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SOMMARIO : 1. Il problema della qualificazione della assegnazione non proporzionale: regola costitutiva o regola corporativa?; 2. L’assegnazione non proporzionale tra contrattualismo ed istituzionalismo: breve digressione su un antico dibattito; 3. La assegnazione non proporzionale tra contratto sociale e profili corporativi; 4. La posizione giuridica dell’azionista rispetto all’operazione di assegnazione non proporzionale; 5. L’assegnazione non proporzionale rispetto al principio di necessaria correlazione tra rischio e potere e di parità di trattamento tra i soci; 6. I due casi di applicazione del nuovo istituto prospettati dalla Relazione di accompagnamento: l’apporto di utilità non diversamente conferibili, e la diversa assegnazione in esito alla revisione della stima; 7. Considerazioni riepilogative.

1. Il problema della qualificazione della assegnazione non proporzionale: regola costitutiva o regola corporativa?

Alla luce della ricostruzione fin qui compiuta, volta ad inserire la novità in discorso nel più complesso contesto di evoluzione storico – culturale della società per azioni, è necessario ora rivolgersi all’analisi di alcuni dei numerosi problemi che l’introduzione legislativa della possibilità di operare una assegnazione non proporzionale naturalmente pone.

Si tratta, come detto, di comprendere, innanzitutto, se vi siano spazi per affermare la possibilità, per i soci, di porre in essere una assegnazione non proporzionale anche durante la vita della società e, dunque, non soltanto nella fase costitutiva; si tratta, inoltre, qualora si ritenga di accedere alla prima ipotesi, di comprendere quale sia la misura del consenso necessario a porre in essere un’operazione di questo tipo, e cioè se sia imprescindibile, al fine, il raggiungimento dell’unanimità, ovvero se possa ritenersi anche sufficiente l’approvazione di una maggioranza, eventualmente qualificata.

Tale (tentativo di) risoluzione, tuttavia, postula, anzitutto ed inevitabilmente, la necessità, per l’interprete, di prendere posizione su alcuni dei più classici temi del diritto commerciale.

Ciò evidentemente perché l’istituto della assegnazione non proporzionale, operando, come si è detto, direttamente sul rapporto tra misura della partecipazione, entità dei conferimenti e capitale, va a coinvolgere, da una parte, la posizione del singolo socio, ed, allo stesso tempo, l’intera struttura della fattispecie societaria, riflettendosi direttamente sui principali aspetti strutturali dell’iniziativa economica perseguita.

È chiaro, d’altronde, che, nel silenzio della norma, qualsiasi scelta l’interprete voglia compiere in merito alle principali questioni inerenti la assegnazione di azioni in misura non proporzionale al conferimento, presupporrà, innanzitutto, una scelta in ordine alla qualificazione della norma.

Al vertice, si tratta di comprendere se la stessa debba ritenersi una regola costitutiva, oppure una regola organizzativa.

È noto, infatti, come, nell’analisi del fenomeno societario, si ponga quale centrale la distinzione tra momento strutturale e momento organizzativo, sintesi della dicotomia tra fattore statico e fattore dinamico nell’ambito della disciplina della fattispecie in parola.

Ciò, d’altronde, è coerente con la duplice natura del contratto di società, che si presenta, da un lato, alla stregua di ogni contratto privatistico, come incontro delle volontà dei suoi contraenti, e però, dall’altro lato, come elemento genetico di un organismo altro e diverso – la società, appunto – che in qualche modo la volontà dei suoi fondatori trascende e travalica, proponendosi, allo stesso tempo, come autonomo soggetto di diritti.

E d’altra parte – poiché le due cose sono, come è ovvio, immediatamente collega te – valutare la natura della norma inerente la assegnazione non proporzionale significa analizzare la posizione del socio di società per azioni, e dunque cercare di comprendere se sia o meno configurabile, in capo all’azionista, un vero e proprio diritto soggettivo alla parità di trattamento e, perciò, ad ottenere un numero di azioni direttamente proporzionale a quanto conferito; ciò che renderebbe allora insuperabile

l’esigenza di una approvazione unanime, non potendo, evidentemente, la maggioranza disporre di un diritto perfetto riconosciuto in capo ad altri58.

