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Caratteristiche del lavoro domestico

Il lavoro domestico svolto dalle donne della migrazione, nel nostro paese inizia a partire dagli anni settanta. Esso assumerà nel tempo caratteristiche di collaborazione domestica a tempo pieno, successivamente ad ore e, più recentemente, di lavoro di mero accudimento alla singola persona. Queste tipologie lavorative rientrano tutte nel concetto più ampio di lavoro di cura, ma presentano peculiarità e specificità non sovrapponibili, nonostante alcuni tratti comuni, fra cui il fatto che sono esercitate da donne immigrate e che si tratta di un tipo di lavoro segregato.

Quale attività prevalente per le donne della migrazione, il lavoro domestico connota i flussi migratori degli anni settanta e ottanta e dura fino agli anni novanta del secolo scorso. Le donne che si inseriscono in questo settore provengono prevalentemente da Paesi e continenti distanti, poi arrivano da tutti i continenti, ed anche per ricongiungimento familiare.

Il lavoro di accudimento vede invece, almeno all'inizio del fenomeno una forte presenza di donne che provengono dai Paesi dell'Est.

Una seconda fase che raggiunge il suo apice alla fine degli anni novanta, è composta da donne provenienti dai Paesi dell'ex Unione Sovietica, che si inseriscono nel lavoro di cura a tempo pieno, assistendo un soggetto non autonomo: le cosiddette badanti.

M. Tognetti Bordogna83 analizza dettagliatamente i tratti distintivi della figura

della badante e quella della colf.

Con il termine badante, come ho già evidenziato, si intendono le donne della migrazione che svolgono un particolare lavoro di cura: accudire persone anziane, solitamente non autosufficienti e sole. Per cui oltre ai normali compiti di cura della casa, vengono qui richiesti anche prestazioni di tipo assistenziale e 83 M. Tognetti Bordogna “Donne e percorsi migratori. Per una sociologia delle migrazioni”

parasanitario. Ma si richiede anche un lavoro relazionale ed emotivo, ossia una disponibilità allargata a sostituire i familiari assenti nel sollevare il morale e far passare il tempo all'anziano assistito. Importante è la domanda di co-residenza, e quindi l'impegno ad accudire l'anziano di notte e nei giorni festivi.

In questo settore, cruciale e intenso è l'impiego di donne immigrate in condizione irregolare, per diversi fattori: per la pesantezza delle condizioni lavorative e la convivenza forzata con i datori di lavoro; perché la domanda di assistenza privata interessa anche anziani e famiglie con redditi modesti, che farebbero fatica a ricoprire i costi dell'assunzione di personale contrattualmente in regola; infine, specialmente per le donne appena arrivate, determinante è il pacchetto integrato di sistemazione abitativa, lavoro, cibo, protezione dai controlli, elevati risparmi.

Molte di loro hanno vissuto, se provenienti dai Pesi dell'Est, un periodo di disoccupazione prima di partire o hanno lasciato un lavoro mal retribuito. E' il collasso dell'economia dei Paesi dell'Est che determina la loro migrazione.

Esse sono le breadwinner della famiglia e hanno un progetto migratorio ben chiaro e definito prevalentemente di tipo economico: il denaro guadagnato viene interamente risparmiato e inviato a casa o, in alcuni casi, se decidono di restare qui, è tenuto per sé. Mantengono legami molto stretti con il paese d'origine attraverso il cellulare o mediante scambi informativi veicolati da amici e parenti. Molte di loro sono madri che sperimentano la maternità in condizioni di separazione.

Queste donne si inseriscono nei flussi migratori verso l'Italia alla fine degli anni novanta, arrivando attraverso agenzie specializzate nel trasporto.

Le badanti, spesso, non attivano alcuno scambio culturale rispetto al lavoro di cura, alle pratiche e alle modalità ad esso collegate, in quanto sono loro a decidere i tempi e l'organizzazione della giornata dell'anziano, il quale deve sottostare ad un nuovo regime di vita, soprattutto se i familiari sono poco presenti. Questo scarso scambio culturale è dovuto anche all'isolamento della rete

dei servizi preposti alla cura dell'anziano.

Se, nel lavoro domestico in generale, non vi sono le condizioni per elaborare la quotidianità, spesso marcata da una forte distanza culturale, ciò si verifica ancora di più per la quotidianità della badante.

L'elaborazione dei propri vissuti, la condivisione e lo scambio intorno ai medesimi problemi, sono alla base, come necessità essenziale, di qualsiasi lavoro di cura anche se esercitato da professionisti, ma ciò non si verifica per la badante.84

Le lavoratrici di cura necessitano di spazi e occasioni di confronto circa l'esperienza che vivono poiché questo tipo di lavoro è solitamente segnato da una forte distanza dai modelli di cura e dai sistemi di welfare cui sono abituate. E possono avere una concezione di anziano diversa dagli autoctoni; infatti è ancora radicato nelle popolazioni da cui provengono queste lavoratrici l'idea di anziano come saggio della famiglia, che deve essere accudito dai figli e non lasciato in mani estranee.

