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Case herme, quartieri, caserme Il labile confine tra ‘militare’ e ‘civile’

1. La difficile via verso l’affermazione delle caserme e la separazione tra ‘civili’ e ‘militari’

Il processo che portò alla nascita delle moderne caserme ed alla conseguente separazione tra un mondo ‘civile’ ed uno ‘militare’ fu estremamente lungo e si può dire non ancora terminato nel XIX secolo inoltrato (Del Negro 2002). Anche solo un breve sguardo alle esperienze europee mostra l’enorme difficoltà con la quale si arrivò alla soluzione moderna del problema degli alloggiamenti militari.

Nelle Fiandre i primi esempi di baraccamenti di pietra o di semplice legno furono costruiti nelle maggiori città sedi di presidio durante il periodo 1609-1616, e, secondo Geoffrey Parker (1988: 126) e Frank Tallett (1992: 121), tali edifici permisero di al- loggiare almeno una parte delle armate di Fiandra come comunità separate dalla po- polazione ed autosufficienti senza che, tuttavia, questo significasse un mutamento del sistema tradizionale di alloggiamento. Per quanto riguarda l’Inghilterra ancora per tutto il Settecento la costruzione di caserme fu particolarmente lenta e non uniforme sul territorio. Facevano eccezione le regioni scozzesi e, soprattutto, l’Irlanda dove sin dagli anni venti del XVIII secolo la maggiore esigenza di separare le soldatesche da una popolazione civile particolarmente ostile favorì un più rapido sviluppo di edifici per l’acquartieramento (Chandler 1994; Tallett 1992). Secondo Jeremy Black (1994: 225) in Russia la decisione di alloggiare tutte le truppe di Mosca in caserme non fu presa fino al 1765 ed una situazione simile sarebbe riscontrabile anche per la Prussia prima del regno di Federico II1 o per le terre austriache, dove prima del 1748 l’utilizzo di caserme non ebbe una grande diffusione (Hochedlinger 2003; Tallett 1992).

1 La città di Berlino sino alla Guerra dei sette anni (1756-1763) alloggiò la propria guarnigione prevalen-

temente in case private. È solo col grande aumento di truppe avvenute durante il regno di Federico II che si iniziò a costruire speciali caserme per i soldati: fra il 1763 e il 1786, anno della morte del re prussiano, infatti, la guarnigione berlinese si era accresciuta sino a raggiungere i 36.000 effettivi (un quinto della po- polazione cittadina). Le caserme fatte costruire da Federico tra 1763 e 1767, tuttavia, furono solamente

Alessandro Buono, Esercito, istituzioni, territorio. Alloggiamenti militari e «case herme» nello Stato di Milano (secoli XVI e XVII), ISBN 978-88-8453-947-2 (print) ISBN 978-88-8453-948-9 (online) © 2009 Firenze University Press

Anche il caso francese, da questo punto di vista, non riserva particolari sorprese. Nonostante gli sforzi fatti durante l’età di Luigi XIV, il sistema di alloggiamento tra- dizionale non fu sostituito sino alla fine del XVIII secolo: la norma, per i soldati al- loggiati in città, fu quella di vivere in case civili e le caserme rimasero l’eccezione alla regola nel XVII secolo. Le ordinanze che prescrivevano la costruzione di caserme, du- rante il regno del Re Sole, rivelavano più una speranza che la realtà dei fatti. Espri- mendo il suo desiderio per la standardizzazione ed il razionalismo Luigi XIV volle che tutte le caserme delle fortezze fossero costruite secondo uno stesso schema, dise- gnato da Vauban nel 1679 e inviato a tutte le piazzeforti del regno. Nonostante gli sforzi di Louvois e Vauban, tuttavia, dopo il 1668 le 160 caserme fatte costruire da Luigi XIV furono insufficienti ad alloggiare il grosso delle truppe che proprio in que- gli anni iniziavano a crescere in modo spaventoso (Lynn 1997). Nella maggior parte delle piazzeforti la maggioranza delle soldatesche era ancora alloggiata presso gli abi- tanti e solo parzialmente in «“cazernes” qui n’étaient encore que des reduits situés en- tre les remparts et les faubourgs de la ville» (Navereau 1924: 60), una sorta di ‘case- matte’ solitamente in cattivo stato di conservazione.