2. L’assegnazione non proporzionale tra contrattualismo ed istituzionalismo: breve digressione su un antico dibattito.

Sul punto, d’altronde, è già stato autorevolmente attestato come la previsione normativa della derogabilità della rigida proporzionalità rappresenterebbe un (ulteriore) segnale del superamento della concezione contrattualistica dell’atto costitutivo della società – in particolare di capitali – verso una concezione, per così dire, organizzativa, ovvero di costituzione della struttura societaria nella sua complessità di obiettivi, apporti, responsabilità59.

In ciò starebbe, dunque, la funzione dell’atto costitutivo (che, per questa via, si riapproprierebbe del suo significato più intrinseco, quello di “costituire”, appunto, la società), essendo poi rimessa, invece, alla libera determinazione dei soci la ripartizione – tendenzialmente secondaria ed ininfluente per i terzi – degli aspetti interni, legati al peso che ciascun partecipante potrà reclamare sulle vicende e sui risultati dell’attività60.

La disposizione in parola, nel più ampio contesto in cui si pone, sarebbe dunque da leggersi nel solco del processo di neutralizzazione del tipo della società per azioni, con trasposizione di esso sul piano organizzativo, ed esaltazione del nocciolo dello svolgimento della attività di impresa.

58

È stato autorevolmente rilevato, infatti, che “i temi organizzativi della società per azioni

attengono soprattutto al gruppo dei soci e coinvolgono quindi in primo luogo la caratterizzazione della loro posizione giuridica. Si tratta essenzialmente, in questo senso, di precisare quali specifici connotati essa assuma in conseguenza del significato collettivo, quindi organizzativo, della fenomenologia societaria e dei peculiari connotati che essa riveste nella società per azioni”. Così, C. ANGELICI, Società per azioni e in accomandita per azioni, voce per l’Enciclopedia del diritto, vol. XLII, Milano,

1990, p. 981.

59

P. FERRO LUZZI, La «diversa assegnazione delle azioni» (art. 2346, comma 4º, c.c.), in

Liber amicorum G.F. Campobasso, pag. 584 ss.. L’Autore, dopo aver accennato alla valenza pure

significativa, nell’ambito del dibattito in parola, della introduzione nell’ordinamento dell’ipotesi di società costituita da un unico socio, passa a sottolineare come la riforma abbia accentuato la funzione centrale dell’atto costitutivo quale atto di genesi dell’organizzazione e, più in generale, del funzionamento della società, e come si rafforzi, anche attraverso l’istituto che qui si analizza, “il distacco tra il soggetto

– socio e l’azione oggettivamente considerata come elemento strutturale dell’organizzazione”.

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A tale riguardo, lo stesso Autore ha evidenziato come già il termine “assegnazione” sia, nell’ambito che qui ci impegna, del tutto atipico e singolare, presupponendo evidentemente, sotto il profilo (crono)logico, la già avvenuta creazione dell'oggetto da “assegnare”; P.FERRO LUZZI, ibidem.

Non stupisce, pertanto, che una parte della dottrina abbia ritenuto, sul tema, di prendere espressamente posizione rispetto al supposto equivoco di una rinata concezione istituzionalistica della società, indicando, al contrario, nel quadro in esame la definitiva riprova dell’affermazione della concezione contrattualistica, connessa e conseguente alla massima valorizzazione della autonomia privata operata dalla riforma61.

Per questa via, l’istituto della assegnazione non proporzionale al conferimento, di cui all’art. 2346 c.c., finisce per inserirsi a pieno titolo nel pur risalente dibattito sulla individuazione della concezione della società accolta dal legisla tore, e sulla relativa possibilità di tracciare, sul punto, una evoluzione modificativa delle scelte del medesimo, in conseguenza delle recenti innovazioni apportate al diritto positivo.

Trattasi della disputa relativa al corretto inquadramento dello stesso fenomeno societario – e della società per azioni in particolare – nell’ambito del generale sistema giuridico e normativo, e ciò non solo e non tanto per cogliere quello che è stato lo spirito ispiratore della riforma in linea generale, ma ancor più per comprendere nello specifico in quali principi generali di (eventualmente) nuova affermazione abbia potuto trovare le sue radici la disposizione che qui ci interessa, nell’obiettivo di coglierne, per questa via, la reale portata innovativa.

Ciò obbliga in qualche modo a dare qui almeno brevemente conto, per ragioni di completezza dell’esposizione, di un altro importante dibattito, con l’avvertenza che, sia per l’intrinseca complessità che ne caratterizza il contenuto, e sia per la grandezza degli Autori che vi hanno nel tempo preso parte, non potrà in questa sede che esserne dato un modesto resoconto.

