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CAPITOLO 1 LA RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA DIPENDENTE DA REATO DEGLI ENTI . 8

Il Decreto Legislativo n. 231/2001, a norma dell’art. 11 della legge 29 settembre 2000 n. 300, ha introdotto la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica e ne delinea i principi generali e i criteri di attribuzione, superando definitivamente il concetto “societas delinquere non potest”.

Tale decreto costituisce l’attuazione degli impegni assunti dall’Italia a livello comunitario e internazionale nell’ambito della lotta alla corruzione ed in particolare:

1) Convenzione di Bruxelles del 26/07/95 in materia di tutela degli interessi finanziari della Comunità Europea;

2) Convenzione del 26/05/97 sulla lotta alla corruzione di funzionari della Comunità Europea o degli Stati membri;

3) Convenzione OCSE del 17/12/97 sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche ed internazionali.

Il regime di responsabilità amministrativa a carico degli enti (da intendersi come società, consorzi, associazioni, ecc.) si aggiunge alla responsabilità penale della persona fisica che ha commesso materialmente il reato.

Il Decreto stabilisce, infatti, la responsabilità degli enti nel caso in cui i soggetti apicali o i sottoposti commettono, o tentano di commettere, determinati reati normativamente elencati (c.d. presupposto) nell’interesse o vantaggio dell’ente stesso.

Il Decreto fissa i principi generali e i criteri di attribuzione della responsabilità amministrativa agli enti, le sanzioni, nonché il relativo procedimento di accertamento dei reati e di applicazione delle relative sanzioni.

Nel Capitolo 1 del presente Modello sono riportati i concetti principali della normativa, rinviando al testo di legge per i necessari approfondimenti tecnici, in ragione della finalità “informativa e formativa” del presente Modello, che induce a preferire un linguaggio semplice e che ne agevoli la lettura e la comprensione.

1.1 La responsabilità dell’Ente e gli autori del reato presupposto

La responsabilità amministrativa dell’Ente è autonoma ma, in concreto, è conseguenza diretta della condotta posta in essere da una persona fisica (la quale dà luogo ad una responsabilità anch’essa autonoma), appartenente alla sua organizzazione, integrante una delle fattispecie illecite (reati) espressamente indicate dal Decreto (si veda allegato 1). La responsabilità amministrativa dell’Ente si “affianca”, infatti, a quella della persona fisica che ha commesso il reato.

L’art. 5 del suddetto decreto distingue due differenti tipologie di autori del reato (presupposto), sulla base del tipo di rapporto funzionale che lega i soggetti alla società:

a) persone fisiche che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale, oppure che esercitino, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso (ruolo di rappresentanza, c.d. soggetti “apicali”: amministratori, consiglieri delegati, procuratori, direttori, vice e loro facenti funzioni);

b) persone fisiche sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti sopra indicati (ruolo di subordinazione, c.d. soggetti subordinati: può trattarsi sia di dipendenti, che di collaboratori, professionisti, prestatori d’opera occasionali).

Nel caso in cui il reato sia commesso da persone in posizione apicale (a), l’Ente andrà esente da responsabilità ex d. lgs. n. 231/2001 se dimostra (art. 6 d. lgs. 231/2001):

a) di aver adottato ed efficacemente attuato attraverso l’organo dirigente, prima della commissione del fatto, un Modello di Organizzazione e di Gestione idoneo a prevenire reati della fattispecie verificatasi;

b) di aver affidato ad un organismo interno (Organismo di Vigilanza), dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo, il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza del Modello, nonché di curarne l’aggiornamento;

c) che le persone che hanno commesso il reato hanno agito eludendo fraudolentemente il Modello;

d) che non vi sia omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’Organismo di Vigilanza (di cui alla precedente lett. b).

Nel caso in cui, invece, il reato sia commesso da soggetti in posizione subordinata (b), l’Ente sarà responsabile se la commissione del reato è stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza.

L’inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza è esclusa se l’Ente, prima della commissione del reato, ha adottato ed efficacemente attuato un Modello di organizzazione e gestione idoneo a prevenire reati della fattispecie verificatasi (art. 7 d. lgs. 231/2001).

Ai sensi dell’art. 5 del Decreto rilevano, tuttavia, solo le condotte poste in essere nell’interesse o a vantaggio dell’Ente: pertanto questo non risponde se gli autori materiali del reato hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi.

