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Capitolo Quinto – Fukasaku Kinj

Nasce a Mito il 3 luglio 1930. Nel 1945, all’età di quindici anni, viene arruolato insieme alla sua classe come operaio in una fabbrica di armi e munizioni, che veniva regolarmente bombardata dagli americani. Il regista in un’intervista racconta come le sue esperienze di guerra abbiano contribuito al suo freddo distacco nei confronti della violenza.

"During the raids, even though we were friends working together, the only thing we would be thinking of was self-preservation. We would try to get behind each other or beneath dead bodies to avoid the bombs.... I also had to clean up all the dead bodies.... I'm sure those experiences have influenced the way I look at violence."1

Finita la guerra decide, a causa della disastrosa situazione scolastica, di non riprendere gli studi e passa le sue giornate al cinema. I film giapponesi, prima di tutti i jidaigeki, erano stati bannati dall’Occupazione americana, per questo si appassiona al cinema straniero, soprattutto al neorealismo italiano. Decide così di iscriversi alla Nihon University di Tōkyō per studiare cinema, per poi trasferirsi al dipartimento di letteratura per studiare sceneggiatura. Si laurea nel 1953 e viene subito assunto come aiuto regista alla Tōei. Debutta nel 1961 con due featurette intitolate Fūraibō tantei: akai tani no sangeki e Fūraibō tantei: Misaki o wataru kuroi kaze. Nello stesso anno gira il film Hakuchu no buraikan e, l’anno seguente, dirige il suo primo film per la Tōei intitolato Hokori takaki chōsen, in cui compare il famoso attore di ninkyō eiga Tsuruta Kōji. I primi film a guadagnarsi il favore e i riconoscimenti della critica sono Jakoman to Tetsu (1964) eOokami to buta to ningen (1964) con Takakura Ken. Ookami to buta to ningen ottiene un grandissimo successo nonostante sia uno yakuza eiga molto diverso dagli altri. I toni scuri, grotteschi, brutali e amorali lo rendono più simile ai futuri jitsuroku eiga (che lo stesso Fukasaku produrrà dieci anni più tardi) piuttosto che agli eleganti e raffinati ninkyō eiga. Negli anni successivi dirige altri film che si distinguono per le loro trame a metà tra ninkyō eiga e jitsuroku eiga, tra i quali ricordiamo

1 Elaine Woo, “Kinji Fukasaku, 72; Japanese Director of Edgy, Violent Films”, Los Angeles Times, January

84 Kaisanshiki (1967), Bakuto kaisanshiki (1968) e Nihon Bōryokudan: Kumichō (1969). Nel 1970 gira un altro yakuza eiga intitolato Chizome no Daimon. Viene poi reclutato come regista per la parte giapponese di Tora! Tora! Tora! (1970), secondo film, dopo Gamma daisan go: Uchu dai sakusen (1968), a essere diretto in co-produzione tra Giappone e America. Quest’ultimo, insieme a Kurotokage (1968) e Kurobara no yakata (1969), viene diretto per la casa cinematografica Shōchiku. Nel 1971 produce l’ultimo film con Tsuruta Kōji, Bakuto gaijin butai, e nel 1972 il film Gunki hatameku moto ni, che il regista dirige dopo aver comprato lui stesso i diritti per adattarlo2. Sempre del 1972 è il film Gendai yakuza: hitokiri

yota, sesto e ultimo della serie Gendai yakuza (1969 – 1972)3 prodotta dalla Tōei, che riscuote grande successo non solo per i suoi toni crudi e realistici, ma anche per il ruolo che ricopre l’attrice Nagisa Mayumi. Raramente un personaggio femminile è così attivo e fondamentale per lo sviluppo della storia4. Dopo il

successo ottenuto con Gendai yakuza: hitokiri yota, nel 1973 il produttore della Toei Shundō Kōji lo sceglie come regista per la serie Jinginaki tatakai. Dal 1973 al 1976 Fukasaku Kinji dirige i primi sette sequel: Jinginaki tatakai: Hiroshima shitō hen (1973), Jinginaki tatakai: dairi sensō (1973), Jinginaki tatakai: chōjō sakusen (1974), Jinginaki tatakai: kanketsu hen (1974), Shin jinginaki tatakai (1974), Shin jinginaki tatakai: kumichō no kubi (1975) e Shin jinginaki tatakai: kumichō saigo no hi (1976) 5. Dopo la produzione di Jingi no Hakaba

(1975), Kenkei tai soshiki bōryoku (1975), Yakuza no hakaba: kuchinashi no hana (1976) e Hokuriku dairi sensō (1977), Fukasaku si ritira dal genere yakuza per dedicarsi al genere storico e fantascientifico. Anche qui raggiunge alte vette di popolarità, soprattutto con i film Kamata kōshinkyoku (1982), Omocha (1999) e Battle Royale (2000). Muore nel 2003 di cancro durante la produzione di Battle Royale II: chinkonka che viene completata dal figlio Fukasaku Kenta.

