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Caso studio valle Varaita

Il progetto pilota relativo alla valle Varaita ha inteso sostenere la fattibilità di un sistema locale integrato basato sullo sfruttamento delle risorse forestali. Tra i progetti attivi sul territorio il più avanzato è quello della “Azienda Naturale Comunale” istituita dal Comune di Sampeyre e dalla fondazione Cerigefas (Università degli Studi di Torino).

Tutte le risorse comunali di Sampeyre saranno gestite dall’“Azienda Naturale Comunale” (formalmente, una società agricola cooperativa). Il Comune di Sampeyre e gli altri Comuni aderenti (finora si è aggiunto solo il Comune di Frassino) affidano all’Azienda lo sfruttamento delle loro foreste e delle loro acque. In riferimento all’obiettivo generale del riportare attività produttive in montagna, questa Azienda rappresenta un esempio concreto di come sia essenziale l’organizzazione e la condivisione degli obiettivi per raccogliere l’adesione di molti e gestire proprietà altrimenti non utilizzate.

La produzione idroelettrica costituirà il motore economico dell’operazione, in assenza di investimenti esogeni. Per quanto riguarda la gestione forestale, il Cerigefas stima che nell’area forestale GESTALPI potrebbero essere prodotti annualmente, oltre agli assortimenti piú pregiati da destinare a carpenteria e falegnameria, 2.500 q di cippato, dai quali un piccolo impianto di cogenerazione da costruirsi a Sampeyre potrebbe generare circa 1.000.000 di kWh termici, con cui si potrebbero riscaldare circa 3.700 mq di edifici pubblici e privati. Ovviamente, se gli edifici fossero ben isolati, la stessa quantità di calore sarebbe sufficiente a riscaldare una maggiore superficie.

Per esempio se in media gli edifici consumassero 70 kWh/ mqsi potrebbero riscaldare 10.000 mq, e ben 46.400 mq con un fabbisogno di 15 kWh/mq. (Il totale della superficie delle abitazioni occupate da residenti a Sampeyre è 39.900 mq, secondo i dati del censimento ISTAT del 2001; se alla produzione aggiuntiva del Cerigefas si somma la legna da ardere che già oggi le famiglie ricavano dai boschi, si giungerebbe a una disponibilità totale di 8.000 q/anno.

L’energia ricavabile consentirebbe di riscaldare tutta Sampeyre se il consumo medio degli edifici fosse intorno ai 33 kWh/mq annui. A partire da queste considerazioni si è pertanto scelto di muovere l’analisi sul risparmio energetico negli edifici esistenti.

Il Comune di Sampeyre ha manifestato il proprio interesse per lo studio di un edificio pubblico nella piazza principale del paese. Fu costruito nel 1963 e non ha particolare pregio architettonico. È alto tre piani e ha una superficie totale di 494 mq. In origine ospitava la scuola elementare; successivamente divenne la sede della Comunità Montana; ora è in gran parte inutilizzato: il Comune vorrebbe comprarlo e trasferirvi i propri uffici.

L’indagine preliminare dell’edificio ha riguardato il rilievo architettonico, le attività da collocare, gli aspetti costruttivi e l’accessibilità. Dati il contesto e le caratteristiche dell’edificio, si sono valutate possibilità di ampliamento a est, ovest e nord (il fronte sud si affaccia verso la piazza). Sono state in seguito sviluppate alcune ipotesi distributive e di accesso all’edificio.

Dal punto di vista energetico, allo stato attuale, il fabbisogno termico per il riscaldamento risulta pari a 298 kWh/mq*a, che è un valore maggiore delle già molto alte medie piemontese e alpina. Esso risulta inoltre più

di 3 volte il valore limite di prestazione energetica per la [Fig. 28 - ex scuola di Sampeyre - schema delle destinazioni d’uso originarie del piano terra – DICAS] [Fig. 25 - ex scuola di Sampeyre – rilievo stato di fatto – prospetto

fronte sud – DICAS] [Fig. 26 - ex scuola di Sampeyre – rilievo stato di fatto – sezione trasversale – DICAS]

[Fig. 27 - ex scuola di Sampeyre – rilievo stato di fatto – pianta piano terra – DICAS]

[Fig. 24 - Sampeyre - sulla sinistra foto storiche di piazza della Vittoria (fonte archivio storico di Sampeyre), sulla destra foto dell’ex scuola, vista da fronte piazza (sud-est) e da monte (nord-ovest)]

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climatizzazione invernale espresso dal D.Lgs. 311/2006 al 1° gennaio 2010, che è di 80 kWh/mq annui20.