La questione ha data antica, e la contesa potrà ritenersi, ormai, non più attuale, essendo definitivamente superate le contaminazioni ideologiche che ne hanno costituito, per lungo tempo, la premessa; di essa residua, tuttavia, una forte traccia, ben visibile anche nella matrice che impronta i diversi orientamenti della dottrina anche nella valutazione della fattispecie che ci occupa.

61

F. D’ALESSANDRO, cit., p. 41 ss.; l’Autore afferma, altresì, di ritenere manifestamente infondata la preoccupazione per cui il diffuso richiamo alle “ragioni dell’impresa ” preluderebbe ad un

“neo-istituzionalismo”, e ciò in quanto sarebbe ben salda, nelle nuove norme, “l’equazione tra interesse della società ed interesse dei soci”.

È ben nota, in effetti, la tradizionale dicotomia che da sempre contrappone i sostenitori della tesi contrattualistica a quelli della tesi istituzionalistica, nella ricostruzione dei modelli societari.

L’orientamento contrattualistico – che si riaggancia evidentemente alla generale definizione di apertura del Titolo V del Libro V del codice civile, di cui all’art. 2247 c.c., quale enunciazione della società come “contratto” – configura, in estrema sintesi, la società alla stregua di un negozio tipico, in quanto oggetto di espressa disciplina normativa, e finalizzato a “l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di

dividerne gli utili”62.

La società sarebbe, quindi, la figura contrattuale appositamente prevista dal legislatore per l’esercizio collettivo dell’impresa; quale contenitore generale, essa ricomprenderebbe al suo interno le due grandi classi delle società di persone e delle società di capitali (rectius: del contratto di società di persone e del contratto di società di capitali), ciascuna poi con i suoi specifici tipi.

La centralità del momento contrattuale, intesa come la preminente importanza dell’accordo in seno al patto negoziale che suggella l’impegno dei soci - contraenti allo svolgimento della attività di impresa, si traduce, conseguentemente, nell’essenziale rilievo riconosciuto all’elemento volontaristico.

Si pone dunque al centro del fenomeno societario la volontà dei soci come consacrata nel contratto sociale, e pertanto l’ interesse comune dei contraenti, che è poi

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Va, sul punto, comunque rilevato – senza che ciò voglia in alcun modo costituire una contes tazione di ordine letterale rispetto alla impostazione contrattualistica ma al solo fine di completare la disamina normativa - che lo strumento cooperativo, che pure è espressamente e senza alcun dubbio definito “società” (art. 2511 c.c.) trova la sua collocazione nel successivo Titolo VI, e quindi, si potrebbe pensare, aldifuori dell’ambito di influenza dell’art. 2247 c.c. (che, come detto, costituisce l’incipit del Titolo V). Detta scelta “topografica”, se può essere certamente giustificata con riferimento allo scopo perseguito, perché la società cooperativa non viene costituita per “dividere gli utili”, e quindi in qualche modo esula dalla definizione generale de qua, che in relazione al lucro non le si attaglia di certo, è tuttavia meno evidente in relazione all’elemento prettamente volontaristico, perché non può esservi dubbio sul fatto che anche il contratto con cui si costituisce una cooperativa sia pur sempre un negozio con cui si “conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica”. E però la scelta di aver collocato le “disposizioni generali” in tema di società all’inizio del Titolo V dedicato alle società di capitali, piuttosto che in un Titolo, effettivamente di carattere generale, a sé stante, o magari la scelta di non aver sussunto anche le cooperative nello stesso Titolo dedicato agli altri tipi della società, non possono comunque essere considerate quali indici di una scelta di campo del legislatore sulla validità o meno della posizione contrattualistica, in relazione alla quale, d’altronde, si potrebbero trarre dall’elemento di tale collocazione, tanto elementi a favore che contro.

l’interesse dei soci a trarre dal conferimento versato un utile, o meglio il maggior utile possibile (ciò che è infatti lo scopo – lucrativo, appunto – del contratto di società).

I soci – originari o successivi – restano allora pur sempre i domini della società, e ciò anche attraverso l’assemblea, che della società pertanto è l’organo sovrano63.

Il contratto non è solo fonte, ma elemento centrale, oltre che in fase costitutiva, anche durante tutta la vita della società, come centrale è e resta la necessità della coerenza con la causa contrattuale delle vicende che successivamente involgano la vita della società.