2Il film viene acclamato dalla critica e selezionato per la nomination a “miglior film in lingua straniera”

durante i Premi Oscar 1973. Tuttavia la sua nomination non viene accettata.

3La prima serie nella quale Sugawara Bunta ricopre il ruolo di attore protagonista.

4Fino a quel momento le attrici femminili di yakuza eiga erano state relegate a ruoli passivi e secondari

(prostitute, geisha, amanti, mogli) e raramente avevano preso parte e contribuito alla battaglia solitaria dei loro uomini. Le uniche eccezioni sono la serie Hibotan Bakuto con Junko Fuji della Tōei, la serie Onna

Tobakushi con Kyoko Enami della Daiei e i film del regista Ishii Teruo.

5 Il nono e ultimo film della serie viene diretto da Eiichi Kudo con il titolo di Sonogono jinginaki tatakai

85 Yamane Sadao, durante un intervista6,racconta alcuni episodi curiosi sulla

carriera di Fukasaku. Il primo riguarda la sua passione per il cinema, soprattutto per l’azione in sé di riprendere e fissare le storie sulla pellicola di una macchina da presa. Il regista adorava così tanto stare sul campo (genba) da continuare a filmare insieme alla sua troupe fino a notte fonda, spesso fino alle cinque o sei di mattina, per poi riprendere un paio di ore dopo. Da qui deriva il soprannome dato a lui e al suo gruppo dai colleghi, che li chiamavano shinya sagyōgumi (il gruppo che lavora fino a notte fonda)7. Il secondo episodio riguarda la sua puntigliezza

ed esigenza, che lo rendevano quasi fastidioso (urusai). Yamane lo paragona al suo collega contemporaneo Katō Tai, che operava a Kyōto mentre Fukasaku si trovava nello studio di Tōkyō, e dice che entrambi erano così terribili, meticolosi e spaventosi durante la produzione dei loro film che, letteralmente, “anche i demoni li evitavano”8.

Come abbiamo già sottolineato, si devono a Fukasaku Kinji due grandi innovazioni. La prima fu la creazione della figura di un antieroe, parallelamente opposto ai guerrieri dei ninkyō eiga, la seconda e più importante fu la creazione del jitsuroku eiga, sottogenere dello yakuza eiga, che si distingue per i suoi toni violenti e documentaristici. La storia è accompagnata, in alcune parti, da una voce narrante come se si trattasse appunto di un documentario storico o giornalistico. Vengono inserite diverse testate giornalistiche o foto, per rendere più realistico il racconto. Sono inoltre presenti diversi fermi immagine, soprattutto quando un personaggio viene ucciso, accompagnati da scritte che ne rivelano il nome, la data di morte e, a volte, il nome dell’incidente che li ha portati al decesso. Spesso il regista usa la hand held camera, ispirandosi alle newsreel (brevi

6 Cfr. Yamane Sadao, “Kantoku: Remembering the Director”, The yakuza papers [videorecording]: battles

without honor & humanity, Disc 6. Special Features, Chicago, Home Vision Entertainment, 2004. DVD.

7 Per capire appieno il soprannome bisogna conoscere i kanji che lo compongono. In giapponese viene

scritto 深夜作業組み (shinya sagyōgumi), ed è formato dagli stessi kanji che compongono il cognome del regista, in giapponese 深作 (Fukasaku), che letteralmente vuol dire “lavorare fino in fondo”. Cfr. Yamane Sadao, “Kantoku: Remembering the Director”, The yakuza papers [videorecording]: battles without honor

& humanity, Disc 6. Special Features, Chicago, Home Vision Entertainment, 2004. DVD.

8 In giapponese 鬼も避けて通る (oni mo sakete tooru). Cfr. Yamane Sadao, “Kantoku: Remembering the

Director”, The yakuza papers [videorecording]: battles without honor & humanity, Disc 6. Special Features, Chicago, Home Vision Entertainment, 2004. DVD.

