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C. Gelmetti, Storia della Dermatologia e della Venereologia in Italia, 3 DOI: 10.1007/ 978-88-470-5717-3_1, © Springer-Verlag Italia 2014

1 A meno di non considerare i tatuaggi dell’Uomo di Similaun come una primitiva forma di medicina in cui la scarifi-cazione e il tatuaggio avevano una funzione che andava al di là delle cerimonie magiche.

2 Per le prime documentazioni dermatologiche bisogna andare nell’antico Egitto. Attorno al 1600 a.C. ritroviamo, nel papiro di Smith, in scrittura ieratica, le metodiche per curare le ustioni e, addirittura, una ricetta antirughe egiziana. Il principio attivo (estratto di frutto hemayet, ancora ignoto peraltro) era in grado di “togliere le rughe dal capo, rendere più bella la pelle rimuovendo tutte le macchie, le deformazioni, tutti i segni dell’età e gli indebolimenti della carne”. La descrizione di quadri patologici, oggi ben conosciuti, quali la dermatite seborroica, l’alopecia areata e manifestazioni paras-sitarie, risale invece ai papiri di Ebers e di Hearst che ci forniscono anche i tentativi terapeutici effettuati con sostanze quali grasso di ippopotamo, miele, trementina, zolfo.

3 Ippocrate, nato intorno al 460 a.C., descrive l’erisipela, il prurito vulvare, i tumori cutanei, le ulcere cutanee e intro-duce termini che ancora oggi rimangono nella dermatologia quali lichen, esantemi, psoriasi e alopecia.

4 Città della Calabria, importante centro della Magna Grecia.

a guardarsene, come se i medici fossero avvelena-tori e corrutavvelena-tori dei costumi5.

Lo Spallicci, grande storico della medicina (Pasi, 1990), ci informa che i primi medici greci che arrivarono a Roma ebbero fama di ciarlatani;

Arcagato di Bitinia (219 a.C.) aveva addirittura il soprannome di carnifex (= macellaio). Secondo Spallicci, una spiegazione della scarsa professiona-lità di quei medici può essere cercata nel fatto che nella loro patria di origine la concorrenza era forte, mentre a Roma non ve n’era ancora. Col successo politico ed economico essi divennero evidente-mente più numerosi e più abili, come Asclepiade di Prusa, ma fu solamente nel 46 a.C. che Giulio Cesare concesse ai medici stranieri la cittadinanza romana e fu solo nel 14 d.C., in epoca imperiale, sotto Augusto, che vennero istituite delle prime scuole mediche. A poco a poco, i medici greci conquistarono rinomanza, onori e ricchezze come Asclepiade, che divenne amico di Cicerone e il dico personale di Augusto esercitando l’arte me-dica, come diceva, “rapidamente, in sicurezza e gradevolmente”6. Dietro simili esempi fortunati, anche i Romani si convinsero che l’esercizio della medicina non fosse indegno di loro e si misero a scriverne e a praticarla.

Nel campo della venereologia, gli antichi testi della medicina romana sono relativamente poveri anche se la letteratura latina, da Orazio a Catullo, da Properzio a Marziale7, si sofferma spesso sul dilagare delle malattie veneree a causa della cor-ruzione dei costumi che in Roma, secondo questi autori, aveva raggiunto un livello di guardia.

Fa-mosissimo è l’epigramma 71 del settimo dei do-dici libri di epigrammi di Marziale:

Ficosa est uxor, ficosus est ipse maritus, filia fi-cosa est et gener atque nepos, nec dispensator nec vilicus ulcere turpi nec rigidus fossor, sed nec arator eget. Cum sint ficosi pariter iuve-nesque seiuve-nesque, res mira est, ficos non habet unus ager8

che alcuni traducono così:

La moglie ha i fichi (=condilomi), il marito ha i fichi, la figlia, il genero, il nipote hanno i fichi e non sono esenti da questa vergognosa malat-tia l’amministratore, il villico, il duro zappa-tore e l’arazappa-tore. Giovani e vecchi, tutti hanno grappoli di fichi; cosa davvero strana, solo il podere non ha i fichi.