Gli elementi costitutivi dell'interesse e del vantaggio dell'ente sono criteri di ascrizione dell'illecito amministrativo dipendente da reato ed hanno valenza alternativa. “Interesse” e “vantaggio” esprimono, infatti, concetti giuridicamente diversi e rappresentano presupposti alternativi, ciascuno dotato di un proprio ambito applicativo e di una propria autonomia. La Relazione governativa che accompagna il Decreto attribuisce al primo (“interesse”) una valenza marcatamente soggettiva che esprime la direzione finalistica della condotta, suscettibile di una valutazione ex ante (a monte dell’evento); l’interesse attiene al tipo di attività che viene realizzata e deve, pertanto, trovare una perfetta incidenza nella idoneità della condotta a cagionare un beneficio per l’Ente, senza richiedere che l’utilità venga effettivamente conseguita.

Al “vantaggio” viene, invece, attribuita una valenza marcatamente oggettiva, riferita quindi ai risultati effettivi della condotta del soggetto agente che, pur non avendo avuto direttamente di mira un interesse dell’ente, ha realizzato, comunque, con la sua condotta un vantaggio in suo favore ed è suscettibile di una verifica ex post.

METTERE SE IL VANTAGGIO E / O L’INTERESSE SI RIFERSCANO AL CONCETTO DI

“ECONOMICAMENTE APPREZZABILE”

L’inclusione all’interno dei reati-presupposto di quelli in materia di salute e sicurezza sul lavoro e dei reati ambientali, ha presentato in astratto un problema di compatibilità logica tra la non volontà dell’evento, tipica degli illeciti colposi ed il finalismo sotteso al concetto di “interesse” dell’ente.

Sul punto, le Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza n. 38343 del 24.4.2014, sentenza Thyssen, hanno chiarito che nei reati colposi di evento i concetti di interesse e vantaggio “devono essere riferiti alla condotta e

non all’evento” (un esempio concreto: il risparmio per l’impresa collegato al mancato adeguamento dei presidi antinfortunistici, mancata manutenzione a macchinari ed impianti etc. etc.).

Oggetto della valutazione deve essere, pertanto, la condotta e non l’evento: “è ben possibile che l'agente violi consapevolmente la cautela, o addirittura preveda l'evento che ne può derivare, pur senza volerlo, per corrispondere ad istanze funzionali a strategie dell'ente”.

Il vantaggio riconducibile all’Ente, che è concetto diverso dal profitto, può essere: diretto, ovvero riconducibile in via esclusiva e diretta all’Ente; indiretto, cioè mediato da risultati fatti acquisire a terzi, suscettibili però di ricadute positive per l’Ente.

1.2 Reati commessi all’estero

Svolgendo la Franchini s.r.l. la propria attività anche fuori dal territorio nazionale occorre prendere in considerazione nel presente modello anche le ipotesi di illecito commesso all’estero.

Ai sensi dell’art. 4 del Decreto, infatti, nel caso si verifichi un illecito nel territorio estero, gli Enti che hanno la loro sede principale nel territorio dello Stato italiano sono comunque perseguibili, salvo che lo Stato del luogo ove il fatto-reato è stato commesso non decida di procedere nei loro confronti (art. 4, comma 1, d. lgs. n.

231/2001).

In particolare, i presupposti per l’applicazione di tale fattispecie sono i seguenti:

- il reato deve essere commesso all’estero;

- devono sussistere le condizioni di cui agli artt. 7-8-9-10 c.p. che subordinano la punizione del reato commesso da soggetto apicale o subordinato nell’interesse o vantaggio dell’ente; tale rinvio è da coordinare con le previsioni degli articoli da 24 a 25-quaterdecies del D. Lgs. 231/2001, sicché a fronte della serie di reati menzionati dagli artt. 7-10 c.p., la società potrà rispondere soltanto di quelli per i quali è prevista la responsabilità amministrativa dell’ente;

- l’ente deve avere la propria sede principale nel territorio dello Stato italiano;

- nei confronti dell’ente non proceda per il medesimo fatto lo Stato nel quale è stato commesso il fatto;

- nei casi in cui la legge prevede che il colpevole sia punito a richiesta del Ministro della Giustizia, si procede contro l’ente solo se la richiesta è formulata anche nei confronti dell’ente stesso.

1.3 Autonomia della responsabilità dell’ente

La responsabilità dell’ente è subordinata alla realizzazione di un reato da parte della persona fisica ma rimane comunque autonoma dalla responsabilità di quest’ultima.