86 documentari che venivano mostrati nei cinema) soprattutto quelle riguardanti le rivolte studentesche. In un’intervista contenuta nel libro Tōkyō Scope: The Japanese Cult Film Companion di Patrick Macias, il regista afferma:

“One problem I had was the fact that the movies Toei made before were mostly just period pieces and costume plays. They had reached a dead end and people wanted to see something new. That’s how the yakuza films originally came to be made. But Toei was still making them in the style of the old period pieces. The stars were still carrying on the image of the stereotypical Japanese hero from before the war. Even if they were yakuza, they were never bad guys and there was no concept at all of the antihero. I wanted to make yakuza movies that had a sense of reality. I wanted to make them youthful and violent, but this was in direct conflicts with the old methods. I wanted to replace the old techniques with a new kind of film, where I could overlay my own experiences of living in postwar Japan. From growing up in that era, I was attracted to characters who had nothing but their strength, and violence, to believe in.”9

Fukasaku non fu il primo regista ad accorgersi che il ninkyō eiga era ormai stato superato, che non poteva più essere il simbolo della lotta tra un Giappone antico, vero e puro e l’invasione del consumismo e dell’utilitarismo stranieri poiché, dopo la guerra, del Giappone era rimasta solamente l’ombra. Non fu nemmeno il primo a ribellarsi, attraverso i suoi film, a un’immagine anacronistica e benevola degli yakuza. Prima di lui Suzuki Seijun, con il suo peculiare umorismo e la sua comicità, aveva sferrato un duro colpo ai film cavallereschi. Mentre Suzuki aveva fatto tremare le fondamenta del genere, Fukasaku fece crollare l’intero palcoscenico. È ormai universalmente considerato il “padre” del sottogenere documentaristico ultra-violento e, grazie a lui, lo yakuza eiga acquistò nuova forza e vigore.

Ciò che dei jitsuroku eiga di Fukasaku Kinji salta subito all’occhio sono l’estrema violenza e la rabbia esplosiva. Prima ancora di Jinginaki tatakai il

87 regista aveva attirato su di sé le attenzioni dei produttori e del pubblico con il film Gendai yakuza: hitokiri yota, che segna l’inizio della fondamentale collaborazione tra Fukasaku e l’attore Sugawara Bunta. Il regista, negli anni ’60, aveva provato a lavorare con Takakura e Tsuruta, le grandi star di yakuza eiga, ma sembra che nessuno dei due fosse disposto a rinunciare all’immagine costruita così duramente durante quasi un decennio di ninkyō eiga. Entrambi avevano affidato le loro carriere e la loro fama al genere cavalleresco e non erano disposti a distruggere l’idea che il pubblico aveva di loro. Nell’intervista Translating Fukasaku10, Linda Hoagliund11 parla della difficoltà che Fukasaku incontrò nel

trovare un attore che fosse disposto a mettersi in gioco, a lottare, arrabbiarsi, scomporsi, rendersi ridicolo, a mostrare sullo schermo la passione e la rabbia che ribollivano nel suo animo e nella società. Linda Hoagliund, citando Fukasaku, afferma che Tsuruta e Takakura “were so interested in looking good that they would just never roll around on the floor and get pissed off” e continua, sempre citando il regista, “I needed an actor who would be as angry and furious as I was at the world, and that’s when I stumbled onto Sugawara Bunta, there’s nothing more appealing and attractive than a hungry actor who wants to be a star”. Secondo la produttrice, la loro sinergia fu la chiave del loro successo, poiché entrambi avevano provato la rabbia e la disperazione del dopoguerra.

Proprio la rabbia è il tema principale di Gendai yakuza: hitokiri yota, l’ultimo della serie Gendai yakuza. Racconta la storia, narrata in prima persona, di Okita Isamu (Sugawara Bunta), un giovane teppista di strada (chinpira), un antieroe che combatte contro tutto e tutti. Okita, insieme alla sua gang di delinquenti (gurentai, letteralmente “persone deviate”), passa le giornate a vagabondare per le strade in cerca di risse e di opportunità nel mercato nero di Tōkyō. La sua gang riesce a conquistarsi una certa fama e ad attirare le attenzioni del Clan Takigawa, che impone loro di cedergli una quota degli incassi. Okita non è disposto a sottomettersi e attacca il clan, finendo in prigione. Una volta fuori viene contattato da Kizaki, uno yakuza espulso dal proprio clan, che gli propone di riunire alcuni chinpira e gurentai della zona e di mettere su un loro nawabari, una loro gang. Il

10 Linda Hoagliund, “Translating Fukasaku”, The yakuza papers [videorecording]: battles without honor &

humanity, Disc 6. Special Features, Chicago, Home Vision Entertainment, 2004. DVD.