Senza arrivare agli eccessi di Messalina, sembra, ad un certo punto, che lo scambio delle mogli, l’a-dulterio e l’uso delle meretrici e dei prostituti9 fosse, in pratica, tollerato. Certamente la diffi-coltà negli spostamenti poteva, in linea di princi-pio, limitare talune malattie contagiose. Ma, cer-tamente, anche in epoca classica, la mobilità delle popolazioni era una realtà, soprattutto in Italia dove la colonizzazione greca fu molto importante e lo spostamento degli eserciti in pace o in guerra era quasi una regola. Una visione moderna del pro-blema venereo era però chiara ai legislatori romani che avevano regolato l’attività del meretricio (i

lu-C. Gelmetti 4

5 Bellini cita una frase “hic niger est, hunc tu, Romane, caveto” (= tu, Romano, stai attento a quelli che hanno un brut-to carattere) che attribuisce a Cabrut-tone ma che invece è di Orazio (Satire). Una traduzione letterale farebbe sorgere il so-spetto di razzismo da parte dei Romani mentre, in realtà, Isidoro di Siviglia (560–636) ci dice che la traduzione è quel-la giusta.

6 cito, tute et jucunde.

7 Marco Valerio Marziale (tra 38 e 41–104), poeta, è comunemente ritenuto il più importante epigrammista in lingua latina. Nacque a Bilbilis, una cittadina spagnola (nei pressi dell’odierna Calatayud), allora assoggettata all’Impero Ro-mano, fra il 38 e il 41, ed ebbe la sua prima educazione a Tarragona, sotto la guida di grammatici e retori. Nel 64 si recò a Roma, sperando di farvi fortuna come era accaduto ad altri letterati della regione quali Seneca, Lucano, Quintiliano.

8 Il termine ficus (e quindi i suoi derivati) ha molteplici significati, oltre a quello proprio che indica l’omonimo frutto.

È anche impiegato per indicare sia l’organo genitale femminile (da cui l’italiano: fica) che quello maschile; indica an-che una vegetazione an-che si apre come un fico maturo. Da cui, per traslato, condilomi (alcuni però traducono con emor-roidi). È evidente il gioco di parole per cui solo la campagna non ha fichi. Vedi anche nota 30.

9 Il Bellini, nel suo testo, usa la parola “cinedi”, che è desueta da quasi un secolo e non si trova in molti dizionari della lingua italiana. Il termine latino cinaedus deriva da un termine greco kinaidos che descrive un uomo la cui caratteristica saliente è quella di essere effeminato e di essere penetrato da altri uomini.

panari si aprivano solo di sera e dovevano essere posti fuori delle mura10). Inoltre, gli edili tenevano il registro delle meretrici, alle quali era proibito conservare il proprio nome familiare, per il ri-spetto dovuto all’istituto della famiglia, sacro ai Romani.

Per la verità, se si tolgono i libri di Celso, non rimane molto della medicina romana del primo se-colo11della nostra era, forse perché i Romani, in campo civile, si dedicarono più allo sviluppo del-l’igiene pubblica, perfezionando la legislazione sa-nitaria e costruendo terme, canali, cloache, ma furono in generale meno inclini allo studio delle scienze12. Detto questo, non va dimenticata l’isti-tuzione dei valetudinaria, che erano gli ospedali ad uso dei soldati nelle loro campagne e spedizioni e che sono i veri precursori dei nostri ospedali. Nel secondo secolo, si ebbe però l’entrata in scena del grande Galeno, un greco divenuto romano per adozione e lunga convivenza. Galeno influenzerà la medicina per oltre un millennio.

Le persone

Empedocle di Agrigento (circa 490 a.C. – circa 430 a.C.)

Di poco posteriore ad Alcmeone, fu grande filo-sofo13e grande medico. Interessante per noi è la

1 La dermatologia e la venereologia nell’età classica 5

10sub moenia.

11Gli scritti superstiti di Scribonio Largo, vissuto verso la metà del I secolo appaiono di scarso interesse anche se il giu-dizio è ovviamente viziato dalla parzialità del materiale valutabile.

12Certamente questo non si può dire dell’ingegneria (sia civile che militare) dove la perizia dei Romani rimane inegua-gliata.

