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Le lesioni d’arma da fuoco possono essere suddivise in due categorie: perforanti e penetranti (o a fondo cieco). Le prime si verificano quando un proiettile attraversa completamente il bersaglio e si ha la creazione di un foro d’ingresso e un foro d’uscita. Le ferite penetranti invece mancano di un foro d’uscita poiché il proiettile viene ritenuto all’interno del corpo.

Una ferita, tuttavia, può essere sia penetrante che perforante; ad esempio, un proiettile che colpisce la testa può passare attraverso l’encefalo e le ossa craniche prima di arrestarsi al di sotto della cute, producendo così una ferita penetrante nella testa ma perforante nei confronti del cranio dell’encefalo (Di Maio, 2016).

Il foro d’ingresso

Una volta raggiunto il bersaglio, il proiettile causa un effetto contusivo sulla cute e, se possiede energia sufficiente, la perfora e penetra nei tessuti. La morfologia del foro d’ingresso è di particolare importanza nella valutazione medico-legale delle ferite d’arma da fuoco, in quanto può fornire numerose informazioni riguardo la distanza di sparo, l’angolo di impatto e alcune caratteristiche del proiettile (Kneubuehl et al., 2011).

Il foro d’ingresso si presenta come una soluzione di continuo cutanea di forma circolare o ovalare con i margini che presentano un’abrasione di colore rossastro o bruno-rossastro, definita come orletto ecchimotico-escoriativo (abrasion ring). Si tratta di un segno che caratterizza solamente il foro d’ingresso ed è generato dalla rapida introflessione della cute

“a guisa di dito di guanto” provocata dal moto del proiettile, responsabile sia dell’effetto contusivo – che determina l’area ecchimotica che contorna il foro –, sia dell’effetto abrasivo sugli strati superficiali dell’epidermide (Zagra et al., 2011; Di Maio, 2016). L’aspetto di questo

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orletto può variare a seconda del calibro dell’arma, dell’angolo di impatto del proiettile e della regione anatomica colpita (Di Maio, 2016).

Il diametro del foro d’entrata è generalmente inferiore a quello del proiettile, a causa della detrazione elastica della cute, che viene tesa e introflessa all’interno del tramite al passaggio del proiettile stesso (Zagra et al., 2011; Kneubuehl et al., 2011). Quando il proiettile perfora la cute, quest’ultima si sposta in direzione radiale creando un ingresso temporaneo di forma conica il cui vertice è diretto verso l’interno del tramite. Questo foro temporaneo, che ha un diametro considerevolmente maggiore rispetto al calibro del proiettile, si contrae rapidamente ed esita successivamente nella formazione del foro d’entrata definitivo, come mostrato in Figura 40. L’orletto ecchimotico-escoriativo è dovuto proprio allo stiramento della cute in questo frangente e non alla temperatura del proiettile o alla sua rotazione giroscopica, come potrebbe essere intuitivo pensare (Di Maio, 2016).

Figura 40: Fotografie di un proiettile al momento della formazione del foro d’ingresso in un blocco di simulante balistico, che riproduce e mette in evidenza il fenomeno di retrazione elastica della cute. Tempo di

scatto 1 µs (Kneubuehl et al., 2011).

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L’aspetto bruno-rossastro dell’orletto ecchimotico-escoriativo è un artefatto consecutivo dovuto all’essiccazione del derma esposto all’azione dell’aria, che inizialmente si presenta umido e di colore bianco-rosato. Esistono inoltre casi particolari in cui questa caratteristica non è visibile e si assiste a una transizione diretta tra la cute illesa e il derma visibile nel foro d’entrata. Queste ferite possono essere osservate nel caso di munizioni per fucile a percussione centrale e proiettili per pistola FMJ, in considerazione dell’elevata velocità che raggiunge il proiettile (Bradley-Siemens e Brower, 2016). Spesso, in questi casi, sono visibili delle microlacerazioni sui margini del foro l’ingresso che possono essere distribuite in maniera simmetrica o asimmetrica a seconda dell’angolo di impatto del proiettile e della sede anatomica della ferita – e.g. la testa (Di Maio, 2016).

Figura 41: Foro d’ingresso di un colpo sparato a distanza a un cinghiale (Sus scrofa) abbattuto durante l’attività venatoria. È visibile il margine introflesso della ferita e l’orletto ecchimotico-escoriativo di colore rosato. Tiro

a 35 metri con carabina Benelli Argo cal. 9.3x62 Mauser con palla Norma Vulkan da 212 gr. (per gentile concessione di Jacopo Pellini, armaiolo).

