L’ABUSO DEL DIRITTO E LA CRISI DEL MODELLO DI CLAUSOLA ANTIELUSIVA ADOTTATO DAL LEGISLATORE NAZIONALE
SOMMARIO: 1. Il ruolo del principio comunitario dell’abuso del diritto. – 1.1 L’evoluzione della
giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea. – 1.1.1 Le premesse “extrafiscali” – 1.1.2 L’abuso del diritto nel settore della fiscalità non armonizzata. – 1.1.3 L’abuso del diritto nel settore della fiscalità armonizzata – 1.2 L’applicazione del principio comunitario dell’abuso del diritto da parte della Corte di Cassazione. – 2. Il principio dell’abuso del diritto quale precipitato del principio costituzionale di capacità contributiva. – 2.1 L’evoluzione dell’orientamento della Corte di Cassazione. – 2.2. L’abuso del diritto quale clausola antielusiva generale fondata sull’art. 53 Cost. – 2.3. I rapporti tra l’art. 37-bis ed il principio dell’abuso del diritto. – 2.3.1. Premessa: l’art. 37-bis come sintomo dell’esistenza di un principio antielusivo generale. – 2.3.2. La questione dell’ “abuso” dell’abuso del diritto e la tutela del contribuente – 2.4. Abuso del diritto e sostanza economica: il dualismo tra effetti e scopo economico dell’operazione. – 3. Abuso del diritto e sanzioni. – 3.1. I principi di diritto enunciati dalla Corte di Cassazione con le sentenze n. 25537/2011 e n. 7739/2012. –
3.2. Il ruolo della violazione della legge quale presupposto per l’irrogazione di una
sanzione. – 3.3. La questione della (in)determinatezza delle condizioni di applicazione della sanzione per dichiarazione infedele nel caso delle condotte elusive. – 3.4. Sanzioni e conflitti di qualificazione tra abuso del diritto ed art. 37-bis.
1. IL RUOLO DEL PRINCIPIO COMUNITARIO DELL’ABUSO DEL DIRITTO
Nonostante la chiara scelta legislativa di introdurre una clausola antielusiva a scopo limitato, ossia “quasi-generale”, in quanto applicabile soltanto al ricorrere di determinate operazioni (come nel caso dell’art. 10 della L. n. 408/1990 e poi dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/73), la giurisprudenza della Corte di Cassazione, già a partire dal 2005(1),
1 Ci si riferisce alle sentenze 1 ottobre 2005, n. 20398 e 14 novembre 2005, n. 22932 con cui erano stati affrontati, rispettivamente, dei casi di dividend washing e dividend stripping. Va, tuttavia, osservato che con tali sentenze la Corte di Cassazione non ha affermato la diretta applicabilità del principio dell’abuso del diritto di matrice comunitaria all’interno dell’ordinamento nazionale; di contro, i giudici di legittimità si sono limitati ad affermare che un tal principio, da un lato, costituiva chiara evidenza dell’esistenza di una regola generale con cui reprimere gli atti elusivi mediante il rimedio dell’inopponibilità e, dall’altro, veniva stabilito che un simile principio – sebbene reputato non applicabile nell’ordinamento interno – doveva comunque spingere l’interprete a rinvenire nell’ordinamento interno degli strumenti in grado di contrastare le condotte elusive conformemente al principio in questione. È in tale ottica che i giudici delle sentenze in commento hanno fatto riferimento all’istituto della frode alla legge e della nullità per difetto di causa (essendo i negozi motivati dall’unico fine di eludere le imposte). Diversamente, - come si vedrà in seguito – la diretta applicabilità
136 mostrava una certa ritrosia nei confronti di tale impostazione dapprima provando ad estendere la frode alla legge in senso civilistico ovvero la nullità per vizio di causa al settore tributario e, successivamente, facendo ricorso al principio dell’abuso del diritto già da tempo elaborato dalla Corte di Giustizia Europea. La Corte di Cassazione è così progressivamente giunta ad affermare non solo la diretta applicabilità di tale principio anche nell’ordinamento nazionale(2), ma anche la sua rilevanza ai fini dell’individuazione all’interno dell’ordinamento nazionale di un principio antielusivo generalissimo ed utilizzabile indipendente dalla presenza di specifiche norme antielusive. Il compimento di tale percorso, come si vedrà, è rappresentato dal successivo, e ormai consolidato, orientamento secondo cui, nell’ambito delle imposte dirette, il divieto dell’abuso del diritto troverebbe un fondamento interno e, propriamente, nei principi di capacità contributiva e di progressività recati dall’art. 53 Cost. Pertanto, all’esito di tale processo, l’attuale posizione della Corte di Cassazione prevede che il principio dell’abuso del diritto di matrice comunitaria sia applicabile al settore delle imposte armonizzate o quasi-armonizzate (come le imposte doganali e l’IVA), e che invece per il settore delle imposte dirette trovi applicazione l’omologo principio di fonte costituzionale.