La responsabilità dell’ente prescinde, infatti, dalla (non) imputabilità dell’autore del reato presupposto, dalla sua mancata identificazione ed anche dall’estinzione del reato (presupposto) per una causa diversa dall’amnistia (art. 8, comma 1, lett. a e b d. lgs. n. 231/2001).

1.4 Delitto tentato

Nel caso in cui i reati presupposto siano stati commessi nelle forme del delitto tentato (art. 26 del Decreto) le sanzioni amministrative in capo all’ente andranno ridotte da un terzo alla metà. L’Ente, tuttavia, non risponde quando, volontariamente, impedisce il compimento dell’azione o la realizzazione dell’evento.

1.5 Le fattispecie di reato

Le fattispecie di reato presupposto per la responsabilità amministrativa dell’Ente sono soltanto quelle espressamente elencate dal Legislatore nel Decreto, a cui si rinvia: nell’Allegato 1 al presente Modello si riportano i reati richiamati dal Decreto, come ad oggi aggiornato, precisando sin d’ora che gli stessi potranno essere oggetto di successive integrazioni da parte del Legislatore.

1.6 Le sanzioni

Le sanzioni previste a carico dell’Ente nel caso in cui si configuri una responsabilità amministrativa dipendente da reato, sono le seguenti:

a) sanzione pecuniaria;

b) sanzione interdittiva;

c) confisca;

d) pubblicazione della sentenza.

In linea generale, le sanzioni pecuniarie vengono applicate per tutti gli illeciti mentre le interdittive solo in casi tassativi di particolare gravità e possono essere accompagnate dalla pubblicazione della sentenza di condanna. Il sistema sanzionatorio è, generalmente, progressivo e si adotta in modo proporzionalmente più severo in funzione di una serie di elementi, tra i quali:

- per la sanzione pecuniaria: la gravità del fatto, il grado di responsabilità dell’Ente e l’attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti;

- per le sanzioni interdittive: l’entità del profitto, la qualifica dell’autore del reato come soggetto apicale o in caso reiterazione degli illeciti.

a) Le sanzioni pecuniarie, applicabili a tutti gli illeciti, sono determinate attraverso un sistema basato su “quote”:

il Giudice applica la sanzione individuando il numero di quote da applicare e il valore di ciascuna quota. Le quote si applicano in numero non inferiore a 100 e non superiore a 1.000, con importo variabile, da un minimo di € 258,00 ad un massimo di € 1.549,00 a seconda della tipologia del reato presupposto e delle condizioni economiche e patrimoniali dell’ente.

Sono previsti casi di riduzione della sanzione se l’ente si adopera immediatamente per risarcire il danno e per l’adozione di un appropriato modello organizzativo.

b) Le sanzioni interdittive si applicano solo per alcune tipologie di reato in aggiunta alle sanzioni pecuniarie.

Le sanzioni interdittive sono:

- l’interdizione dall’esercizio dell’attività;

- il divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione;

- la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito;

- l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e/o l’eventuale revoca di quelli già concessi;

- il divieto, temporaneo o definitivo, di pubblicizzare beni o servizi.

Le sanzioni interdittive sono applicate solo ai reati per i quali sono espressamente previste, ove ricorra almeno una delle seguenti condizioni:

- l’Ente ha tratto dal reato un profitto di rilevante entità ed il reato è stato commesso da soggetti in posizione apicale ovvero da soggetti sottoposti all’altrui direzione e vigilanza quando la commissione del reato è stata determinata o agevolata da gravi carenze organizzative;

- in caso di reiterazione degli illeciti.

Le sanzioni interdittive hanno durata non inferiore a 3 mesi e non superiore a 2 anni e sono normalmente temporanee, ma possono eccezionalmente essere applicate con effetti definitivi.

Anche per le sanzioni interdittive vige la possibilità di una loro riduzione, alle stesse condizioni già sopra accennate per le sanzioni pecuniarie.

Se sussistono i presupposti per l’applicazione di una sanzione interdittiva che determini l’interruzione dell’attività dell’Ente, il Giudice può, in determinate condizioni, disporre, in luogo dell’applicazione della sanzione, la prosecuzione dell’attività dell’Ente da parte di un commissario giudiziale per la stessa durata (anche in fase cautelare).