88 gruppo si scontra numerose volte con il Clan Takigawa fino a quando Okita, nonostante gli avvertimenti del boss Yano (Andō Noboru), non riesce a uccidere Takigawa, causando così la morte di un suo compagno e lo scioglimento della gang. Nonostante le intercessioni di Yano e lo yubitsume di Okita, la gang di Tanigawa lo attacca. Kimiyo (Nagisa Mayumi), una ragazza che in passato era stata violentata e venduta proprio da Okita e che, nel rivederlo, si era innamorata di lui, si lancia in suo soccorso, ma viene pugnalata a morte. A quel punto la rabbia e la violenza di Okita esplodono e il protagonista reagisce, solamente per essere ucciso davanti allo sguardo impotente di Yano.

Sugawara si rivela subito una giovane promessa dell’appena nato jitsuroku eiga e la lunga esperienza dell’attore ed ex-yakuza Andō Noboru, con il suo sguardo gelido e tagliente, rende la storia ancora più credibile. Il successo di Gendai yakuza non può essere certo paragonato a quello di Jinginaki tatakai, ma il film riesce a conquistarsi subito il favore del pubblico.

“By the time Fukasaku unlashed his 1972 film Street Mobster, starring Bunta Sugawara, the yakuza genre had grown flabby and self-satisfied. It needed a creative transfusion if it wanted to make it through the next few years, as audiences (primarily young males) had grown tired of the old-fashioned morality tales of stoic criminals fighting for the weak against the corrupt strong. The ninkyo films no longer reflected the turbolent times of the late-1960s/early-1970s. But Street Mobster, and more importantly the five-film series Battles without Honor and Humanity, did reflect the chaos and uncertainty of the times. Gone were the clean-cut and morally-certain assassins that had drawn in audiences a generation before. Now the culturally-subversive sensations of violence, rape and nihilism lured audiences into the cinema, and Fukasaku was the reigning lord of cinematic misrule.”12

12 John Berra, Directory of World Cinema: Japan, Chicago, The University of Chicago Press, 2010, pp. 268-

89 Di particolare interesse è il ruolo svolto da Kimiyo, la fidanzata di Okita. Grazie alle opere di registi quali Katō Tai e Ishii Teruo, le donne poterono ricoprire ruoli di maggiore importanza all’interno del genere yakuza. Ricordiamo in particolare Yano Ryuko e Tachibana Akemi, la protagonista del film Kaidan nobori ryῡ diretto da Ishii. Entrambe hanno caratteri forti e, nonostante siano sole in una gang di uomini, sono rispettate e temute da tutti proprio perché, in qualche modo, sono uomini anch’esse. A parte queste eccezioni, nello yakuza eiga raramente i personaggi femminili hanno caratteri forti e, ancora più raramente, commettono qualche azione malvagia o avventata. Secondo Fukasaku “characters like Junko Fuji in Red Peony Gambler are not necessarily more complex because they are strong characters. In some ways they are one- dimensional, similar to the characters that Ken Takakura played in those ninkyo films. They don’t do bad things. They always remain clean.” Al contrario Kimiyo, similmente ad Okita, non riesce a reprimere la rabbia nei confronti del mondo e della società, che ha distrutto la sua vita non lasciandole altra possibilità oltre a quella di darsi alla prostituzione. Kimiyo viene rapita e stuprata il giorno stesso in cui si è trasferita a Tōkyō. In quello stesso giorno il bentō preparatole dalla madre viene mangiato dai suoi stupratori e, nella scena finale, si vedrà lo stesso riso sparpagliato a terra vicino al corpo morto della giovane ragazza. La sua sfortuna è anche quella di innamorarsi proprio dell’uomo che l’ha violata e che la tradirà innumerevoli volte con altre geisha o prostitute. Le tragedie che la vita le ha riservato non le permettono di avere la stessa fermezza morale delle eroine dei film cavallereschi, e la sua fragilità ha la meglio, spingendola a commettere atti disperati. Okita, come rivela il titolo stesso del film, è un buono a nulla (yota), un’incompetente incapace anche di giocare d’azzardo e un perdente nato in un giorno sfortunato, il 15 agosto 1945, giorno della resa del Giappone. È incapace anche di essere sincero con Kimiyo, che non rimane mai impassibile davanti agli affronti che le vengono arrecati, e arriverà a sfogare il suo rancore sul viso di una giovane ragazza amante di Okita, sfigurandola con un coltello. Come il protagonista, anche lei è un personaggio ribelle e tragico, vittima del caos della società.

