. 5) impone a chi l’ha ascoltata la responsabilità di raccontarla ad altri (vv. 1-5), e se la veridicità della storia è elemento

1 A livello di varianti, in realtà, il testo di L è quello più indipendente e distante dagli altri codici, ma una ristretta serie

di lezioni originali di C con implicazioni piuttosto rilevanti sul piano diegetico ne impone una trattazione distinta.

2 Un’altra branche tarda che sfrutta nel prologo l’esplicito riferimento ad una fonte, in quel caso scritta, è la XXIV. 3 Il fatto che la figura dell’autore e quella del narratore coincidano distingue il prologo della branche XXII dagli altri del

RdR in cui siano ugualmente presenti commenti metatestuali riguardanti la composizione; un altro tratto caratteristico

necessario e sufficiente perché essa non venga considerata vil, tale veridicità sembra, subito dopo, essere messa in dubbio dal narratore stesso, che precisa ambiguamente: si con en le nos fait acroire (v. 16).

Con queste parole si chiude il prologo e inizia il primo nucleo narrativo della branche, che narra di un episodio che sembra rimandare espressamente all’universo e alle dinamiche tipiche della favola: la coltivazione in comune di un campo da parte di quattro animali diversi e gli sviluppi che ne seguono. Secondo Lucien Foulet «c’est le point de vue de la fable qui reparaît: Phèdre nous montrait de même le lion, la vache, la brebis s’en allant chasser de compagnie. L’épopée de Renard est née en partie de la fable antique: elle y retourne dans sa vieillesse».5 Tuttavia, l’agricoltura nel RdR è un’attività generalmente riservata agli umani, personaggi caratterizzati dall’appartenenza a una classe sociale subalterna rispetto a quella dominante degli eroi zoo(antropo)morfi, esponenti della nobiltà feudale dell’universo renardiano.6 L’avvio della vicenda, che presenta quattro dei personaggi principali del ciclo – Renart, il lupo Isengrin, il cervo Brichemer e il gallo Chantecler – intenti in questa occupazione affatto inconsueta, sembra dunque del tutto eccezionale.7 Più di settanta versi (vv. 21-92) sono dedicati a descrivere nei dettagli le azioni svolte dagli animali per estirpare gli arbusti, ripulire il campo (vv. 21-38) e poi per semer, hercier, reteler (vv. 83-92). Nel mezzo trova spazio, anche, un lungo, comico e articolato confronto di idee per stabilire di comune accordo cosa sia più opportuno seminare (vv. 41-78). Non mancano fin dall’inizio, ad ogni modo, elementi che permettono al pubblico di ricollocare il racconto sullo scenario familiare in cui si muovono abitualmente i personaggi del Roman; questi ultimi, o almeno alcuni di essi, appaiono infatti contraddistinti da alcuni dei tratti usuali che li caratterizzano. Renart, qui tot le mont deçoit, / qui de

mal faire ne recroit (vv. 27-28), si distingue fin dall’inizio per la sua astuzia, riuscendo grazie alle proprie

abilità oratorie a far portare a termine agli altri animali l’aratura del campo rimanendo da parte a guardare, senza prendere parte attivamente al lavoro gravoso. Più avanti emerge dal racconto uno dei tratti caratteristici di un altro personaggio, il lupo Isengrin, la cui ingordigia costituirà nei fatti la causa scatenante di una reazione a catena di eventi che porterà al litigio tra gli animali e allo sviluppo della seconda parte della branche. Durante tale lite, l’allusione che il lupo fa alla pes che il re ha fait fïencier (v. 292) e che gli impedirebbe pertanto di aggredire Renart costituisce un altro

5 Foulet 1914, p. 482.

6 Per le articolate modalità attraverso le quali il sistema dei personaggi nel RdR rispecchia differenti livelli della struttura

sociale medievale del XII e XIII secolo, si veda Bonafin 2006, pp. 209-15.

7 Secondo Sylvie Lefèvre «cette sorte de déchéance sociale pourrait donc aussi être lue comme une nouvelle avancée

de l’anthropomorphisme dans le Roman de Renart», Lefèvre 1998, p. 1337, n. 5. Tuttavia, ci si dovrebbe aspettare – a mio avviso – che un crescente antropomorfismo dei personaggi assecondasse in ogni caso la loro appartenenza alla nobiltà feudale. Per quanto riguarda la presenza dello stesso tema altrove in testi renardiani: «On est tenté […] de

elemento ricorrente e precipuo del ciclo. Tra i legami e i rimandi al contesto tradizionale del Roman può essere annoverato anche il curioso e comico riferimento alla relazione tra la volpe e la lupa Hersent, moglie di Isengrin (vv. 271-80). Renart, infatti, rivolge al lupo che ha rovinato irrimediabilmente il campo coltivato – venendo meno al loro accordo – una serie di insulti, tra cui

fil a putains e desloiaus cous (v. 270): l’effetto comico è generato dal fatto che Isengrin non si limiti ad

interpretare tali ingiurie per quello che sembrano, vale a dire degli oltraggi generici e formulari, ma avverta la necessità di fare delle precisazioni riguardo alla seconda (cous):

Renart, ce n’est mie de vous, dist Isangrin, que je cous soie. .I. serement vos en feroie que a Hersant, ma douce amie, n’eütes part ne conpaignie. Si vos en iestes vos vantez, mes, par mon chief, vos i mantez q’an ceste terre, Dieu merci, n’a plus laial dame de li,

ele en a bien le tesmoignage. (vv. 271-80)