Così operando la Corte di Cassazione ha di fatto obliterato la scelta legislativa alla base dell’art. 37-bis in quanto il principio dell’abuso del diritto è stato coniato non solo nei termini di un principio antielusivo generale applicabile indistintamente a tutti i settori impositivi, ma anche nei termini di una regola applicabile d’ufficio e retroattivamente e, quindi, in totale spregio delle regole procedimentali previste dal medesimo art. 37-bis. Si può, quindi, parlare di una vera e propria crisi del modello di clausola antielusiva adottata dal Legislatore nazionale proprio perché, sulla scorta dell’affermazione pretoria del principio dell’abuso del diritto, quest’ultima viene a declinarsi sempre più – come si avrà modo di chiarire – nei termini di un canone interpretativo generale del sistema impositivo applicabile, pertanto, in modo diretto ed immediato senza il filtro di alcuna norma positiva – ossia senza limiti temporali, procedurali ovvero di fattispecie(3).
nell’ordinamento interno del principio dell’abuso del diritto di matrice comunitaria verrà affermata con la sentenza 29 settembre 2006, n. 21221 (successiva alla nota sentenza “Halifax”, 21 febbraio 2006, C-255/02, della Corte di Giustizia Europea). Sul punto si veda LOVISOLO,A., Il principio di matrice comunitaria dell’ "abuso" del diritto entra nell’ordinamento giuridico italiano: norma antielusiva di chiusura o clausola generale antielusiva? L’evoluzione della giurisprudenza della Suprema Corte, in Dir. prat. trib., II, 2007, p. 738 nonché POGGIOLI,M., La Corte di Giustizia elabora il concetto di “comportamento abusivo” in materia d’Iva e ne tratteggia le conseguenze sul piano impositivo: epifania di una clausola generale antielusiva di matrice comunitaria?, in Riv. dir. trib., 5, 2006, p. 135 e BEGHIN,M., Evoluzione e stato della giurisprudenza tributaria: dalla nullità negoziale all’abuso del diritto nel sistema impositivo nazionale, in Elusione ed abuso del diritto tributario. Orientamenti attuali in materia di elusione e abuso del diritto ai fini dell’imposizione tributaria, a cura di MAISTO,G., Milano, 2009, p. 23.