Ai sensi dell’art. 15 d. lgs. 231/2001 il commissario giudiziale può essere nominato quando ricorre una delle seguenti condizioni:

a) l’ente svolge un pubblico servizio o un servizio di pubblica necessità la cui interruzione può provocare un grave pregiudizio alla collettività;

b) l’interruzione dell’attività dell’ente può provocare, tenuto conto delle sue dimensioni

e delle condizioni economiche del territorio in cui è situato, rilevanti ripercussioni sull’occupazione.

c) Con la sentenza di condanna è sempre disposta nei confronti dell’Ente la confisca del prezzo o del profitto del reato, salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato. Sono fatti salvi i diritti acquisiti dai terzi in buona fede.

Se non è possibile eseguire la confisca diretta, questa può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato (confisca per equivalente).

Occorre specificare che il Decreto prevede altre forme di ablazione patrimoniale, pur in assenza di sentenza di condanna. La prima ipotesi è contemplata dall’art. 6 comma 5 che prevede la confisca obbligatoria del profitto che l’ente ha tratto dal reato anche nel caso in cui la colpa da organizzazione sia stata esclusa (e dunque la responsabilità amministrativa) essendo stata provata l’adeguatezza del modello; in tal caso, la confisca assume la funzione di strumento ripristinatorio dell’equilibrio economico alterato attraverso la commissione del reato, non potendosi riconoscere alcuna finalità punitiva nei confronti dell’ente incolpevole.

L’art. 15, comma 4 prevede, altresì, la confisca del profitto derivante dalla prosecuzione dell’attività dell’impresa in caso di nomina di un commissario giudiziale.

d) Nel caso di applicazione di una sanzione interdittiva, il Giudice può, altresì, disporre la pubblicazione della sentenza di condanna. La sentenza è pubblicata una sola volta, per estratto o per intero, in uno o più giornali indicati dal giudice nella sentenza, nonché mediante affissione nel comune ove l’Ente ha la sede principale.

Presso il Casellario Giudiziale Centrale è istituita l’Anagrafe Nazionale delle Sanzioni Amministrative ove sono iscritte le sentenze di condanna degli enti, divenute irrevocabili.

1.7 Le misure cautelari

Il decreto legislativo sulla responsabilità amministrativa degli Enti prevede la possibilità di applicare all’Ente le sanzioni interdittive previste dall’art. 9 comma 2 anche a titolo cautelare (art. 45 d. lgs. n. 231/2001).

Le misure cautelari hanno carattere eccezionale essendo applicabili nel corso del procedimento e quindi prima di un’eventuale sentenza di condanna.

Per tali motivi possono essere disposte, su richiesta del Pubblico Ministero, solo in presenza delle seguenti tassative condizioni:

- gravi indizi per ritenere la sussistenza della responsabilità dell’Ente per la commissione di un illecito amministrativo dipendente da reato;

- fondati e specifici elementi che fanno ritenere concreto il pericolo di commissione di illeciti della stessa indole di quello per cui si procede.

La scelta del tipo di misura cautelare è basata sulla specifica idoneità di ciascuna misura in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto e sul criterio della proporzionalità all’entità del fatto ed alla sanzione che si ritiene di irrogare all’Ente.

1.8 Sequestro preventivo e conservativo

Sempre in via cautelare, l’art. 53 del Decreto prevede la possibilità di disporre il sequestro (preventivo) delle cose di cui è consentita la confisca, ovvero dei beni che costituiscono prezzo e profitto del reato, tanto in forma diretta quanto per equivalente.

Di recente la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto, altresì, applicabile agli enti anche il sequestro “impeditivo”

previsto dall’art. 321 comma 1 c.p.p. (Cass. Pen., Sez. II, Sent. 34293 del 10/07/2018, Sunflower S.r.l.).

Il Pubblico Ministero può, infine, chiedere il sequestro conservativo dei beni dell’ente qualora vi sia fondata ragione di ritenere che manchino o si disperdano le garanzie per il pagamento della sanzione pecuniaria e delle spese del procedimento (art. 54 d. lgs. 231/2001).

1.9 I Modelli Organizzativi

La responsabilità amministrativa dell’Ente è connessa ad una “colpa di organizzazione” (rectius, colpa da dis-organizzazione), intesa come carenza organizzativa dell’ente che abbia reso possibile la commissione del reato.

Laddove l’ente si sia dotato di una organizzazione idonea a prevenire il verificarsi dei reati, ossia abbia predisposto ed attuato un Modello di Organizzazione e di Gestione idoneo, avente le caratteristiche previste dal Decreto, lo stesso ente potrà andare “esente” da responsabilità amministrativa da reato (art. 6 d. lgs. n.

231/2001).