Quando la costruzione di speciali abitazioni avveniva era limitata alle fortezze di nuova costruzione o a quelle vecchie fortificazioni che subissero dei lavori di consi- stente allargamento. Certamente questo fu il caso di Lille, la prima delle grandi forti- ficazioni volute dal Luigi XIV, sul confine con le Fiandre, dove nello stesso progetto di costruzione furono previste caserme per i soldati (Lynn 1997: 159). Ed anzi, il viaggiatore fiorentino Pietro Guerrini – inviato da Cosimo III de’ Medici, tra 1682 e 1686, «per le provincie più culte d’Europa» in un viaggio a metà tra il percorso di i- struzione ed una missione di vero e proprio ‘spionaggio industriale’ (Martelli 2005: XI-XII)–, di passaggio per Lille sulla strada che lo portava da Parigi a Dunkerque, più che dalle opere fortificatorie fu proprio colpito dalle caserme di nuova costruzione e con queste parole le descrisse il 27 luglio 1685:

la cittadella di qui è poi una delle belle cose viste nel mio giro, ma non vi si vedono nuovi metodi di fortificazioni, ma bensì una galante struttura di belli e comodi quar- tieri e case per gl’ofiziali con ogni ordigno appropriato, come fabbrica di birra, forni, macina a acqua, essendovi un piccolo canale che con caduta traversa lì passando per condotto murato e traversa l’acqua della cunetta e fosso. Evvi un ben fornito arsenale e poi il quartiere di monsù Vooban, ben galante e ben addobbato con appresso ben proprio giardino (Guerrini 2005: I, 365-366).

otto (Hegemann 1930: 37-136). Per un esempio di città-guarnigione prussiana, Potsdam, si veda Kotsch (1992).

Il fatto che il Guerrini, che per tutto il suo itinerario fu solitamente poco attento ad opere di carattere militare, si dimostrasse così favorevolmente colpito da tali quar- tieri – tanto da disegnarne una pianta ed uno schizzo da inviare al granduca2 – non fa che rimarcare la novità di simili strutture nell’Europa del tempo3.

Altro esempio è quello di Longwy-sur-le-Doubs, in Franca Contea, dove Vauban realizzò un ampliamento della fortificazione e disegnò un secondo recinto appoggiato a quello urbano, togliendo così spazio alla città a favore della fortificazione quasi «a costituire una zona militare dove le truppe [potessero] essere acquartierate» (Fara 1993: 92-93)4.

Limitate alle sole fortificazioni, tali caserme, spesso semplici baracche permanen- ti, potevano contenere unicamente le truppe di guarnigione e non le soldatesche regolari che fossero schierate sul campo in vista delle operazioni militari. La consistenza di queste guarnigioni è risibile se confrontata con gli effettivi degli eserciti mantenuti in tempo di pace durante il regno di Luigi XIV: a fronte di circa 3.000 uomini che assicuravano la difesa delle piazzeforti, dopo la pace del 1679 l’esercito francese mantenne in campo poco meno di 147.000 uomini, quasi 166.000 nel 1684 e ben 185.715 nel 1699.In tempo di pace, poi, le truppe, dopo essere rimaste nei mesi invernali in alcuni luoghi designati, venivano continuamente spostate da

2 Assieme alla missiva, il Guerrini inviava al granduca anche una pianta e un disegno nei quali mostrava

«come siano fabbricate le caserme o quartieri per la cavalleria et infanteria che quasi in tutte le città di frontiera fa fabbricare questo Re». In particolare «le stanze atterreno sono di piazza appropriata per stalle et in quelle s’entra solo di fuori. [...] Sono appropriate per avervi 12 cavalli, da ciascuna parte 6» (Guerrini 2005: I, 369; II, disegno 101).

3 L’interesse predominante del viaggio, secondo le stesse istruzioni date al Guerrini, sarebbe comunque

stato quello relativo alle «applicazioni di tipo civili rispetto a quelle militari» – cosa testimoniata anche dal fatto che su 147 disegni, solo 20 (il 14%) sono relativi al settore militare – e quindi «avrebbe dovuto fare attenzione a non correre rischi (“imbarazzi fastidiosi”) allo scopo di osservare e raffigurare fabbriche mili- tari o fortificazioni», tralasciando di rilevarle nei casi di pericolo (Martelli 2005: XII-XIII).