Si è assunto il criterio di mantenere quanto piú possibile l’esistente per contenere l’intervento e renderlo realizzabile. È stato ipotizzato di isolare le pareti perimetrali dell’edificio e l’estradosso dell’ultimo solaio (cappotto esterno), e di raddoppiare i serramenti posizionandone altri con migliori prestazioni (vetro camera) all’esterno di quelli esistenti. Sono state effettuate simulazioni di calcolo per strati di lana di roccia di spessore 10 e 20 cm. A titolo puramente orientativo, il fabbisogno annuo per riscaldamento si ridurrebbe a 91 kWh/mq*a con 10 cm di isolante e a 56 kWh/mq*a con 20 cm.

L’intervento comporterebbe la trasformazione della facciata: l’isolante andrebbe protetto, all’esterno, con un rivestimento, che potrebbe conferire all’edificio un aspetto piú coerente con il contesto.

Il progetto dovrebbe essere definito specificando prodotti durevoli, il piú possibile realizzati in valle con materiali del luogo anche al fine di mostrare le qualità di quelli la cui produzione è oggi cessata del tutto o quasi.

Si è anche ipotizzato di addossare un volume vetrato sul lato sud, per sfruttare gli apporti solari, o addirittura di inglobare l’edificio all’interno di una serra, per creare uno spazio cuscinetto tra l’interno e l’esterno.

Senza posa in opera di strati isolanti sulla parete dell’edificio esistente, la serra porterebbe a diminuire il fabbisogno termico a 176 kWh/mq annui. Aggiungendo anche uno strato di lana di roccia spesso 10 cm si potrebbero raggiungere i 27 kWh/mq annui.

Per ciò che concerne la produzione di energia, il manto di copertura potrebbe essere sostituito con collettori solari termici e/o pannelli fotovoltaici (falda a sud). La superficie disponibile (145 mq) potrebbe produrre 75.300 kWh termici, oppure 23.400 kWh elettrici.

20 Le stime sono state condotte con software di calcolo: DOCET (ITC-CNR, ENEA), PAN (ANIT), SOLVER (ANIT). Per indicazioni meno frettolose si veda la pubblicazione specifica sul caso di studio della valle Varaita..

Ulteriori attività hanno compreso l’identificazione di usi appropriati del legname prodotto localmente.

L’attenzione è stata quindi rivolta all’impiego del massello in carpenteria e falegnameria. In assenza di dati quantitativi sugli attuali consumi annuali di legname da parte delle aziende della valle Varaita per compararli con le provvigioni locali prevedibili, si è scelto di svolgere una ricerca di tipo qualitativo per evidenziare le implicazioni ambientali di modi differenti di produrre mobili “tipici”. Le conoscenze ed esperienze tecniche derivate dalla tradizione riguardo alle specie legnose e al loro

impiego vengono oggi schiacciate dalla produzione più industrializzata e dagli effetti che essa induce sui consumatori: dalla propensione per prodotti esito di certi processi sino a quella per certi tipi di finiture.