I margini del foro d’ingresso del proiettile appaiono in genere introflessi, per i meccanismi illustrati poco sopra. Tuttavia, può capitare che presentino un aspetto estroflettente nei casi in cui si ha la protrusione di materiale organico proveniente dagli strati più profondi (e.g.

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omento, pannicolo adiposo, materiale cerebrale etc.). Anche la fuoriuscita di sangue da fori d’ingresso posti in sedi gravitarie può determinare un’estroflessione dei margini (Zagra et al., 2011).

Al momento dell’impatto il proiettile può depositare sulla cute anche del materiale estraneo che viene portato con sé durante il volo, come tracce di lubrificante, polvere, residui contenuti nella canna ed eventuali sostanze raccolte a seguito di impatti contro bersagli secondari. Tali depositi, spesso di colore nerastro, determinano la formazione dell’orletto di detersione, che contribuisce anch’esso all’individuazione del foro d’entrata in quanto distintivo. Le dimensioni dell’orletto ecchimotico-escoriativo e dell’orletto di detersione riproducono in maniera approssimativa il diametro del proiettile che ha causato la ferita (Stefanopoulos et al., 2014). La formazione di questo alone non è sempre evidenziabile sulla cute animale, ma le tracce depositate sul pelo – che viene appositamente raccolto e campionato in sede necroscopica – possono essere comunque oggetto di analisi successive (Brooks, 2018).

Se la canna dell’arma da fuoco è posta a qualche centimetro dalla cute, la fiammata prodotta dalla combustione della polvere può ustionare la zona circostante il foro d’ingresso e bruciarne i peli (per questo motivo si parla di “colpi a bruciapelo”) formando una zona scura e nerastra, denominata alone di bruciatura (Stefanopoulos et al., 2014; Zagra et al., 2011).

Al momento dello sparo, inoltre, un certo quantitativo di residui carboniosi prodotti dalla combustione della polvere da sparo emerge dalla bocca dell’arma. Se quest’ultima viene tenuta entro una certa distanza dal bersaglio, i gas non riescono a determinare un’ustione ma questi residui possono depositarsi sulla cute formando un alone nero o grigio denominato alone di affumicatura, che può presentare dei pattern caratteristici in determinate circostanze.

Il tipo, l’aspetto e la dimensione di questi segni dipendono da numerosi fattori, quali la distanza e l’angolazione dello sparo, il tipo di polvere, il tipo di arma, la lunghezza della canna, il calibro e altre caratteristiche proprie del bersaglio. All’aumentare della distanza di sparo la

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dimensione dell’alone di affumicatura tende ad aumentare a sua volta, mentre la sua intensità a diminuire, fino a una distanza limite oltre la quale diventa impossibile delinearne i confini.

Il tipo di propellente e la lunghezza della canna determinano la quantità di fuliggine che viene depositata, in quanto alcune polveri bruciano in maniera più efficiente rispetto ad altre. Armi con una canna particolarmente lunga determinano la formazione di un alone più denso e di diametro inferiore. L’orientamento della bocca dell’arma, inoltre, influenza la forma di questo alone, che può essere simmetrico (concentrico) o eccentrico (Di Maio, 2016). La conformazione circolare del foro d’ingresso e degli aloni che possono contornarlo è infatti tipica dei colpi pervenuti con direzione perpendicolare alla cute, ma se il proiettile impatta con una direzione obliqua, il conseguente orifizio e i relativi orletti presentano una conformazione di forma ellittica, più o meno accentuata a seconda dell’angolo di incidenza.

Anche la destabilizzazione del proiettile nel corso della sua traiettoria di volo può contribuire a creare un foro d’entrata di forma non circolare; ad esempio, se impatta con il fianco o con la sua parte posteriore rivolta in avanti si può creare una soluzione di continuo irregolare, talvolta definita “a buco di serratura” o keyhole (Zagra et al., 2011).

Non di rado le ferite d’arma da fuoco si presentano sporche di sangue, che a seconda dei casi può essere fresco, secco o incrostato. Durante il processo di lavaggio della ferita nel contesto di una necroscopia forense il pelo deve essere necessariamente tosato e la cute lavata, per permettere il riconoscimento e un’accurata documentazione della lesione. Per rimuovere efficacemente il sangue senza intaccare i residui di fuliggine, è possibile utilizzare acqua o perossido di idrogeno (10 vol. - 3%), che dissolve i coaguli ma preserva gli aloni causati dalla polvere (Di Maio, 2016).