Alla detta posizione contrattualistica si è tradizionalmente e da sempre contrapposta una visione istituzionalistica della società, volta porre in rilievo, più che il momento genetico del fenomeno collettivo, il suo momento dinamico, e cioè l’aspetto funzionale dell’attività della società in svolgimento.

La società, allora, pur costituita attraverso il contratto, se ne distaccherebbe per

“vivere di vita propria”64, ciò per cui l’atto costitutivo dovrebbe essere inquadrato, piuttosto che come contratto di scambio o di cooperazione, quale mero atto di genesi di una persona giuridica65.

63

In argomento, il recentissimo contributo di M. LIBERTINI, Scelte fondamentali di politica

legislativa e indicazioni di principio nella riforma del diritto societario del 2003. Appunti per un corso di diritto commerciale, in Riv. Dir. Soc., 2/2008, pp. 198 – 236; afferma l’Autore a p. 199, come, da un

punto di vista sistematico, “la figura di riferimento sembra essere quella della comunione di diritti

soggettivi e il contratto di società appare nella sua struttura elementare, come un accordo volto a costituire una comunione incidentale su un certo patrimonio, destinato ad una finalità lucrativa”, per cui

le norme civilistiche di riferimento sarebbero quelle sulla comunione di diritti (artt. 1100 ss. c.c.), e quelle sulle obbligazioni solidali (artt. 1292 ss. c.c.).

64

F. VASSALLI, Responsabilità d’impresa e potere di amministrazione nelle società

personali, Milano, 1973, p. 230 ss.

65

Tale altra impostazione è stata in particolar modo prospettata con riferimento alle imprese medio - grandi, normalmente costituite in forma di società per azioni, rispetto alle quali è dato di comune esperienza che l’elemento organizzativo (id est “istituzionale”) venga sovente a prevalere su quello contrattuale. Ciò nel senso che è nella natura stessa della figura – e la libera circolabilità del capitale di essa ne è la miglior riprova – di prescindere, o quanto meno di distaccarsi, dalla volontà dei soci (tanto più da quella iniziale, quasi degradata a mero fatto storico). L’organismo vivrebbe, quindi, come si è detto, “di vita propria”, secondo la gestione dell’attività che venga determinata dai soggetti a ciò specificamente deputati, e che potranno essere (e normalmente sono) addirittura estranei e diversi rispetto alla cerchia dei soci, richiedendo, peraltro, un incarico di tal fatta una professionalità precipuamente qualificata al fine. Ciò, con tutta evidenza, in netta contrapposizione con quanto generalmente avviene – sempre secondo un dato di comune esperienza – nelle imprese piccole, costituite in forma di società di persone, alle quali vanno senz’altro aggiunte, nel panorama del nostro paese, la maggior parte delle società a responsabilità limitata, con compagini ristrette, spesso familiari, chiuse e pressoché immutabili nel tempo (per loro stessa natura nelle società di persone, e normalmente attraverso clausole di prelazione nel trasferimento delle partecipazioni per quelle a responsabilità limitata). Sono, infatti, qui gli stessi soci

L’elemento centrale, cioè a dire quello che fonda il distacco tra contratto e società nel suo divenire, è l’organizzazione.

In tal senso, il fenomeno collettivo acquisirebbe una valenza sua propria, ciò che darebbe luogo ad “una sorta di scomposizione della personalità del soggetto, da

intendere distintamente quanto al suo esplicarsi nella sfera «sociale» ed in quella «individuale»”66.

La posizione del singolo socio passerebbe, così, tendenzialmente in secondo piano; la stessa centralità dell’assemblea ne risulterebbe, in qualche modo, ridimensionata, in favore di una esaltazione delle competenze dell’organo gestorio, quale organo deputato a realizzare un autonomo interesse della società.

Ed è stato d’altronde soprattutto per il timore della prevaricazione della volontà, e quindi della posizione, del singolo socio, che la prospettiva istituzionalistica ha avuto difficoltà a trovare condivisione.

In particolare, il sacrificio dell’aspetto volontaristico che si andava, così, postulando, ha dato la stura alla più o meno fondata preoccupazione che, per questa via, la posizione del singolo potesse restare sacrificata e soggetta allo strapotere del gruppo di comando, con ciò pensandosi quindi specificamente alla tutela delle posizioni di minoranza nei confronti della maggioranza dei soci.