4 Solo nelle villes neuves, tuttavia, l’idea di città vaubaniana poté esprimersi appieno, una città dove

l’elemento ‘militare’ tende a sovrastare il ‘civile’. È qui che si può vedere pienamente realizzato il camp retranché, dove una parte consistente del territorio urbano viene completamente dominata dalla visuale di tiro della guarnigione che staziona in città ed occupata tanto da creare una specie di sobborgo militare. Altro caso interessante è quello di Mont-Royal, sulla Mosella, i cui lavori iniziano nel 1683 per l’adattamento di una precedente trace italienne e che sarà «scandito dalla distribuzione delle caserme a ridosso del perimetro fortificato». Al pari di Vauban, e da questo influenzato, Menno van Coehoorn, il più importante ingegnere militare olandese dell’età moderna, pensava alle piazzeforti «come luoghi di intersezione di necessità militari e civili» ma dove, nello stesso impianto urbanistico, nelle vie e nelle piaz- ze, erano le prime ad informare le seconde e non viceversa (Fara 1994 : 93-94). Sul sistema fortificatorio francese dalla metà del Cinquecento all’inizio del Settecento si veda Blanchard (1992). Sull’architettura militare, gli ingegneri e la diffusione delle cinte bastionate in Italia ed in Europa tra Quattrocento e Sei- cento molto interessanti i lavori di Marino Viganò (2004, 2008).

vernali in alcuni luoghi designati, venivano continuamente spostate da una comunità all’altra, spesso come misura punitiva per ridurre all’ordine determinate città (Nave- reau 1924: 60). A dispetto degli ambiziosi piani messi in campo durante il periodo 1716-1719, ancora alla fine del Settecento la maggior parte dell’esercito rimaneva al- loggiata a spese delle comunità (Foucault 1975; Lynn 1997; Della Siega 2002).

Negli stati italiani settecenteschi, ugualmente, i confini tra il ‘civile’ ed il ‘militare’ rimarranno alquanto labili. Secondo Sabina Loriga (1992), pur in presenza di una ve- ra e propria ‘febbre edilizia’ nel Piemonte degli anni trenta del XVIII secolo, la co- struzione di nuovi edifici non fu comunque sufficiente a coprire il fabbisogno di al- loggiamenti e «la caserma, insomma, non era necessariamente concepita come uno spazio professionale chiuso e specifico, senza impurità» (18)5. Nella Lombardia au- striaca della seconda metà del Settecento il ricorso alle caserme si fece sempre più massiccio (Dattero 2002, 2007), ma quando a partire dall’invasione francese del 1796 la presenza militare sul suolo lombardo si fece nuovamente ingente, l’alloggiamento in ‘casa dei padroni’ ritornò ad essere l’unico modo per reperire alloggi sufficienti, dato che i quartieri austriaci non erano in grado di fronteggiare il nuovo stato di e- mergenza (Bobbi 2006b).

Questa diffusione molto lenta delle caserme in tutt’Europa fu senza dubbio dovu- ta all’estrema dispendiosità della loro costruzione e del loro mantenimento, il che rendeva preferibile, al di là dei vantaggi che l’accasermamento avrebbe portato, il tra- dizionale sistema di alloggiamento a spese della popolazione civile. Anche la strenua opposizione dei militari, oltre alle carenze strutturali degli stati della prima età mo- derna, rese oltremodo difficile l’imposizione dell’acquartieramento in caserme da parte dei governi europei. L’alloggiamento presso i civili, infatti, fu sempre preferito dalle soldatesche a sistemazioni in luoghi più chiusi, capaci di accogliere contingenti più grandi e tenerli sotto un controllo più serrato (Donati 1996: 13-19; Pezzolo 2006: 42). Non era infatti infrequente che i soldati scatenassero incidenti al fine di manife- stare tutta la loro insoddisfazione, quando venissero alloggiati in sistemazioni a loro non gradite. Come ebbero a lamentarsi le autorità cittadine di Cremona alla metà del XVII secolo, i militari «non si danno mai per sodisfatti di cosa alcuna, sperando per

5 Continua la Loriga: «poco protette e immerse nel tessuto urbano, le caserme erano spesso frequentate da

donne, bambini, vagabondi, prostitute – un insieme composito di persone che spezzava l’uniformità ses- suale e professionale dell’istituzione. Il via vai con l’esterno era continuo. Balli militari cui venivano invi- tati i civili, bottegai che entravano per vendere o acquistare qualche merce, nobildonne che andavano a vedere le manovre della fanteria». Oltre agli ospiti occasionali vi erano quelli fissi: «vivandiere, lavandaie, prevosti, cappellani, impiegati delle gabelle in missione, oziosi e malviventi “che pagano la pigione a mesi, a settimane, e persino giorni”» (1992: 18-19). Sulle riforme militari nel Piemonte settecentesco si veda anche Bianchi (2002).

questa via di aprirsi la via all’uscir dalla città, che chiamano carcere, per alloggiar nelle ville a vivere con la libertà, licenza et disordini soliti»6. Un acquartieramento che sot- toponesse il militare ad un controllo più stretto – in città, nelle cosiddette ‘case her- me’, nei presidi, nelle fortezze – era sempre sgradito, dato che non permetteva al sol- dato di «usar della solita concussione»7. Non a caso spesso tale sistema di alloggia- mento fu utilizzato – ma anche una semplice minaccia poteva bastare – come puni- zione per compagnie particolarmente riottose: così, ad esempio, la giunta per la ri- forma suggerì al governatore di inviare la compagnia colonnella di don Pedro de la Puente, resasi colpevole di numerosi eccessi nelle terre del lodigiano, «en peña a casas hiermas o a otra parte para obligarla a conocer la diferencia»8.