Un altro segno complementare delle lesioni d’arma da fuoco è denominato da numerosi autori “stippling” (punteggiatura) e consiste in una serie di abrasioni cutanee puntiformi di colore bruno-rossastro, causate dall’impatto sulla cute di piccoli frammenti di materiale

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estraneo Spesso, questo materiale è costituito da granelli di polvere da sparo incombusta, che determinano il cosiddetto tatuaggio (powder tattooing). Se invece questo materiale ha natura diversa, si parla di pseudotatuaggio (Di Maio, 2016; Kneubuehl et al., 2011). Per fornire un esempio, un proiettile che rimbalza su una superficie dura può generare elementi secondari dovuti sia alla frammentazione del proiettile stesso, sia provenienti dall’oggetto contro cui ha rimbalzato (generalmente legno o pietra). Questi frammenti determinano una lesione simile a quella causata dalla polvere, ma di forma irregolare, di dimensioni maggiori e considerevolmente meno densa (Di Maio, 2016). Occasionalmente, alcuni frammenti più grandi possono essere ritrovati nel pelo o incorporati nella cute delle zone limitrofe (Brooks, 2018).

In alcuni casi le ferite d’arma da fuoco possono provocare delle emorragie secondarie a carico dei follicoli piliferi e la rasatura della cute durante l’esame necroscopico può renderle particolarmente evidenti. Anche l’attività di alcuni tipi di insetti può determinare lesioni multifocali puntiformi da differenziare dal tatuaggio (Marchetti, 2017). Queste ultime tuttavia, essendo post mortali, sono di colore diverso e virano dal bruno al giallastro. Sono inoltre di dimensioni maggiori, hanno forma irregolare e sono disposte con uno schema lineare, dovuto allo spostamento dell’insetto nell’epidermide (Di Maio, 2016).

Il tramite

Dopo aver penetrato la cute il proiettile prosegue il suo tragitto intracorporeo producendo un tramite secondo i meccanismi illustrati nel Capitolo 3.3. Quest’ultimo può essere definito completo (o trapassante), laddove faccia seguito l’uscita del proiettile, o incompleto (a fondo cieco) nel caso il proiettile rimanga all’interno del corpo senza dare esito a un foro d’uscita.

Se il proiettile attraversa una delle grandi cavità corporee, si parla di tramite transfosso (Zagra et al., 2011).

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Figura 42: Tramite trapassante in un cinghiale, evidenziato dopo scuoiamento nel corso di una necroscopia forense (per gentile concessione di Jacopo Pellini, armaiolo).

In alcuni casi il proiettile può intaccare la cute solo tangenzialmente, creando una ferita di striscio (gaze wound), che consiste in una zona di abrasione di forma allungata senza che vi sia una effettiva perforazione o lacerazione della cute. Se l’angolo di incidenza è poco più ampio e il proiettile attraversa i tessuti in direzione tangenziale, la lesione si estende esponendo gli strati profondi (Di Maio, 2016), determinando una superficiale perdita di sostanza (tramite a doccia o semicanale). In questi casi è difficile stabilire in quale direzione il proiettile stava procedendo; tuttavia, un attento esame delle due estremità della ferita può rivelare che l’estremità di ingresso generalmente possiede un margine parzialmente abraso, mentre l’estremità di uscita è più che altro lacerata e possiede un accumulo di tessuto organizzato in pliche (Di Maio, 2016). Un dettaglio interessante è rappresentato da una serie di lacerazioni parallele, che si viene a creare grazie all’attrito della cute nei confronti del proiettile. Queste lacerazioni possono essere indicative della direzione di sparo, come mostrato in Figura 43 (Kneubuehl et al., 2011).

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Esiste altresì una situazione limite tra una ferita trapassante e una ferita di striscio, che consiste nelle c.d. ferite perforanti superficiali. In questo tipo di lesione il foro d’ingresso e quello d’uscita sono ravvicinati e anche in questo caso potrebbero essere difficili da distinguere. Se il percorso del proiettile è proprio al di sotto della cute, quest’ultima può presentare delle strie da stiramento dovuto al trauma (Di Maio, 2016).

Figura 43: Rappresentazione schematica dell’aspetto di una ferita di striscio. La cute viene trascinata in avanti dal proiettile (a), generando delle piccole lacerazioni che, una volta che la cute è rilasciata e non più tesa,

puntano verso la direzione d’origine dello sparo (b) (Kneubuehl et al., 2011).

