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Questo caso di studio può essere considerato come ‘zero’ perché non presenta una fase com- pleta di modellazione 3D, ma mostra come una procedura di ragionamento per ‘progetta- zione inversa’ possa funzionare per aiutare l’interpretazione del progetto originale. Come tutte le architetture sviluppate in tempi antichi e secondo un periodo di tempo piutto- sto esteso, la torre campanaria della cattedrale di Firenze detta comunemente ‘Campanile di Giotto’, non è riconducibile ad un unico progetto, non è il risultato di un processo unitario, è invece un’opera pregevole dovuta al susseguirsi di interventi di completamento spinti dal- la volontà di concludere il necessario campanile per il Duomo dei fiorentini, mantenendo scelte coerenti, ma adattando le varie fasi del lungo cantiere a orientamenti diversi. Come è ben noto, la torre della cattedrale fiorentina fu inizialmente opera di Giotto di Bondone, arti- sta di grande importanza, e qui operante come architetto. Tuttavia, la morte di Giotto accad- de mentre il cantiere del campanile era ancora nelle sue fasi iniziali, con una gran parte del basamento appena completato, ma con l’intera costruzione ancora lontana dall’ergersi com- pletamente. Il diciannove luglio 1334 (Tomei, 1998) veniva dato l’avvio al cantiere del cam- panile, secondo il progetto di Giotto, che all’epoca conduceva i lavori della nuova cattedrale, in un contesto di trasformazioni in cui si vedeva emergere l’immane mole della nuova catte- drale sulla chiesa originale di Santa Reparata. Il nuovo campanile andava ad essere eretto in luogo di quello precedente, distrutto da un incendio nel 1333. La circostanza della distruzio- ne del campanile nel viene così riportata:

(17 luglio) Giotto, secondo la comune asserzione, da principio al nuovo campanile di Santa Ma- ria del Fiore, perciocché il vecchio era stato distrutto da un incendio nel gennajo del 1333. (Reumont d’Aquisgrana, 1841)

L’incendio della torre è ricordato anche nella Nuova Cronica di Giovanni Villani:

E a dì XXVI di gennaio di mezzodì s’apprese fuoco contra il campanile vecchio di Santa Reparata da la via di Balla, e arse una casa.

Il Campanile della Cattedrale di Santa Maria del Fiore, Firenze, detto ‘Campanile di Giotto’

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La testimonianza dell’inizio dell’opera del nuovo campanile è documentata nelle crona- che dovute ad Antonio Pucci, che riportano:

a dì dicennove di Luglio / della chiesa maggiore il campanile / fondato fu, rompendo ogni ce- spuglio, / per mastro Giotto, dipintor sottile, / il qual condusse tanto il lavorio / che’ primi in- tagli fe con bello stile.

Nel Centiloquio, da cui è tratto il passo, Antonio Pucci si basa in buona parte sulla Nuo- va Cronica di Giovanni Villani, che circa la fondazione riporta:

Nel detto, anno a dì XVIII di luglio, si cominciò a fondare il campanile nuovo di Santa Repa- rata, di costa a la faccia della chiesa in su la piazza di Santo Giovanni. […] fecesi il fondamen- to infino all’acqua tutto sodo; e soprastante e proveditore della detta opera di Santa Liperata fue fatto per lo Comune maestro Giotto nostro cittadino, il più sovrano maestro stato in dipin- tura che·ssi trovasse al suo tempo, e quelli che più trasse ogni figura e atti al naturale; e fulli dato salario dal Comune per remunerazione della sua vertù e bontà.

La testimonianza del Pucci risale al 1373, data ben successiva alla morte di Giotto stes- so, avvenuta nel 1337. A seguito di questo evento la direzione dei lavori passa prima ad Andrea da Pontedera, detto Andrea Pisano, che quasi sicuramente prosegue nella mes- sa in opera del progetto originale del campanile eseguendone un ulteriore e significati- va parte, in continuità compositiva con le parti già realizzate, che completa la torre fin quasi all’altezza della linea di gronda della navata laterale della cattedrale. la sua ope- ra continua qui fino al 1348. Il cantiere passa quindi a Francesco Talenti, che ne cura il completamento entro il 1359, introducendo un proprio nuovo progetto, armonico, ma visibilmente diversamente caratterizzato rispetto alle due fasi precedenti.