D’altro canto erano le stesse istituzioni militari del Seicento e della prima metà del Settecento ad impedire, in un certo senso, che la strada delle caserme fosse im- boccata più decisamente. Per tornare al nostro caso lombardo, è vero che il ricorso da parte della Monarchia spagnola all’alloggiamento presso i particolari fu certamente considerato un espediente dettato dalle necessità finanziarie ed amministrative. La stessa concezione delle forze militari destinate alle operazioni di guerra come forze ‘straordinarie’ – quelle cioè che non erano immobilizzate nei presidi e poste sotto il diretto controllo di autorità civili e militari – se da un lato è il portato dell’«inerzia di una terminologia che non teneva conto dei mutamenti intervenuti nella prima età moderna» (Donati 1996: 16), d’altro canto dimostra che gli stessi governanti non e- rano in grado di controllare e di provvedere a larga parte dell’esercito: per questo mo- tivo individuavano il nucleo principale delle forze militari nelle guarnigioni, «quelle su cui era possibile esercitare un controllo diretto e costante, e che da parte loro ac- cettavano o, meglio, sceglievano volontariamente di sottomettersi a tale controllo» (Ibidem) nei presidi e nei castelli9. Sarà solo con la seconda metà del Settecento che questi limiti verranno meno, quando la concezione del rapporto tra esercito e territo- rio muterà e si focalizzeranno tutte le risorse verso la promozione dell’efficienza ed efficacia dell’esercito campale senza più distinzioni tra truppe mobili e stabili10. Ma fu

6 Asmi, Militare p.a., cart. 2: «Consulta della giunta per la riforma a S.E. sopra memoriali dell’oratore di

Cremona, Sindici del Ducato, e Lodi», 15 novembre 1641. (Il corsivo è mio).

7 Ascmi, Dicasteri, cart. 298: Congregazione dello Stato del 5 gennaio 1640. 8 Asmi, Militare p.a., cart. 2: Giunta del 12 marzo 1641.

9 Peraltro, il rapporto tra le guarnigioni dei castelli e le forze straordinarie durante il Seicento poteva su-

perare l’1 a 10. A fine secolo le forze di guarnigione si aggiravano intorno ai 1.100-1.700 uomini con un esercito di presidio in Lombardia che aveva una consistenza attorno ai 19.000-20.000 effettivi. Per la con- sistenza numerica delle truppe lombarde durante il Seicento, Ribot García (1989), Rizzo (2004), Maffi (2007a). Sull’organizzazione della difesa territoriale lombarda Anselmi (2008).

10 Per tutta la prima metà del Settecento, afferma Alessandra Dattero (2007), «non si avverte, almeno fino

soprattutto con le riforme settecentesche, e con la creazione degli intendenti politici provinciali (1786), che si mise fine alla gestione da parte dei corpi locali del mante- nimento e dell’alloggiamento delle truppe, e nella cornice di una statualità ben diffe- rente da quella seicentesca fu possibile una maggior razionalizzazione di quel sistema degli alloggiamenti, sino a quel momento solo in minima misura amministrato e con- trollato dai poteri centrali11.

Ad ogni modo, sin dal Cinquecento, emerse con forza un’esigenza, una spinta o- riginatasi soprattutto dai territori e solo successivamente affermatasi anche nelle in- tenzioni delle autorità centrali: quella di ridurre al minimo la coabitazione forzata tra le popolazioni civili e le forze militari in costante ed impetuosa crescita. La preoccu- pazione per la sorte dei sudditi emerse via via che questi, con le loro perorazioni, por- tarono a conoscenza della corte la situazione locale facendo emergere le contraddi- zioni esistenti tra il bisogno di incrementare il potenziale economico dei domini sog- getti e la sua devastazione da parte di quelle stesse strutture militari che grazie a quel- lo si sarebbero dovute mantenere.