Spesso ci si accontenta dell’aspetto “rustico” di un mobile per ritenerlo coerente con l’ambiente montano, senza considerare la provenienza del legname utilizzato e nemmeno se ciò che lo compone sia davvero legno. I semilavorati derivati dal legno, di stampo industriale, in genere contengono sostanze tossiche, nocive sulla salute a causa delle esalazioni dei composti organici volatili

[Fig. 29 - ex scuola di Sampeyre - schemi esemplificativi delle possibilità di sfruttamento e di ampliamento totali – DICAS]

[Fig. 30 - ex scuola di Sampeyre - disegno tecnico della possibile soluzione di isolamento e raddoppio del serramento – DICAS]

[Fig. 31 - ex scuola di Sampeyre- schemi e stratigrafie esemplificative

delle possibilità di isolamento – DICAS] [Fig. 32 - sistemi di involucro con struttura in legno e pannelli isolanti in fibra di legno - fiera Green Building – Verona, maggio 2010 - foto Andrea Bocco]

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contenuti in colle, vernici, impregnanti.

In un orizzonte medio-lungo, si ritiene che la promozione di mobili fatti di solo legno, di origine e lavorazione locale, potrebbe essere facilmente comunicata e piuttosto forte sul mercato, anche se oggi ben pochi falegnami sarebbero in grado di produrne in maniera coerente.

È stata svolta un’analisi comparativa sull’impatto ambientale di due mobili tradizionali (una sedia e un armadio) con quello di simili mobili di produzione corrente, apparentemente fatti anch’essi di legno. La sedia è datata 1923; date le proporzioni, si pensa che potrebbe avere oggi un doppio uso (capotavola e per bambini). È costituita da 18 pezzi, tutti di larice, incastrati a tenone e mortasa, e fissati con 22 caviglie lignee e un po’ di colla; solo le assi del sedile sono inchiodate con 18 chiodi. Il

legname utilizzato segato con macchinari idromeccanici ed essiccato all’aperto. L’armadio, a due ante, è anch’esso interamente realizzato in legno di larice. All’interno si trovano quattro ripiani.

Le lavorazioni sono realizzate con grande precisione impiegando solo attrezzi manuali; in particolare la rasatura è tale da rendere i giunti quasi impercettibili al tatto. Solo i cardini e la serratura sono metallici, mentre i giunti sono a incastro, di forma anche relativamente elaborata. Il legno è protetto con cera lacca data a poro chiuso.

Riproduzioni odierne utilizzerebbero, tipicamente, legname massello importato, talvolta essiccato in autoclave, per le porzioni strutturali, e pannelli derivati dal legno (quali listellare impiallacciato, multistrato, truciolato

impiallacciato, MDF) per i tamponamenti (sedile della [Figg. 38-41 - sedia e armadio tradizionali, foto tratte da: Dematteis P. et al., I mobili tradizionali della Valle Varaita, Saluzzo, Fusta editore, 2006 – rilievi DICAS]

sedia; ante, fianchi, schiena, fondo, cappello, ripiani dell’armadio).

Questi semilavorati contengono colle per il 7-12% del peso. L’intero mobile può poi essere verniciato, con sostanze anch’esse spesso dannose. A titolo esemplificativo e in primissima approssimazione, si è calcolata l’energia grigia contenuta nei due mobili, prodotti secondo un metodo simile a quello tradizionale (l’unica differenza apprezzabile è l’impiego di seghe elettriche per la preparazione dei semilavorati, anziché idromeccaniche) e secondo le modalità oggi correnti, con l’impiego di semilavorati industriali (si veda la tabella 10, compilata sulla base dei dati di calcolo definiti in Hegger et al., 2005).

Per entrambi i prodotti l’energia grigia è molto piú grande nel secondo caso: per la sedia 24 volte maggiore, per l’armadio oltre 70 volte. Senza contare la riciclabilità e la tossicità dei materiali impiegati (i pannelli derivati dal legno debbono essere smaltiti come rifiuti speciali).