Oggi la torre di Santa Maria del Fiore si presenta nel paesaggio fiorentino con estrema de- cisione, al pari della cupola sottolinea e accentua il grande momento ‘fuori scala’ della cat- tedrale, presentando un’assoluta simmetria che ripropone il medesimo prospetto in tutte le direzioni rendendo il ‘campanile di Giotto’ un punto di riferimento sempre immutato. Il duomo ha continuato a trasformarsi e a completarsi in una forma omogenea nella mi- sura in cui i molti progettisti la hanno ritenuta consona al monumento, ma al tempo stes- so hanno introdotto trasformazioni al di là dell’idea originale di chi lo aveva avviato e poi proseguito: dalle prime opere murarie dell’inizio del XIV secolo alla facciata del XIX se- colo, alla sua condizione di opera terminata per il nostro tempo, ma ancora ‘incompleta’, in virtù della mancanza di una buona parte del rivestimento della fascia di imposta della cupola. In questo senso il campanile non si differenzia dal complesso, costituendo, una adeguata premessa alla logica di sviluppo della cattedrale, con una vivace discussione in buona parte ancora irrisolta circa la natura del progetto originario di Giotto e la corretta

valutazione del risultato conseguito secondo il maggior contributo di Francesco Talenti. Se poi le trasformazioni di Santa Maria del Fiore sono impressionanti per la varietà e per l’uniformità del risultato complessivo, al tempo stesso l’intorno urbano non è stato certo da meno, in special modo, la trasformazione ottocentesca degli isolati posti ad Ovest del com- plesso, ha indotto una mutazione significativa nella percezione della cattedrale per chi la raggiunge da quel lato. Infatti, originariamente il denso tessuto urbano di quella parte, non permetteva di raggiungere piazza del Duomo con ampi scorci, e l’edificio che affacciava ver- so il battistero chiudeva completamente la strada e permetteva l’accesso attraverso una am- pia copertura arcuata — la volta dei Pecori — che dava accesso alla vista del monumento che emergeva, quasi improvvisamente e di certo con grande impatto visivo al di fuori di un contesto di ben più contenute proporzioni. Nonostante questo effetto sia ancora in parte pre- sente, per via dell’estrema complessità e dimensione della cattedrale, di certo risulta ridotto dall’ampliamento delle strade, dal diradamento del tessuto urbano e dalla presenza di mol- ti spazi aperti e di edifici caratterizzati da proporzioni sovradimensionate. Quindi, la perce- zione a distanza ravvicinata del campanile risulta comunque trasformata, la torre è diventata ben visibile per buona parte del percorso di via dell’Olio e per chi giunge da via dell’Arcive- scovado l’arrivo in piazza ha perso ogni effetto di sorpresa indotta dal repentino mutare della proporzione degli spazi.

Tornando alla torre, questa può essere attribuita all’opera di Giotto solo per quel che riguarda la parte basamentale, composta e ripartita per accogliere il ciclo delle formelle sulle attività umane, composizione originale nel suo genere, esaltazione delle virtù del lavoro quale prin- cipale componente della crescita di Firenze (Carlotti, Cattolico, 2001).

Se Andrea Pisano decide di proseguire l’opera continuando il progetto di Giotto, tuttavia la sua conduzione, si protrae con una certa lentezza e il cantiere vede lunghi periodi di scarsa attivi- tà, così che nel 1348, con il completamento del terzo livello del campanile, la conduzione dei lavori passa a Francesco Talenti, che introduce un nuovo progetto, che prevede la conclusione della torre secondo una soluzione significativamente diversa dalle indicazioni di Giotto. Il nuo- vo progetto verrà quindi proseguito fino alla conclusione della copertura, avvenuta nel 1359. Il campanile realizzato è quindi una summa di tre fasi principali: il progetto iniziale di Giot- to, la successiva interpretazione di questo da parte di Andrea Pisano e il cambiamento intro- dotto da Francesco Talenti. Il campanile presenta in effetti sia continuità — nei materiali, negli elementi verticali mai interrotti — che contrasto, soprattutto nella parte in cui l’aprir- si delle prime due grandi bifore segnala e sottolinea il repentino cambiamento dell’intento compositivo come sembra evidenziare l’alta fascia di ricorsi di marmi bicromi posti al di so- pra dell’ultima serie di nicchie.