2 Sentenza 29 settembre 2006, n. 21221.
3 Peraltro, come osservato dalla dottrina, il fatto che la maggioranza degli ordinamenti stranieri si sia dotato di un clausola antielusiva generale non sembra deporre in favore di una lettura dell’abuso del diritto come canone interpretativo del sistema tributario – applicabile, quindi, in assenza di una norma espressa. Sembra, infatti, preferibile la tesi secondo cui – eccezion fatta per gli ordinamenti che
137 1.1 L’evoluzione della giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea
Considerato che il quadro di riferimento a cui la Corte di Cassazione ha in prima battuta rinviato ai fini dello sviluppo del principio dell’abuso del diritto è la giurisprudenza della Corte di Giustizia, appare opportuno procedere con un preliminare esame della stessa. Lo scopo di tale analisi sarà duplice: da un lato, verificare se l’approdo alla ricordata versione “costituzionalizzata” del principio dell’abuso del diritto abbia comportato delle novità sul piano sostanziale rispetto al contenuto dell’omologo principio di fonte comunitaria; dall’altro, verificare l’eventuale apporto dell’opera giurisprudenziale della Corte di Giustizia Europea rispetto al fenomeno di circolazione internazionale dei modelli tributari di clausola antielusiva esaminato in precedenza.
1.1.1 Le premesse “extrafiscali”
Quale punto di partenza per un’indagine sull’evoluzione del principio comunitario dell’abuso del diritto si è soliti fare riferimento al caso “Van Binsbergen”(4) affrontato dalla sentenza 3 dicembre 1974, causa C-33/74 della Corte di Giustizia Europea. Con tale sentenza viene, infatti, ad emergere per la prima volta il nucleo essenziale della problematica dell’abuso del diritto dal punto di vista comunitario: le libertà attribuite ai singoli dalle norme dell’Unione non possono essere utilizzate per sottrarsi alle norme interne o, più in generale, per ledere interessi protetti dalle legislazioni nazionali e ritenuti meritevoli di tutela anche dall’ordinamento comunitario(5). Nello specifico la sentenza Van Binsbergen riguarda un caso in cui veniva posta la questione della compatibilità con il diritto comunitario di una norma interna che limitava la difesa innanzi a determinati tributali ai soli avvocati residenti nello Stato(6). Ebbene nel risolvere tale questione la
ammettono una interpretazione secondo realtà economica delle norme tributarie – l’applicazione del principio in commento debba passare per l’espressa attribuzione di uno specifico potere di riqualificazione all’Amministrazione finanziaria (eventualmente corredato di vincoli apposti al fine di escluderne un esercizio indiscriminato potenzialmente lesivo per il contribuente). Sul punto PISTONE, P., L’abuso del diritto nella giurisprudenza tributaria della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in Dir. prat. trib. int., 2, 2012, p. 448. Ad avviso di altra dottrina il principio dell’abuso del diritto, anche ove fosse assunto nei termini di un principio di tipo interpretativo, andrebbe comunque qualificato anche nei termini di un principio operante quale giustificazione per l’introduzione di norme interne di tipo restrittivo (ed altrimenti prive di giustificazione) – come ad es. avviene nel caso del regime delle controlled foreign company rispetto alla libertà di stabilimento riconosciuta dal Trattato (WEBER,D., Abuse of Law in European Tax Law: An Overview and Some Recent Trends in the Direct and Indirect Tax Case Law of the ECJ - Part 1, in European Taxation, 6, 2013, p. 264).
4 GESTRI,M., Abuso del diritto e frode alla legge nell’ordinamento comunitario, Milano, 2003, pp. 55-57 si veda anche PIANTAVIGNA,P., Abuso del diritto fiscale nell’ordinamento europeo, Torino, 2011, pp. 71-72 e LOSURDO, F., Il divieto dell’abuso del diritto nell’ordinamento europeo. Storia e giurisprudenza, Torino, 2011, pp. 135 e segg.
5 GESTRI,M., op.cit., pp. 82 e segg. nonché WEBER,D., Tax avoidance and the EC Treaty Freedoms. A Study of the Limitations under European Law to the Prevention of Tax Avoidance., The Hauge, 2005, p. 164.