Ne parleremo più approfonditamente in seguito, analizzando i vari tentativi fatti nello Stato di Milano per passare ad un sistema generalizzato di alloggiamento in case herme che mettesse fine alle devastazioni provocate dalla coabitazione nelle case dei civili. Quello che in questo momento mi preme sottolineare è il fatto che, sin dagli anni venti del Seicento, si fecero sempre più accorati gli appelli degli oratori lombardi a corte per evitare di ritrovarsi i soldati tra le mura domestiche, per mettere fine all’invasione continua di questi elementi ritenuti estranei e dannosi. Nella sua perora- zione, l’oratore dello Stato di Milano, il frate domenicano Giovanni Paolo Nazari, chiedeva al sovrano di ordinare espressamente che i soldati, oltre a rispettare gli ordi- ni militari, alloggiassero nelle cosiddette casas yermas, letteralmente ‘case disabita- te’12.

Queste sono le parole con cui il Consiglio d’Italia e Filippo III rispondevano alla supplica dell’oratore lombardo nel 1620:

(405-406). Solamente nel 1752, infatti, venne eliminata la distinzione tra esercito ordinario e straordina- rio, sottoponendo tutte le truppe al controllo del consiglio aulico di guerra. Un simile processo è del tutto coincidente con quello che stava avvenendo nelle piazzeforti venete, dove stavano cambiando «gli equili- bri nella struttura difensiva, che confidava un po’ meno nel sistema passivo (le fortificazioni) e un po’ più in quello attivo (i soldati), un motivo in più che diede impulso a quell’attività così esuberante di edifica- zione di quartieri» (Porto 2009: 106).

11 Dattero (2007: 407-413). Sulle riforme asburgiche nella Lombardia settecentesca Capra (1987), Mozza-

relli (1990).

12 Sulla missione a corte del domenicano Nazari (1619-1622) si veda Ascmi, Dicasteri, cart. 144. Di tale

en las occasiones de alojar soldados se puede también cumplir con casas yermas. No sean apretados los vassallos a recivirlos en sus propias casas en quebrantamiento13 de aquel fin de quietud, seguridad, y buena educación, por el qual la naturaleza, [assicura] no solo a los hombres el fabricar sus casas, sino a las aves sus nidos, y a las bestias sus cuevas, y en mayor perdición de las haziendas, y en manifiesto peligro de las honrras, puntos todos […] tan en servicio de Dios, y de Vuestra Majestad, y bien de sus vassallos, y tan conforme a toda ley Divina, y Humana14.

Estremamente indicativo dell’universo in cui ci muoviamo è il lessico utilizzato per descrivere il diritto dei sudditi a non vedere le proprie mura domestiche invase dalle soldatesche. È la metafora naturale a dominare, il paragone tra l’essere umano con la sua casa e l’animale con la sua tana, l’uccello con il suo nido: è la legge della na- tura – prima ancora della legge divina che la consacra e di quella umana che la con- ferma e la esplicita – a stabilire l’ordine immanente del mondo, dove la famiglia è l’associazione originaria, la res publica (aristotelicamente) altro non è che l’unione di più nuclei familiari ed il potere del sovrano, ad immagine e somiglianza di quello di- vino, è il potere del padre sulla sua familia (Clavero 1991: 157 sgg.).

Lo ius fisci del sovrano e l’intera potestà amministrativa in campo fiscale, d’altro canto, appartenevano anch’essi «al genere dei governi domestici – o ‘economici’ […]. La figura di riferimento è qui costituita dall’amministrazione della famiglia, come complesso di persone e di beni naturalmente soggetto alla potestà del pater» (Manno- ri e Sordi 2001: 31-32). L’estrazione delle risorse attraverso la leva fiscale, quindi, do- veva essere attenta alla salute dell’hacienda dei sudditi, alla conservazione delle so- stanze e dell’onore di tutte le membra che componevano il corpo dello stato, così co- me avrebbe fatto un buon padre di famiglia nell’amministrazione sia degli individui, sia dei beni a lui affidati, che avrebbe dovuto trasmettere accresciuti – o almeno intat- ti – agli eredi della sua casa.

Ma il governo del sovrano è solo uno dei molteplici governi esistenti, quelli di una pluralità di corpi che compongono la res publica e su cui la sovranità si esercita solamente per il bene comune e per la difesa dell’ordine15, come la testa governa un corpo composto di distinte membra16. Le parole che abbiamo letto ed il mondo a cui

13 Quebrantar, ovvero azione ed effetto del rompere qualcosa con violenza.

14 Asmi, Militare p.a., cart. 406/240-241: Ordine di Filippo III al duca di Feria, per l’alloggiamento dei sol-

dati in case herme, 10 dicembre 1620.

15 «République – secondo la celebre definizione di Jean Bodin (1576: I, 1) – est un droit gouvernement de

plusieurs mésnages, et de ce qui leur est commun, avec puissance souveraine».

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