Al che è stato osservato che “gli strumenti del contratto, del diritto soggettivo e

dell’obbligazione non costituiscono le sole possibili modalità di tutela di interessi giuridicamente rilevanti e di limitazione del potere di azione dei soggetti. La teoria dell’organizzazione, sviluppata soprattutto nel campo del diritto pubblico, ha elaborato una serie di regole atte a controllare efficacemente l'uso del potere giuridico. Tali regole possono essere in larga parte richiamate anche all'interno delle organizzazioni private”67.

a privilegiare l’aspetto volontaristico, richiedendo quindi, vuoi già secondo quanto normalmente disposto dal dettato normativo, vuoi, laddove ve ne residui spazio, per scelta statutaria, l’unanimità dei consensi per ogni fondamentale scelta nel corso dell’attività sociale.

66

C. ANGELICI, Enciclopedia, cit., p. 982.

67

Così, M. LIBERTINI, Scelte fondamentali, cit., p. 202, che replica in senso critico anche all’altra importante obiezione mossa alla tesi istituzionalistica, per cui l’impresa potrebbe essere distolta dalla sua naturale vocazione al profitto, ed essere invece rivolta a finalità “sociali”; rileva infatti l’Autore che “il modello istituzionale (…) è di per sé neutro rispetto ai fini, e si traduce solo in determinate regole

Da cui il venire in rilievo degli strumenti volti a controllare, appunto, l’uso del potere da parte dei soggetti che ne sono investiti, sia quanto alla forma68, sia quanto al contenuto69.

Va anche detto che la riforma del diritto societario, pur non avendo – come è ovvio – preso espressa posizione sulla questione, è, però, sembrata, ai più, aver dato una spinta significativa nella direzione di un rinnovato istituzionalismo.

Ed infatti, da un lato, è stata estesa l’ammissibilità della unipersonalità (già a suo tempo introdotta dal decreto legislativo n. 88/1993 per le società a responsabilità limitata, con un primo vulnus – se a questa lettura si voglia aderire – alla teoria contrattualistica pura) anche alle società per azioni, provocando con ciò l’implosione della stessa definizione di cui all’art. 2247 c.c., laddove si richiede la convergenza di

“due o più persone” per costituire la società70; dall’altro si è definitivamente concentrata negli amministratori la piena operatività della gestione sociale (art. 2380 bis c.c.), con forte ridimensionamento del ruolo dell’assemblea, e quindi della stessa volontà dei soci (art. 2364 c.c.).

Questi due indirizzi, adottati dal legislatore, sembrerebbero (ma quanto al primo dubitarne è forse anche eccessivo, trattandosi di una scelta espressa che non ammette repliche) effettivamente privilegiare il ruolo della società come organizzazione,

dell’organizzazione siano obbligati a perseguire determinate finalità, su cui non hanno potere di disposizione. (…) In questa prospettiva, il modello istituzionale è logicamente compatibile anche con una finalità di massimizzazione dei profitti o comunque di efficiente gestione di un’impresa capitalistica”.

68

Ci si riferisce alla valorizzazione del procedimento quale sistema di garanzia, tanto in relazione alla formazione delle delibere, quanto, più in generale, alla formazione della volontà dell’ente.

69

Trattasi, evidentemente, della finalizzazione dell’esercizio del potere alla realizzazione dell’utile, che costituisce lo scopo societario come incardinato nel dato testuale del richiamato art. 2247 c.c., o quanto meno alla compatibilità con tale realizzazione (come può avvenire per talune operazioni, che vengono poste in essere magari anche immediatamente in perdita, ma sono in effetti rivolte ad un fine ultimo ed ulteriore e quindi, secondo il criterio di economicità, possono comunque reputarsi produttive di un “utile indiretto”).

70

Sul punto, è stato infatti osservato che unici punti in comune tra la fattispecie pluripersonale e quella unipersonale, non essendo ravvisabile, in quest’ultima, né il contratto, né il rapporto intersoggettivo, sarebbero “l’impresa (come attività oggettivamente e soggettivamente lucrativa), la

personalità giuridica dell’impresa” e “l’organizzazione dell’impresa”; G. OPPO, Le grandi opzioni, p.

piuttosto che come contratto, contratto che, peraltro, nella sua accezione propriamente giuridica, potrebbe anche mancare del tutto71.

E peraltro già lo stesso principio maggioritario – che inevitabilmente permea la disciplina delle società ed in genere degli enti collettivi che presentano un maggior grado di complessità, stante l’ inefficienza della regola della unanimità dei consensi per il governo degli organismi plurisoggettivi di tal fatta – fisiologicamente certo meglio corrisponde ad una concezione istituzionalistica, nella quale il sacrificio della volontà

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