13Empedocle è stato filosofo, poeta e scienziato. La filosofia di Empedocle si presenta come un tentativo di combina-zione sintetica delle precedenti dottrine ioniche, pitagoriche, eraclitee e parmenidee. Dalla filosofia ionica e da quella di Eraclito egli accoglie l’idea del divenire, del continuo e incessante mutamento delle cose. Da Parmenide, al contra-rio, accetta la tesi dell’immutabilità e dell’eternità dell’Essere. Empedocle cerca di risolvere questa contraddizione di-stinguendo la realtà che ci circonda, mutevole, dagli elementi primi, immutabili, che la compongono.

14Nel VI secolo a.C., Anassimene di Mileto aveva introdotto nel pensiero greco la teoria dei quattro elementi fondamen-tali (aria, acqua, fuoco e terra) che costituiscono la realtà. Un secolo più tardi Empedocle diede corpo a questa teoria, sostenendo che la realtà che ci circonda, caratterizzata dalla mutevolezza, è composta da elementi immutabili, da lui no-minati radici. Ogni radice possiede una coppia di attributi: il fuoco è caldo e secco; l’acqua fredda e umida; la terra fredda e secca; l’aria calda e umida. Ippocrate tentò di applicare tale teoria alla natura umana, definendo l’esistenza di quattro umori base, ovvero bile nera, bile gialla, flegma e sangue.

15“Un papiro del I–II sec. d.C., [...] noto come Anonymus Londinensis, ha consentito [...] di meglio apprezzare le dot-trine mediche di Filistione di Locri. Discepolo di Empedocle e amico di Platone (che) [...] ebbe modo di svolgere il suo magistero nel corso del IV sec. a.C. alla corte di Dionisio II di Siracusa. Uno dei passi più importanti del documento con-cerne alcuni rilievi [...] sui meccanismi della respirazione: ‘quando il corpo intero respira bene e circola libero il respiro, ne consegue salute: la respirazione infatti avviene non già soltanto attraverso la bocca e le narici, ma attraverso tutto il

sua teoria della respirazione cutanea, cioè dello scambio di particelle minutissime (oggigiorno si direbbe: molecole gassose) tra l’esterno e l’in-terno dell’organismo, tramite le vie dei pori; la cute, secondo Empedocle, avrebbe una funzione succedanea dei polmoni. Egli aveva afferrato la verità intuitivamente, anche se non poté dimo-strarla.

Filistione di Locri (IV sec. a.C.)

Fu un medico importante che seguì le idee di Em-pedocle e fu anche lodato in seguito dal grande Galeno per i suoi studi di anatomia e il suo libro sulla dieta. Egli fu il principale esponente della scuola medica siciliota, esercitando la medicina anche alla corte di Dionisio II di Siracusa e, se-condo Callimaco, fu maestro di Eudosso di Cnido.

Le sue concezioni fisiologiche erano basate sui quattro principi (caldo, freddo, secco e umido) di Empedocle, che associava ai quattro elementi di Anassimene: fuoco, aria, terra e acqua14. Alcuni critici antichi gli attribuivano due trattati di diete-tica inseriti nel corpus ippocratico: il De salubri victus ratione e il De victus ratione. Secondo Ate-neo scrisse anche un Manuale di cucina. Oribasio gli attribuisce l’invenzione di una macchina per ri-durre le lussazioni degli arti. Filistione affermò che vi era respirazione anche attraverso i pori cutanei (Pontieri, 1993)15.

Asclepiade di Prusa (I sec. a.C.)

Nacque in questa città della Bitinia16dopo che l’A-sia Minore (l’attuale Medio Oriente) fu conquistata dagli eserciti romani. Asclepiade17studia ad Ales-sandria e comincia a esercitare ad Atene e in altre sedi greche ma arriva a Roma, ormai potente e fa-mosa, alla fine del periodo repubblicano. Ascle-piade è uomo colto, di formazione epicurea e ato-mista secondo le teorie di Eraclide e Democrito. I corpuscoli (=atomi) sono caratteristicamente sem-pre in movimento attraverso degli spazi (=pori) e danno origine alle forme fisiche attraverso la loro combinazione. Cibi e bevande apportano nuovi atomi (=leptomeres) che rimpiazzano quelli persi con le escrezioni quotidiane. Da qui l’importanza della dieta e dello stile di vita: il vino, ad esempio, diluisce gli atomi e dilata i pori, mentre la ginna-stica accelera il ricambio e l’espulsione degli atomi in eccesso. Per le malattie sono ipotizzati tre stati tipici: lo status strictus, in cui si verifica una ri-strettezza dei pori con conseguente accumulo di atomi che porterebbe, ad esempio, alla febbre, spiegata con un attrito degli atomi attraverso i pori troppo stretti; lo status laxus, in cui i pori sono, al contrario, troppo larghi; e uno stato inter-medio, lo status mixtus, in cui i pori sono troppo stretti o troppo larghi in diverse parti del corpo.