Un caso particolare sono le c.d. ferite da rientro (reentry wounds), che si verificano quando un proiettile attua un tramite trapassante una sede anatomica e successivamente rientra in un’altra sede, ad esempio quando si ha la perforazione di un arto e poi la penetrazione nel torace. Queste lesioni sono caratterizzate da un foro d’ingresso ampio, ovalare, dai margini frastagliati e con un evidente orletto ecchimotico-escoriativo, anch’esso di forma irregolare.

Se considerate da sole, possono assomigliare a un foro d’uscita (Di Maio, 2016).

Se nel corso del suo tragitto intracorporeo un proiettile dotato di elevata energia incontra un’interfaccia dura (e.g. un osso o un’articolazione), può andare incontro a deformazione o frammentazione e modificare il suo percorso (tramite angolato). Se tali frammenti possiedono energia sufficiente, inoltre, possono creare dei tramiti secondari che si distaccano dalla direzione originaria. Un proiettile che possiede una velocità inferiore può invece essere

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deviato formando un tramite non rettilineo. Ad esempio, può succedere che un proiettile venga incanalato tra le coste e produca un foro d’uscita senza aver attraversato la cavità toracica (tramite circumgirante) (Zagra et al., 2011).

L’aspetto macroscopico del tramite intracorporeo dipende sostanzialmente dalla natura del tessuto attraversato dal proiettile, come mostrato in Tabella 3:

Tabella 3: Caratteri del tramite in relazione al tipo di tessuto (Corradi et al., 2001).

Tessuto Caratteristiche del tramite

Sottocute Tramite cilindrico e regolare, reso virtuale dalla protrusione dei lobuli di tessuto adiposo.

Masse muscolari Tramite ampio e irregolare, crateriforme o con fessurazioni a seconda della direzione delle fibre.

Fasce e aponeurosi Fessure lineari o perforazioni stellate a seconda della direzione delle fibre.

Vasi sanguigni Possono spostarsi e sfuggire al proiettile. Se colpiti, presentano lacerazioni lineari o stellate, oppure una semplice contusione con trombosi secondaria.

Pericardio Perforazioni rotonde o fenditure lineari con margini frastagliati.

Cuore Soluzioni di continuo lineari o oblique, spesso

caratterizzate da perdita di sostanza.

Organi parenchimatosi (fegato, rene, milza)

Tramiti cilindrici o crateriformi, con margini anfrattuosi e foro d’uscita di dimensioni maggiori.

Organi cavi (stomaco, intestino, vescica) Perforazioni nette con foro d’uscita ampio e lineare, oppure lesioni da scoppio con ampie brecce laterali.

Ossa lunghe Gravi fratture comminute o scheggiose

Osso spongioso (corpi vertebrali) Canale con piccole fratture irradiate

Ossa piatte (scapola) Perforazione netta, a stampo, di forma conica.

Cranio ed encefalo Scoppio con frammentazione delle ossa craniche e dispersione della massa cerebrale.

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Il foro d’uscita è costituito nella maggior parte dei casi da una soluzione di continuo di forma circolare, di diametro maggiore rispetto al foro d’ingresso (a meno che il proiettile non si sia frammentato) e dai margini estroflessi e irregolari, a causa dei fenomeni di ribaltamento che avvengono all’interno del tramite. Come anticipato in precedenza, il foro d’uscita è sprovvisto degli aloni caratteristici del foro d’entrata, ma in rari casi è possibile evidenziare la presenza di uno pseudo-orletto contusivo. Ad esempio, se la superficie sulla quale si verrebbe a creare il foro d’uscita si trova a poggiare contro un ostacolo di una certa consistenza (un muro, un albero etc.) si forma una zona ecchimotica a causa dello schiacciamento della cute.

L’assenza della componente escoriativa a livello dei margini, tuttavia, dovrebbe permettere il riconoscimento differenziale (Zagra et al., 2011).

Se il proiettile non possiede energia sufficiente e viene ritenuto al di sotto della cute, senza quindi creare un foro d’uscita, è di comune riscontro un’ecchimosi sottocutanea che denuncia la presenza del proiettile sottostante, spesso apprezzabile mediante palpazione locale (Kneubuehl et al., 2011; Zagra et al., 2011).

Figura 44: I margini irregolari, lacerati e l’assenza di aloni di affumicatura o tatuaggio sono caratteristiche tipiche del foro d’uscita (Bradley-Siemens e Brower, 2016).

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Figura 45: Foro d’uscita nel torace di un cinghiale abbattuto durante l’attività venatoria. Tiro a 35 metri con carabina Benelli Argo cal. 9.3x62 Mauser con palla Norma Vulkan da 212 gr. (per gentile concessione di

Jacopo Pellini, armaiolo).

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