6 Nello specifico il caso riguardava le vicende processuali del signor Van Binsbergen che aveva designato come suo avvocato un professionista di nazionalità olandese e residente nei Paesi Bassi; quest’ultimo, nel corso del procedimento a carico del signor Van Binsbergen, aveva trasferito la propria
138 Corte chiarisce che una restrizione alla libera prestazione dei servizi può essere ammessa soltanto ove ricorrano (congiuntamente) le seguenti condizioni(7): i) il prestatore di servizi stabilito in uno stato membro svolge la sua attività per intero o principalmente sul territorio di un altro Stato (c.d. stato di destinazione )(8); ii) l’operazione è realizzata dal soggetto allo scopo di sottrarsi alle norme sull’esercizio della sua professione, la cui osservanza gli sarebbe stata imposta ove egli si fosse stabilito nello Stato di destinazione(9). Sulla base di questi presupposti i giudici hanno stabilito che, nel caso di specie, non si profilava un utilizzo distorto – ossia un abuso – della libertà di stabilimento e di fornitura di servizi poiché non venivano ad essere lesi interessi protetti da norma imperative ed erano comunque stati integrati i presupposti per godere delle libertà riconosciute dal Trattato(10). Tuttavia, precisa la Corte, «[è], del pari, giusto riconoscere ad uno Stato membro il diritto di provvedere affinché un prestatore di servizi, la cui attività si svolga per intero o principalmente sul territorio di detto Stato, non possa utilizzare la libertà garantita dall’art. 59 allo scopo di sottrarsi alle norme sull’esercizio della sua professione la cui osservanza gli sarebbe imposta ove egli si stabilisse nello Stato in questione. Una simile situazione deve infatti venir regolata dalle norme sul diritto di stabilimento e non dalle norme sulla prestazione di servizi»(11).
All’interno di questo quadro è però il criterio del pubblico interesse ciò che consente di stabilire se la restrizione alla libertà di stabilimento possa o meno ritenersi giustificata. Secondo la Corte, infatti, «non si può considerare incompatibile con gli artt. 59 e 60 la norma che impone a chi esercita una professione connessa con l’amministrazione della giustizia di stabilire la propria residenza nella circoscrizione di determinati organi giudiziari, quando detta norma appare obiettivamente necessaria per
residenza in Belgio ed in conseguenza di ciò il tribunale olandese aveva contestato la legittimazione dell’avvocato ad espletare il proprio mandato visto che ai sensi della legislazione interna tale incarico poteva essere svolto soltanto dai professionisti residenti nei Paesi Bassi. A ciò si oppose l’avvocato invocando le norme del Trattato sulla libera prestazione dei servizi all’interno della Comunità. Pertanto, con rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea quest’ultima veniva investita delle seguenti questioni: i) la conformità al diritto comunitario di una norma nazionale che richieda il requisito della residenza come condizione per patrocinare avanti a determinati tribunali; ii) se gli artt. 59 e 60 del Trattato CEE fossero direttamente efficaci e come tali direttamente azionabili nei confronti dei giudici nazionali.
7 BETTI,R., SBARAGLIA,G., L’abuso del diritto in materia tributaria: la giurisprudenza comunitaria, in Il Fisco, 39, 2011, p. 6381.
8 Corte di Giustizia Europea, 3 dicembre 1974, C-33/74 , § 9. 9 Corte di Giustizia Europea, 3 dicembre 1974, C-33/74 , § 12.
10 LOSURDO,F., Il divieto dell’abuso del diritto nell’ordinamento europeo. Storia e giurisprudenza, Torino, 2011, p. 136. Va, infatti, osservato che stante la normativa olandese così come ricostruita dai giudici comunitari quest’ultima non prevedeva particolare vincoli per l’esercizio della professione di avvocato. Ed, infatti, i giudici affermano (§ 16) che «[s]e infatti, all’interno d’uno Stato membro, l’esercizio d’una determinata attività è assolutamente libero, pretendere la residenza nello Stato significa imporre una restrizione incompatibile con gli artt. 59 e 60 del trattato, dal momento che il buon funzionamento della giustizia può venir garantito con obblighi meno pesanti, ad esempio prescrivendo l’elezione d’un domicilio ove possano essere indirizzate le comunicazioni giudiziarie». 11 Corte di Giustizia Europea, 3 dicembre 1974, C-33/74 , § 17.