Questa filosofia interpretativa della medicina con-sidera, contrariamente a quella ippocratica, le ma-lattie della pelle influenzabili maggiormente da problemi locali. Con queste premesse cambia l’in-terpretazione delle lesioni cutanee: gli arrossa-menti come le tumefazioni e le infiltrazioni sono effetti di uno status strictus, per cui gli atomi “evi-dentemente” sono imprigionati all’interno del corpo. La logica conseguenza terapeutica è quella

di cercare di farli uscire con sostanze dilatanti e calde (es. massaggi con olio caldo). Ovviamente, al contrario, in presenza di uno status laxus ci tro-veremo di fronte a lesioni pallide, bollose, secer-nenti, dato che la dilatazione eccessiva dei pori ha lasciato scappare gli atomi solidi sostituti da quelli liquidi; pertanto, la terapia sarà quella di far re-stringere i pori con bagni freddi e sostanze astrin-genti. Le ulcere secernenti con bordi duri sareb-bero la tipica espressione di uno status mixtus in cui i pori sono ristretti in periferia e lassi al centro.

Questa impostazione, antitetica a quello che ver-rebbe in mente a una persona di buon senso (e, co-munque, sostanzialmente sbagliata dal punto di vi-sta medico) si ritrova in parte nell’omeopatia (si-milia similibus curantur) e anche, più prosaica-mente, in alcuni individui che pensano di curare una bella sbornia con un’altra bevuta!

Marco Terenzio Varrone (117 a.C. – 26 a.C.) Fu un grande enciclopedista che trattò diffusamente nei suoi libri di argomenti di igiene. Compose (se-condo San Gerolamo) ben 74 opere per un totale di 620 libri, per cui fu ritenuto da Quintiliano “il più istruito dei Romani”. Ci è rimasto ben poco dei te-sti originali tra i quali il famoso De re rute-stica libri III in cui Varrone anticipa alcuni concetti della mi-crobiologia e dell’epidemiologia, quando, ad esem-pio avverte di stare lontani dalle zone paludose per-ché queste zone ospitano minuscole creature che non si possono vedere con gli occhi, ma che fluttuano nell’aria e che possono entrare nel corpo attraverso il naso e la bocca e provocare gravi malattie.

Aulo Cornelio Celso (25–30 a.C. – 45–50 d.C.) Della famiglia patrizia dei Cornelii, oltre che

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corpo’ [Anonimo Londinese, Wellmann 4, trad. it. di M. Vegetti (Lopez, 2011)]. L’idea che il corpo respiri per intero proietta indietro nel tempo, nella Magna Grecia di circa XXIV secoli addietro, il significato sostanziale di molte delle osservazioni scientifiche proposte dalla dermatologia contemporanea. [...] una équipe guidata da Markus Stücker della Università della Ruhr a Bochum, [...] in un articolo apparso sulla rivista ‘Journal of Investigative Dermatology’ (‘The Transepidermal Oxygen Flux from the Environment is in Balance with the Capillary Oxygen Supply’, 2000, n. 114, pp.

533-540) dimostrava nuovamente quello che si era saputo solo nel XIX secolo e cioè che non tutto il nostro corpo viene rifornito di ossigeno dai polmoni, mediante il sangue: uno strato spesso da 0,25 a 0,4 millimetri della nostra pelle as-sorbe l’ossigeno direttamente dall’aria”.

16Attuale Turchia, Anatolia settentrionale.

17Vi sono dubbi sul fatto che si trattasse del suo vero nome. Asclepiade vuol dire “seguace di Asclepio”, il dio della me-dicina. Si può ipotizzare che non sapesse neppure il suo nome (un ex-schiavo?) oppure che, furbescamente, si sia vo-luto dare un nome d’arte illustre.

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