Solitamente le badanti arrivano in Italia perché hanno conoscenti o amici, perché hanno avuto precise indicazioni circa la possibilità di trovare lavoro, oppure perché esistono sistemi legali di reclutamento. Esse sanno di non avere molte alternative a questo tipo di lavoro.

In questi ultimi anni la figura della badante si sta ridefinendo in funzione della domanda, ma anche in relazione ai percorsi di emancipazione lavorativa delle donne e a nuove esigenze di cura. Così, accanto alle badanti o assistenti

familiari, del lavoro totalizzante, svolto giorno e notte presso il datore di lavoro,

abbiamo la badante giornata e la badante che va ad accudire o a far compagnia all'anziano ricoverato in Rsa o in ospedale, la badante aggiuntiva.

Nel momento in cui l'anziano è ricoverato, in quanto non può più essere accudito al domicilio, i familiari non sentendosi di lasciarlo solo e per sentirsi più tranquilli fanno “ricoverare” anche la badante.85

84 Ibid. p.134 85 Ivi

In alcune strutture di ricovero, se l'anziano è affetto da qualche forma di cronicità e non è autonomo, vi può essere una richiesta esplicita, da parte della struttura stessa, di badanti aggiuntive. Per cui il modello di cura familistico si trasferisce così all'interno di strutture anche pubbliche.

Passiamo ora ad analizzare la figura delle colf. Esse sono presenti in Italia da molti decenni. Fino agli anni settanta questo tipo di lavoro era svolto da autoctone provenienti dai contesti rurali. Sempre in quegli anni questo tipo di attività si riduce in termini di qualità e si modernizza diventando un lavoro a tutti gli effetti contrattualizzato (è del 1974 la definizione del primo contratto nazionale del lavoro domestico) e che interessa prevalentemente le famiglie affluenti.

Dagli anni settanta si assiste ad un processo di sostituzione da parte delle donne migranti, favorito dall'industrializzazione, dall'incremento del lavoro produttivo fra le donne autoctone, dalla nuclearizzazione delle famiglie, nonché dalla terziarizzazione delle realtà urbane e dalla crescita del ceto medio che interessa l'Italia in quegli anni.

Le colf sono donne che di solito hanno un progetto migratorio attivo, con un ruolo economico molto forte e che, spesso, si sovrappone alla ricerca di qualche forma di autonomia e di libertà. Sono prevalentemente regolari.

Pur inviando risorse economiche al loro paese di origine, vi rientrano per un periodo limitato, spesso per le vacanze.

Diversamente da ciò che avviene per le badanti, per la colf, gli scambi e le relazioni con i datori di lavoro sono in genere maggiori così come sono più frequenti gli scambi con il contesto.

In quanto lavoratrici ad ore, esse hanno più occasioni di incontro e di scambio quando fanno la spesa o si spostano da un luogo di lavoro ad un altro, o quando soddisfano i loro bisogni essenziali compresi quelli relazionali e affettivi.

In una recente ricerca, Boccagni e Ambrosini86 individuano quattro categorie

di lavoro domestico: una prima categoria è quella della lavoratrice che assiste al

domicilio anziani con problemi di autosufficienza. Tali lavoratrici oltre ai lavori

domestici svolgono anche un lavoro di badantato in senso stretto (accudire l'anziano, somministrare farmaci, sostenerlo psicologicamente ecc.) ed operano 24 ore su 24 presso il domicilio dell'accudito.

Vi è poi il profilo della collaboratrice familiare fissa, in cui i compiti sono prevalentemente di accudimento della casa e di tutti i componenti della famiglia; è un'attività meno onerosa della precedente e anch'essa comporta la convivenza con il datore di lavoro.

La terza categoria è quella della collaboratrice ad ore, che non comporta la convivenza con il datore di lavoro e che determina un avanzamento lavorativo delle donne immigrate, poiché consente loro una maggiore autonomia ed emancipazione sia sul piano relazionale che affettivo e implica una maggior articolazione con il contesto.

Infine troviamo le lavoratrici domestiche formalmente inquadrate come au

pair. Qui si incontra una crescente divaricazione tra la dimensione formale del

titolo di soggiorno e i contenuti effettivi dei rapporti instaurati con le famiglie ospitanti. Infatti la figura della au pair è stata introdotta nell'ambito degli scambi culturali e delle esperienze di studio all'estero, per questo dovrebbe avere vitto, alloggio e una piccola ricompensa in denaro in cambio di aiuto in compiti familiari, specie con i bambini. Dunque, si tratta di una figura para professionale dai contorni ambigui e sfumati, non autorizzata, comunque, a svolgere occupazioni retribuite. Nei paesi dell'Europa centro-settentrionale però, in mancanza di dispositivi che consentano l'ingresso di lavoratori per occupazioni in ambito domestico, è diventata una formula utilizzata per far entrare dall'estero donne immigrate da adibire a compiti domestici e di cura con speciali permessi che molte legislazioni accordano anche nel caso di immigrati stranieri.

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