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Secondo Cesare Guasti (Guasti, 1887) l’intento di Giotto, dal momento della sua no- mina a direttore del cantiere della cattedrale, è quello di lasciare un segno tangibile in Firenze, una torre imponente, a confrontarsi con la torre civile di Palazzo Vecchio, pun- to di massima altezza della città e indubbiamente la sua indicazione risulta quanto mai plausibile (Gurrieri, 1994). Su quali fossero le caratteristiche della torre come originaria- mente pensata e progettata non si possono che fare delle ipotesi. A sostegno della teoria di una torre altissima e svettante, risulta estremamente interessante l’indicazione data di Giorgio Vasari, che ne le vite riporta:

essendo mancato di vita Arnolfo Todesco, capo di quella fabrica, e desiderando gli operai di quella chiesa, e la Signoria di quella città, che si facesse il campanile, Giotto ne fece fare co ‘l suo disegno un modello di quella maniera todesca che in quel tempo si usava, e per aver- lo egli ben considerato, inoltre disegnò tutte le storie che andavano per ornamento in quella

Due esempi di campanili gotici ‘germanici’: la Wiesenkirche di Soest (Wayne Huebner, 1958) e la cattedrale di Friburgo (Stefano Boscaro, 1982)

opera. E cosí scompartí di colori bianchi, rossi e neri in sul modello, tutti que’ luoghi dove aveva- no andare le pietre et i fregi, con grandissima diligenzia, et ordinò che ‘l circuito da basso fussi in giro di larghezza de braccia 100, ciò è braccia 25 per ciascuna faccia e l’altezza braccia 144; nella quale opera fu messo mano l’anno MCCCXXXIIII e seguitata del continuo, ma non sí che Giot- to la potessi veder finita, interponendosi la morte sua. (Vasari, 1550)

La versione di un campanile ‘Todesco’, ovvero secondo le matrici del Gotico d’oltralpe, è in- dubbiamente affascinante, a suo sostegno, alla fine del XIX secolo, è stata chiamata in causa la Pergamena Senese, un’opera di grandi dimensioni, di oltre due metri di sviluppo, conserva- ta presso l’Opera della Duomo di Siena e raffigurante il fronte di una alta torre campanaria; la divulgazione di quest’opera e la sua prima attribuzione a Giotto sono dovute ad Aristi- de Nardini Despotti Mospignotti (Nardini Despotti Mospignotti, 1885). La pergamena, ol- tre che oggetto di vivace discussione sulla propria consistenza come vera testimonianza del progetto originale, è stata anche oggetto di ulteriore disputa, quando Robin Evans (Evans, 1997), l’ha chiamata in causa come primo esempio di rappresentazione ortografica. La per- gamena può essere ritenuta attribuibile alla bottega giottesca, ma presenta comunque due principali interpretazioni: una che la vuole come opera di Giotto o copia derivante da un suo disegno, ma comunque matrice originale della torre di Santa Maria del Fiore; ed una secon- da che la ritiene invece legata al campanile fiorentino solo come una rilettura del progetto originale, utilizzato forse come base per una proposta di torre campanaria per il Duomo di Siena, disegnata, ma mai passata in fase esecutiva. La corrispondenza della fascia basamen- tale rappresentata nel disegno della pergamena senese con la parte effettivamente realizzata sotto la conduzione di Giotto è evidentissima, ma via via che la torre si innalza le differenze sono sempre più accentuate fino alla soluzione della cella terminale, visibilmente ottagona- le, con la copertura a cuspide ornata da fiori rampanti lungo le nervature, una soluzione si- mile a quelle individuabili nella cattedrale di Friburgo e nella Wiesenkirche di Soest. Le analisi grafiche condotte sul disegno della pergamena (Mandelli, 1983) portano confer- me interessanti sulla volontà progettuale sottesa al disegno stesso e indicano la struttura com- positiva secondo cui il basamento si sarebbe dovuto andare ad integrare con i piani superiori e la grande cuspide di terminazione. Questi studi, portano Emma Mandelli a concludere:

è la matrice geometrica che sottolinea tutta la costruzione della torre campanaria, dai riferimenti planimetrici di griglia, misura o rapporto, alla gabbia spaziale esattamente controllata. La geome- tria in questo caso non ha creato lo spazio, ma ha determinato la composizione dell’architettura in termini semplici e ancora legati alle soluzioni formali del periodo precedente. La sintesi degli elementi aggregati è controllata e applicata in maniera chiara, con possibilità di verifica geometri- ca attraverso le leggi note. La tendenza della progettazione non si esaurisce nell’uso empirico del- la geometria, ma sembra diventare una vera speculazione teorica.

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Al di là delle ipotesi di attribuzione della pergamena, si possono fare alcune considera- zioni inerenti l’aspetto architettonico e progettuale del campanile di Santa Maria del Fiore; prima tra tutte una circa le caratteristiche stesse dell’opera di Giotto, che realiz- zando la parte basamentale del campanile sceglie di inserirvi un ciclo di formelle dedica- te alle attività umane, con una intenzione simbolica ben riconoscibile, infatti, come ben messo in evidenza da Mariella Carlotti e Mariapia Cattolico:

Nel ciclo del lavoro la città di Firenze vanta la ragione del suo successo, che non deriva da una tradizione gloriosa o da una ricchezza legata alla terra, ma scaturisce da quelle attività imprenditoriali cittadine, sorte per l’opera laboriosa dei suoi abitanti. È il lavoro dell’uomo, come partecipazione alla creatività di Dio. (Carlotti, Cattolico, 2001)

L’opera di Giotto in pittura e scultura porta in sé una caratteristica fortemente innova- tiva, quella di una estrema sensibilità verso la trasposizione nelle rappresentazioni del divino degli aspetti umani reali e concreti, dalle posture, agli atteggiamenti, alle ambien- tazioni. Questa sensibilità nel cogliere la realtà umana come parte dell’insieme divino potrebbe trovarsi anche nella sua maggiore architettura, si potrebbe ipotizzare una torre con base dedicata alla celebrazione delle attività umane, con i livelli successivi dedica- ti a mostrare la trasfigurazione progressiva dal terreno al celeste. In parte questa soluzio- ne è effettivamente presente nel campanile di Santa Maria del Fiore, almeno per le parti

Il Campanile di Santa Maria del Fiore e la Pergamena Senese, parallelo e schema delle linee di fuga: dalla base di Giotto al progetto di Francesco Talenti pagina a fronte Il basamento del campanile con i primi due ordini di formelle

eseguite da Giotto e seguite da Andrea Pisano. In questa ipotesi, la terminazione a cuspide ri- sulta quanto mai ben collocata, con un valore simbolico finale di ascensione e passaggio de- finitivo a valori ultraterreni. Non si sarebbe quindi trattato tanto di una emulazione di aspetti ‘todeschi’, ma di una loro reinterpretazione finalizzata al completamento di un quadro com- positivo di ricco valore simbolico. La pergamena senese, quale che sia la sua reale paternità presenta una architettura nella quale possono essere ravvisate delle affinità stilistiche con la produzione pittorica di Giotto, ma di certo in nessuna sua opera sono presenti architetture caratterizzate dal linguaggio gotico più ardito, fatta eccezione per le rappresentazioni di al- cuni tabernacoli ed altre opere più legate ad aspetti scultorei che con architettonici. Quin- di è ragionevole ipotizzare la presenza nel disegno di Giotto — specie se questo non è la

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pergamena di Siena — di una architettura che rilegge determinate soluzioni del gotico, ma li rilegge con la finalità di assolvere a compiti pienamente simbolici.

Questa lettura è quindi in pieno un processo di ‘progettazione inversa’, si rilegge a ritro- so, interpretando il linguaggio dell’autore, cercando la corretta intuizione, che seppur non pienamente confermabile da evidenze documentabili, completa il mosaico degli indizi in maniera coerente e credibile. Soprattutto completa, in maniera utile alla com- prensione del linguaggio del suo autore, una sua opera incompiuta attraverso gli indizi e bilanciando le evidenze con elementi appena percepibili, li coglie e compone in una idea unica basata su quelle che si possono ritenere spunti presenti nella volontà dell’ar- tista-architetto, mantenendolo il più possibile nel quadro di idee e convinzioni della sua epoca, evitando di trasporlo ad una linea di pensiero troppo contemporanea.