I modelli comportamentali dovranno essere specificamente “calibrati sul proprio livello di rischio-reato”, in modo da impedire, attraverso la previsione di regole di condotta, la commissione di reati: requisito

indispensabile perché dall’adozione del Modello di Organizzazione e di Gestione derivi l’esenzione da responsabilità dell’Ente è che lo stesso venga non solo adottato ma anche efficacemente attuato.

1.10 Le Linee Guida

Il Decreto prevede la possibilità che i Modelli di Organizzazione e di Gestione siano predisposti ed adottati sulla base di “Linee Guida” ovvero codici di comportamento redatti da associazioni rappresentative di categoria e approvati dal Ministero della Giustizia, cosi come previsto dal Decreto. Confindustria ha approvato il testo definitivo (versione aggiornata al 31 marzo 2008 ed al 2014) delle proprie “Linee Guida per la costruzione dei Modelli di Organizzazione, Gestione e Controllo ex d. lgs. 231/2001”, nelle quali sono fornite indicazioni metodologiche su come individuare le aree di rischio e strutturare il modello organizzativo.

Le citate Linee Guida suggeriscono alle società di utilizzare i processi di valutazione e gestione del rischio, prevedendo, schematicamente, le seguenti attività:

- individuazione delle aree di rischio, volta a verificare in quale area/settore aziendale sia possibile la realizzazione degli eventi pregiudizievoli previsti dal Decreto;

- predisposizione di un sistema di controllo in grado di prevenire i rischi attraverso l’adozione di appositi protocolli e procedure;

- l’individuazione dei criteri per la scelta dell’Organismo di Vigilanza e previsione di specifici flussi informativi da e per l’Organismo di Vigilanza;

- l’istituzione di un sistema sanzionatorio in caso di violazione del modello.

Con riferimento al settore di operatività della Franchini s.r.l., non risulta che le Associazioni di categoria abbiano predisposto apposite Linee Guida per la redazione dei Modelli Organizzativi di cui al d. lgs. n.

231/2001, così che il presente Modello è stato redatto tenendo conto delle Linee Guida “generali” emanate da Confindustria sopra citate, opportunamente adattate alla realtà aziendale.

Va precisato che eventuali integrazioni o differenze rispetto a quanto previsto dalle Linee Guida hanno la funzione di recepire le peculiarità aziendali garantendo la necessaria “personalizzazione” del Modello.

1.11.1. Gli aspetti essenziali delle Linee Guida di Confindustria

I fattori più rilevanti del sistema di controllo preventivo individuati da Confindustria per la prevenzione della commissione dei reati previsti dal Decreto sono i seguenti:

A) Con riferimento ai reati dolosi:

- Codice etico o di comportamento;

- Sistema organizzativo aggiornato, formalizzato e chiaro;

- Procedure manuali ed informatiche;

- Sistema di deleghe e procure;

- Sistemi di controllo e gestione;

- Comunicazione al personale e sua formazione.

B) Con riferimento ai reati colposi, fermo restando quanto sopra (punto A):

- Codice etico o di comportamento;

- Struttura organizzativa;

- Comunicazione e coinvolgimento delle risorse;

- Gestione operativa;

- Sistema di monitoraggio della sicurezza (per i reati connessi alla “sicurezza sul lavoro”).

Il sistema di controllo deve, in ogni caso, rispondere ai seguenti principi:

- verificabilità, documentabilità, coerenza e congruenza di ogni operazione;

- applicazione del principio di separazione delle funzioni (nessuno può gestire in autonomia un intero processo);

- documentazione dei controlli;

- previsione di un adeguato sistema sanzionatorio per la violazione delle norme del Codice etico e delle procedure/protocolli previsti dal Modello;

- individuazione dei requisiti dell’Organismo di Vigilanza, riassumibili in:

a) autonomia e indipendenza, b) professionalità, c) continuità d’azione;

- previsione di modalità di gestione delle risorse finanziarie;

- obblighi di informazione (flussi informativi) verso l’Organismo di Vigilanza.

Il mancato rispetto di punti specifici delle predette Linee Guida non inficia, comunque, la validità del Modello che deve essere necessariamente redatto con specifico riferimento alla realtà concreta della Società. Si precisa, infine, che le stesse Linee Guida emanate da Confindustria sono soggette ad aggiornamenti e revisioni di cui si dovrà tener conto in sede di analisi.

2. CAPITOLO 2 IL MODELLO DI ORGANIZZAZIONE, GESTIONE E CONTROLLO DELLA FRANCHINI

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