139 assicurare l’osservanza di disposizioni professionali collegate in particolare col funzionamento della giustizia e col rispetto della deontologia»(12).
In tal senso si può affermare che l’approccio all’abuso del diritto seguito in questa prima fase dalla Corte di Giustizia si snoda lungo tre livelli: in primo luogo viene verificato se la fattispecie sub iudice cade nel campo di applicazione del diritto Comunitario ovvero se si tratta di una questione di diritto puramente interno; ove risulti verificata la prima ipotesi, allora, la Corte verifica se le norme interne di cui viene contestata l’applicazione costituiscono o meno delle restrizioni alle libertà riconosciute dal Trattato; in tal caso, la Corte compie un ulteriore “passo” e verifica se tali restrizioni sono ricomprese tra quelle espressamente previste dal Trattato(13) ovvero sono comunque giustificate in base alla cosiddetta Rule of reason doctrine in virtù della tutela di un pubblico interesse dello Stato membro secondo modalità non-discriminatorie e conformi al principio di proporzionalità(14). Ed, infatti, nel successivo caso “Centros”(15), sentenza 9 marzo 1999, causa C-212/97, la Corte di Giustizia Europea ha affermato che la mera costituzione di una società in un Paese diverso da quello di residenza dei soci, ancorché motivato dall’obiettivo di godere di un regime giuridico più favorevole rispetto a quello nazionale, non costituisce di per sè un abuso in quanto tale facoltà fa parte del concetto stesso della libertà di stabilimento(16); è necessario, invece, che la censura sia fondata inter alia in una lesione di interessi pubblici protetti da norme (interne) imperative: «i provvedimenti nazionali che possono ostacolare o scoraggiare l’esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato devono soddisfare quattro condizioni: essi devono applicarsi in modo non discriminatorio, essere giustificati da motivi imperativi di interesse pubblico, essere idonei a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non andare oltre quanto necessario per il raggiungimento di questo»(17). Nello stesso senso nella precedente sentenza 10 luglio 1986, “Segers”(18), causa C- 79/85, era stato
12 Corte di Giustizia Europea, 3 dicembre 1974, C-33/74 , § 14.
13 In questo caso ci si riferisce alle ipotesi di restrizioni delle libertà compatibili con le eccezioni previste dallo stesso Trattato (Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea). Sul punto DE BROE,L., International Tax Planning and Prevention of Abuse: A Study under Domestic Tax Law, Tax Treaties and EC Law in relation to Conduit and Base Companies, Amsterdam, 2008, p. 873.
14 TERRA,B.J.W., WATTEL,P.J., European Tax Law, Alphen aan den Rijn, 2008, pp. 48-49.
15 Il caso affrontato dai giudici riguardava una società che era stata costituita in Inghilterra da parte di un cittadino danese al fine di avvantaggiarsi del regime societario esistente in tale Stato evitando, così, l’applicazione della normativa danese sul capitale minimo delle società, pur essendo la società destinata ad operare in Danimarca oltreché dotata della sua sede principale ed effettiva in tale Stato. In questa occasione, il relativo comportamento della società inglese venne considerato legittimo e le misure anti-elusive adottate nell’ordinamento danese per imporre nel caso di specie l’applicazione della sua disciplina societaria furono conseguentemente giudicate in contrasto con la normativa comunitaria di cui agli artt. 43 e 48 del Trattato CE (oggi artt. 49 e 54 TFUE).
16 Corte di Giustizia Europea, sent. 9 marzo 1999, C-212/97, § 27. 17 Corte di Giustizia Europea, sent. 9 marzo 1999, C-212/97, § 34.