Tabella 10 - energia grigia produzione mobili

prodotto legno massel-lo (cm3) deri-vati dal legno (cmc) energia grigia legno (MJ) energia grigia altri mat. (MJ) energia grigia tot. (MJ) sedia tradizionale 11.420 0 1,94 0,88 2,82 sedia attuale 9.139 2.281 20,14 48,77 68,91 armadio tradizionale 229.100 0 38,95 2,10 41,05 armadio attuale 129.316 99.784 285,01 2634,96 2919,97 [Figg. 33-35 - ex scuola di Sampeyre - ipotesi di prospetto fronte

piazza (sud): 33) sala polivalente porticata; basamento in legno; 34) basamento in pietra; ampliamenti in legno; 35) basamento in pietra; ampliamenti e corpo dell’edificio in legno - DICAS]

[Figg. 36-37 - ex scuola di Sampeyre - disegni prospettici da sud-ovest - ipotesi di progetto - 36) portico a sud su fronte piazza con basamento piano terra in lastre di pietra e corpo dell’edificio originario in legno; 37) basamento e ampliamenti in legno, corpo originario intonacato - DICAS]

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Testo a cura del DICAS – Politecnico di Torino. Premessa di Andrea Bocco.

Linee guida per la riqualificazione energetica degli insediamenti montani di Andrea Bocco e Francesco Stassi.

Linee guida per il recupero e la rivitalizzazione dei villaggi montani di Gianfranco Cavaglià, Andrea Bocco e Nadia Bat-taglio.

Postfazione di Gianfranco Cavaglià

Premessa

Le linee guida sono state pensate in ottica locale, cioè centrando l’idea di sviluppo sullo sfruttamento delle risorse endogene e sulla soddisfazione dei bisogni endogeni, visti come pre-condizioni per la realizzazione di un sistema locale saldo, capace di “competere” e di “attrarre”.

Altrettanto fondamentale matrice di modelli alternativi di sviluppo sostenibile, come ha dimostrato Alberto Magnaghi, è l’individuazione dell’identità territoriale di lunga durata, e la capacità endogena di ri-pensarsi, valorizzando le risorse locali. Il perseguimento di un assetto sostenibile non deve essere demandato a “macchine tecnologiche” o a “economie eterodirette”: deve derivare da un’assunzione consapevole di autogoverno e di responsabilità (Magnaghi, 2000, pp. 62-76).

Nel capitolo precedente si è cercato di individuare le risorse, materiali e anche immateriali, di cui i due territori dispongono. Le peculiarità di ciascun sistema locale non possono che essere la base su cui fondare un modello di sviluppo locale durevole.

Da questo punto di vista, i sistemi vallivi sono avvantaggiati, nonostante l’emorragia di popolazione e di iniziative imprenditoriali, poiché, “per la loro marginalità nel ciclo precedente [cioè quello urbano-industriale], non sono stati distrutti, come nella pianura metropolitana, i paesaggi, le strutture di lunga durata, i sistemi ambientali” (Magnaghi, 2000, p. 206), nonché le risorse materiali stesse.

La montagna appare pertanto come una riserva di sostenibilità, da preservare per il beneficio comune (Bätzing, 2002). I villaggi montani non vanno piú visti come sede di attività economiche residuali o di evasione dal “logorio della vita moderna”, ma come luoghi che possono offrire opportunità per un nuovo stile di vita, con occasioni di lavoro integrate nel sistema socioeconomico locale e attività nell’ambiente naturale circostante, avendo un’impronta ecologica piú leggera e godendo di una migliore qualità della vita rispetto a quella offerta dal modello urbano-industriale: a patto di acquisire comportamenti diversi, ripensati in coerenza con il contesto e con obiettivi

piú generali di sostenibilità.

La crisi attuale mette in evidenza, tra l’altro, come gli edifici siano inadeguati quanto a consumi energetici. Si rendono pertanto necessari interventi di miglioramento dell’ambiente costruito esistente, con conseguente possibilità di modificarne la caratterizzazione paesaggistica. In tale trasformazione, occorreranno progetti pilota che facciano un uso consapevole delle risorse locali disponibili, anche per mostrare le opportunità che esse offrono, rispetto alle quali spesso non c’è coscienza. La partecipazione, a tutti i livelli, è essenziale per definire simili obiettivi verso cui deve tendere la collettività, per individuare le modalità per raggiungerli e mantenerli nel tempo, e per assumere responsabilmente impegni in tale direzione.

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Linee guida per la riqualificazione energetica