90 Con la resa del Giappone e la fine della guerra molte cose cambiarono nel paese. Si passò da un regime militare a un regime democratico, con l’Occupazione americana il Giappone sperimentò per la prima volta cosa volesse dire essere un paese occupato da un esercito straniero, proprio da quell’esercito che lo aveva sconfitto in guerra e che aveva testato su di lui la devastante bomba atomica, provocando migliaia di morti e una povertà dilagante. Gli americani introdussero una nuova costituzione, forzarono il Giappone al disarmo e alla smilitarizzazione e costrinsero l’Imperatore a confessare di non possedere natura divina, ma di essere un uomo come gli altri. Centinaia di giovani kamikaze, che fino al giorno prima erano stati disposti ad offrire la loro vita all’Imperatore, lanciandosi contro le colossali navi americane a bordo dei loro “Ōka”13, semplici

velivoli di legno, si sentivano dire che quello per cui avevano combattuto non esisteva più, che il loro sacrificio e quello dei loro amici era stato vano. Lo stesso Tsuruta Kōji, che fu pilota della Marina Imperiale, vide cadere uno dietro l’altro i suoi compagni che si sacrificavano nella speranza di poter vincere la guerra14.

Il giovane Fukasaku, che nell’anno della fine dell’Occupazione compiva 22 anni, si trovò così anche lui smarrito tra due realtà: il Giappone pre-bellico e il Giappone post-bellico. Suo figlio, il regista Fukasaku Kenta, e il critico Yamane Sadao raccontano nell’intervista Jitsuroku, Reinventing a Genre di come Fukasaku avesse sentito da giovane un profondo senso di vuoto (kyomukan) e di diffidenza (fushin) nei confronti degli adulti. Secondo Yamane Sadao in quegli anni la popolazione era spaccata tra chi era disposto a cambiare insieme alla società e chi invece vedeva nel cambiamento un tradimento. Fukasaku non si schierò né da una parte né dall’altra. I suoi film in qualche modo protestavano contro il cambiamento, ma allo stesso tempo non lo negavano, proponendo protagonisti perfetti e idealizzati o paladini della tradizione, come invece facevano i registi di ninkyō eiga. Grazie alla sua ricerca di realismo, il regista riuscì a trasporre nei suoi film, e specialmente nella serie Jinginaki tatakai, il racconto dettagliato e verosimile di ciò che era successo alla mafia e al Giappone nel dopoguerra, catturando così il favore del pubblico.

13 Cfr. Ivan Morris, The Nobility of Failure – Tragic Heroes in the History of Japan, Kurodahan Press, 2014. 14 Mark Schilling, “Yakuza Films: Fading Celluloid Heroes”, in Japan Quarterly, Tokyo 43.3, Luglio 1996, pp

91 Gli stessi sentimenti di instabilità, di incertezza e di inquietudine che il regista covava dentro di sé trapelano in Hirono, protagonista (se così si può dire) della serie Jinginaki tatakai. La serie, sebbene sembri incentrarsi principalmente sulla figura di Hirono e sul suo legame con il boss Yamamori (Kaneko Nobuo), racconta in realtà le vicende di quasi 100 personaggi15 e, attraverso la storia dello

Yamamorigumi, fa luce sulle trasformazioni che avvennero all’interno della società giapponese e dell’organizzazione Yakuza nel periodo post-bellico, in un arco di tempo che va indicativamente dal 1947 al 1970. La serie è ispirata a fatti realmente accaduti ed è basata sulle confessioni e le memorie del boss del Minōgumi, un clan di Hiroshima. Il giornalista Kōichi Iiboshi intervistò il boss Minō Kōzō che durante la sua detenzione aveva messo per iscritto le vicende a cui aveva preso parte e serializzò le sue confessioni in due volumi. Successivamente lo sceneggiatore Kasahara Kazuo li utilizzò come base per la storia e i dialoghi

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