18 La vicenda riguardava il caso di un cittadino olandese, il Signor Segers, che, unitamente alla moglie, aveva acquistato l’intero capitale sociale di una società inglese neocostituita. Inoltre, Segers aveva conferito in tale società le azioni di un’altra società di cui deteneva l’interno capitale e di cui era egli stesso amministratore. Tramite tale società l’altra società di diritto inglese svolgeva la propria ed unica
140 affermato che il semplice fatto che una società non svolga alcuna attività nello Stato membro in cui essa ha la sede, operando invece unicamente nello Stato membro della sua succursale, non è sufficiente a dimostrare l’esistenza di un abuso tale da giustificare l’adozione di misure restrittive della libertà di stabilimento(19): è necessario che tale regime restrittivo sia giustificato da motivi inerenti la tutela di interessi di rilievo generale (come l’ordine pubblico, di pubblica sicurezza o sanità)(20). Diversamente la norma antiabuso non potrà essere ritenuta legittima e, quindi, il comportamento con essa contrastante non potrà essere considerato illegittimo solo perché volto ad aggirare un obbligo o divieto posto dallo Stato.
Pertanto, l’approccio all’abuso del diritto elaborato in questa prima fase dalla Corte di Giustizia si presenta come un generalissimo correttivo del diritto comunitario rispetto a quello interno(21). Infatti, le citate sentenze danno evidenza del fatto che il primato del diritto comunitario sulle norme nazionali non può estendersi fino al punto di impedire agli Stati membri di tutelare i rispettivi interessi a rilevanza generale. Va però detto che nelle pronunce appena ricordate non viene impiegata l’espressione abuso di diritto, mentre ricorre perlopiù quella di comportamento fraudolento. Come osservato dalla dottrina tale scelta terminologica non sembra casuale, ma pare rispondere in primis alla volontà di riferirsi ad una categoria già nota alla giurisprudenza dei vari Paesi Membri(22).
attività nei Paesi Bassi – e quindi non in Inghilterra, ossia nel Paese di costituzione. Successivamente il Sig. Segers chiede una prestazione all’assicurazione pubblica dei Paesi Bassi, ma gli viene rifiutata opponendo che egli era amministratore e dipendente di una società straniera (cioè quella di diritto inglese). In tal caso l’abuso avrebbe riguardato il fatto di essersi sottratti alla disciplina assicurativa pubblica inglese in favore di quella dei Paesi Bassi per il tramite di una succursale di una società di diritto inglese stabilita nei Paesi Bassi e di cui il richiedente la prestazione assicurativa risultava amministratore e dipendente e, quindi, formalmente idoneo a chiedere tale prestazione nei Paesi Bassi. 19 Corte di Giustizia Europea, sentenza 10 luglio 1986, C- 79/85, § 16.
20 Corte di Giustizia Europea, sentenza 10 luglio 1986, C- 79/85, § 17.
21 Tale accezione dell’abuso del diritto è stata definita dalla dottrina nei termini di “abuso in senso lato” volendo significare il suo operare nei termini di una clausola generale dell’ordinamento che corregge l’uso distorto delle libertà fondamentali. Diversamente, l’ “abuso in senso stretto” riguarderebbe i casi in cui la categoria in questione entro in gioco sotto il profilo di una corretta interpretazione teleologica delle disposizioni comunitarie ai fini di una sindacabilità degli atti di esercizio del diritto soggettivo. Sul punto PIANTAVIGNA,P., Abuso del diritto fiscale nell’ordinamento europeo, Torino, 2011, pp. 63 e segg. Per una rassegna dei diversi contesti in cui la Corte di Giustizia ha utilizzato siffatta nozione di abuso del diritto si veda LOSURDO,F., Il divieto dell’abuso del diritto nell’ordinamento europeo. Storia e giurisprudenza, Torino, 2011, pp. 135-140.
22 GESTRI,M., Abuso del diritto e frode alla legge nell’ordinamento comunitario, Milano, 2003, p. 54