Il tentativo maldestro del lupo di rispondere agli insulti si trasforma così in un auto-affondo, che il pubblico può cogliere facilmente perché sottintende il ‘peccato originale’ di tutto il Roman de Renart, la relazione adulterina che Hersent intesse con la volpe, narrata nella branche II8 e il cui svolgimento, in quella stesa branche, viene così introdotto: La li avint une aventure, / de quoi li anuia et poise. / Car par

ce commenca la noise / par mal pechie et par dyable / vers Ysengrin le connestable (Là gli capitò un’avventura

/ che gli arrecò noie durevoli, giacché così cominciò la lite / con Isengrino il conestabile/ a causa di quel diabolico peccato, vv. 1032- 36).9 Rivendicando in questo modo l’onestà di sua moglie, il lupo sembra, di contro, tradire i propri timori riguardo all’argomento; inoltre, dichiarando che la volpe avrebbe mentito, nel caso si fosse vantata di avere avuto alcun rapporto con Hersent, egli sembra collocare gli eventi in un tempo della storia in cui lo stupro della lupa ad opera di Renart non sarebbe ancora avvenuto.10 Non si tratta, evidentemente, di cercare di ricostruire e stabilire una precisa cronologia interna delle avventure renardiane, ma piuttosto di cogliere un indizio che, seppur vago, sembra suggerire che la branche si inquadri in una sorta di preistoria atemporale del ciclo. Sebbene la suggestione possa apparire debole, ulteriori elementi potrebbero rafforzarla, uno

8 Cfr. vv. 1032 e ss.

9 I testi di tutte le branches citate, ad eccezione della XXII e della XXIII e salvo diverse indicazioni, provengono dall’ed.

dei quali costituito dalla stessa bizzarra collaborazione iniziale tra i quattro animali: Isengrin, Brichemer e Chantecler appaiono generalmente nel RdR come acerrimi nemici della volpe e si trovano invece qui pacificamente riuniti insieme a condurre un’attività agreste, senza che alcun riferimento venga fatto a loro contrasti pregressi.11

Renart, comunque, si trova improvvisamente nella condizione a lui quasi del tutto estranea di personaggio ingannato (e non ingannatore), tradito dai compagni che hanno distrutto e divorato il raccolto che doveva essere condiviso; non perde, tuttavia, le sue doti di astuzia e prudenza, ed evita in maniera accorta uno scontro fisico diretto contro quelli che sono diventati i suoi avversari, dal quale uscirebbe con ogni probabilità come perdente. Propone invece, asez par sen (v. 304), di risolvere la controversia rivolgendosi al giudizio del re, che nel codice B viene designato fin d’ora con il curioso nome di Connin, mentre in L e in C resta per il momento senza nome – e doveva pertanto essere identificato implicitamente con il leone Noble dal pubblico messo di fronte a queste varianti del racconto. Ne consegue un ulteriore ribaltamento di uno dei motivi ricorrenti del ciclo: se infatti la convocazione di fronte alla corte del re per rispondere di un’accusa costituisce un episodio tipico delle avventure della volpe, di norma Renart ricopre il ruolo di accusato e non quello di accusatore. L’appuntamento viene fissato per Letare Jerusalem (v. 305), vale a dire la quarta domenica di Quaresima;12 la precisione dell’informazione costituisce tuttavia un problema nella scansione temporale della storia, poiché il grano è stato seminato dai quattro animali in primavera (J’ai oï les grues chanter, / qui nos tesmoignent par raison / que de semer avons saison, vv. 80-82), il raccolto è maturato in giugno (Qant vint en guing qu’il fait grant chaut, / que cil blé sont creü en haut / et espïé et tuit

grenu, v. 121-23) e in quello stesso periodo avviene la lite tra i protagonisti. Risulta dunque curioso

che l’incontro alla corte del re per dirimere una contesa che sembra voler essere risolta in breve tempo venga fissato circa nove-dieci mesi più tardi e la singolarità di questa indicazione è confermata dai versi che seguono l’accordo tra i quattro – ormai – nemici, in cui viene detto chiaramente che Renart si reca all’appuntamento il più in fretta possibile: einz puis n’ot gaires de sejor,

/ ne ne fina ne nuit ne jor, / des qu’il vint a la cort le roi (vv. 316-18). Per cercare di risolvere il problema

della cronologia interna alla branche Sylvie Lefèvre ha proposto un’interpretazione allegorica legata all’argomento dei testi biblici della messa di questo giorno liturgico di Quaresima:

Il s’agit là d’un jour de repos, d’exultation et d’abondance. Abondance de la consolation reçue de Dieu […]. En les convoquant à cette date, Renart jouerait donc sur l’adéquation des textes bibliques au festin criminel des compères et à la consolation que lui-même espère, non de Dieu, mais du roi. Peut-être aussi leur impose-t-il une première pénitence avant de se présenter:

le jeûne de Carême. De toute façon le sens de cette période pré-pascale se trouve bien subverti par la convocation de Renart, car l’Église a tenté d’imposer la suspension des procédures judiciaires pendant le Carême. D’où peut-être le semblant de procès à quoi auront droit Brichemer, Chantecler et Isengrin?13

Jean Subrenat osserva che tale ipotesi, pur seducente, «suppose un conteur et un public fins liturgistes» e aggiunge: «ne pourrait-on pas imaginer une cruelle boutade ironique et plus ou moins triviale de Renart: “ce va être votre fête; ce va être jouissif pour vous”?».

In ogni caso, l’udienza è fissata, tutti hanno promesso che saranno presenti e si dividono. Si ritroveranno di fronte alla corte del re.

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