L’aspetto ormai abituale, e quindi difficilmente superabile con una astrazione della tor- re della cattedrale è quello ben noto progettato da Talenti: la parte terminale della torre è dovuto ad una scelta spesso indicata come ‘provvisoria’, di certo gli archivi del cantiere e le testimonianze dell’epoca mostrano una intenzione di concludere celermente l’ope- ra del campanile, con provvedimenti che vanno dal prevedere il lavoro a cottimo al divie- to per gli operai dell’Opera del Duomo di accettare e praticare altri lavori al di fuori del cantiere della cattedrale. E se l’indicazione di Giotto, per una copertura cuspidata c’era ed era stata probabilmente tenuta presente da Andrea Pisano, per Francesco Talenti le intenzioni passano ad essere tutt’altre, ma a pochi anni dalla conclusione del campanile, una decisione definitiva sulla copertura della torre non era ancora stata presa, e nelle Ri- cordanze del 1353 del Provveditore Filippo Marsili, Archivio dell’Opera di Santa Maria del Fiore, viene riportato:

Dì XIIIJ d’aghosto 1353 / Di far fare il disegnamento del campanile, e in che modo. / Fallo fa- re di legniame. (Gurrieri, 1994)

Quella attuata, infine, nel 1359 rappresenta una scelta indubbiamente originale, con una soluzione di copertura che prevede la possibilità di veduta panoramica con una pos- sibilità di accesso e di fruizione superiore a qualunque altro campanile, offrendo una funzione non meramente funzionale all’accesso per ispezione agli ultimi piani; se si pen- sa ai campanili esistenti in Firenze al momento del compimento della torre di Santa Maria del Fiore, nessuno di questi permetteva un accesso agevole alla propria copertu- ra, adottando soluzioni accettabili solo in ragione di una ispezione saltuaria. Una con- seguenza inevitabile delle soluzioni cuspidate, ma di fatto evitata per la conclusione dell’opera di Talenti.

Considerare il campanile di Giotto concluso con una terrazza e una semplice copertura a falde celata dal parapetto traforato stabilisce probabilmente la compiutezza del progetto di Francesco Talenti, un progettista per altro fautore del rinnovamento della soluzione plani- metrica dell’intera cattedrale e di altre opere significative nella Firenze del XIV secolo. L’al- tezza complessiva del campanile compiuto nel 1359 è di quasi ottantacinque metri che, se raffrontata con l’indicazione di Giorgio Vasari risulta leggermente più alta dei circa ot- tantatré metri della torre prevista da Giotto. In merito va notato che l’analisi grafica del- la pergamena senese riporta una altezza totale della torre di centosessantotto braccia, oltre novantasette metri, in difformità rispetto all’indicazione del Vasari. Ma il valore dell’opera condotta da Talenti pone una questione forse ancora più complessa, legata in parte alla tra- sformazione culturale del periodo, che contrappone due differenti ordini di scelte, le prime, operate da Giotto, con buona probabilità legate ad un valore simbolico della torre, e le se- conde, operate da Talenti, legate a scelte pratiche e stilistiche che preferiscono alla volontà simbolica la coerenza delle scelte, improntando il campanile in una forma che contiene a pieno la rilettura del gotico in forme originali che assieme al rifiuto di questo linguaggio con- tengono forme alternative ricche e non di ripiego su soluzioni passate.

Di fatto la completezza della torre non viene più messa in discussione per alcuni secoli, fi- no alla riapertura del dibattito sulle caratteristiche originali della torre, avviato, come già ri- cordato, da Aristide Nardini Despotti Mospignotti. Il complesso rinnovamento del centro di Firenze nella seconda metà del XVIII secolo porta con sé una vasta serie di restauri e rinno- vamenti delle architetture storiche, la facciata del Duomo, quella di Santa Croce, il restau- ro di San Miniato al Monte e le demolizioni delle mura e del ghetto ebraico costituiscono

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