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Il caso del Wisconsin: una lezione anche per le relazioni sindacali italiane?

Nel documento ANNUARIO DEL LAVORO 2012 (pagine 83-86)

di Umberto Buratti

Si è conclusa in questi giorni la lunga e per certi versi epica vicenda iniziata nel febbraio dello scorso anno che ha coinvolto il piccolo Stato del Wisconsin. All’epoca, il Neogovernatore Walker, repubblicano ed esponente di spicco del movimento del Tea Party, per far fronte al deficit statale pari a circa 3,6 miliardi di dollari, decise di dare una svolta netta alla gestione dei conti pubblici. La prima mossa fu una stretta sul lavoro pubblico mediante la proposta di una legge che riscrivesse i requisiti sindacali ed aumentasse il prelievo fiscale a carico dei dipendenti statali.

Più nello specifico la legge prevedeva: una riduzione dello spazio contrattuale da circoscrivere unicamente alla questione salariale, la fine del prelievo automatico della quota annua d’iscrizione al sindacato, il voto annuale mediante scrutinio segreto per confermare da parte di ogni categoria di dipendenti pubblici la volontà di essere rappresentati dal proprio sindacato, il passaggio ad un contributo del 5,8% e del 12% per finanziare la pensione e l’assicurazione sanitaria a carico del dipendente pubblico. Da parte sua, il Governatore sosteneva che era ora di porre fine al dualismo tra lavoratori pubblici e privati: i primi ancora abbondantemente tutelati sulle spalle della collettività, i secondi, invece, da tempo costretti a confrontarsi con un mercato del lavoro diventato più complesso ed una crisi economica che ha lentamente ridisegnato quelle

* Scuola internazionale di Dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro ADAPT-CQIA, Università degli Studi di Bergamo.

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che nel passato erano delle certezze consolidate. La reazione del sindacato non si fece attendere: una paralisi quasi totale delle attività amministrative, l’occupazione della sede del Governo, una seria di manifestazioni animate come gli Stati Uniti non conoscevano da tempo.

Nella sua opposizione il sindacato cercò e trovò l’appoggio di gran parte dell’intellighenzia progressista americana, con tanto di presenza del regista Michel Moore - noto per i suoi docu-film fortemente critici sulla libera vendita di armi negli U.S.A., l’11 settembre e il capitalismo finanziario di Wall Street – che davanti alla sede governativa inneggiava al risveglio del senso democratico dei cittadini americani e paragonava l’esperienza del Wisconsin a quella della primavera araba del Nord Africa. La questione ben presto uscì dai piccoli confini locali e investì tutto il Paese, sia perché altri governatori repubblicani promettevano di seguire l’esempio di Walker, sia perché il Presidente Obama decise di intervenire direttamente dichiarando che si era di fronte: «ad un attacco ai diritti sindacali». La vicenda si concluse con la promulgazione della legge grazie ad una serie di stratagemmi sui regolamenti parlamentari e nonostante una sorta di “Aventino” dei deputati democratici, rifugiatisi negli Stati vicini per far mancare il numero legale. Tuttavia il sindacato, nella convinzione di essere di fronte ad una minaccia fatale per i lavoratori pubblici e per se stesso, non si diede per vinto. Con il sostegno di gran parte del Partito Democratico locale e federale cominciò una lunga battaglia per destituire il Governatore in carica, giocando la carta della recall election: un richiamo degli elettori alle urne, consentito dall’ordinamento statunitense. Ottenute le firme necessarie per dar vita a questa procedura che nella storia degli U.S.A. ha solo due precedenti, il sindacato ha cercato nuovamente il sostegno dei Democratici, ma ha visto una risposta assai fredda da parte di Barack Obama, più interessato alle presidenziali che all’attacco ai diritti sindacali, e provando la carta del fascino del ritorno sulla scena del grande ex: Bill Clinton. Il risultato di questa lunga battaglia durata più di un anno? Il 6 giugno il Governatore Walker è stato rivotato con il 54% dei consensi dei suoi concittadini. Per quanto lontana per storia, tradizione e cultura, la vicenda statunitense sembra poter insegnare qualcosa di utile anche per le relazioni industriali e sindacali italiane. Si tratta soprattutto di indicazioni di metodo. Il caso del Wisconsin dimostra, infatti, che se la politica può anche permettersi di prendere decisioni giocando e sfruttando magari antichi pregiudizi o strizzando l’occhio a forme di

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populismo più o meno latente, il sindacato, al contrario, non può concedersi questo lusso e quando lo fa rischia di uscirne sconfitto. La logica del consenso politico è diversa da quella delle relazioni industriali.

Le due non si possono e non si devono confondere. Il cercare la sponda e il sostegno politico da parte del sindacato rivela, in qualche modo, la sua intrinseca debolezza e la sua poca capacità di stare di fronte ad una questione di natura tecnica-lavorativa. Al contrario, la sua autonomia e la sua capacità di rispondere nel merito e non di trasformare in caso politico quello che è un problema di “lavoro” costituiscono la base per la sua autorevolezza tra i lavoratori. Dalla vicenda statunitense esce sconfitta anche un altro leitmotiv che spesso caratterizza le relazioni industriali italiane, ovvero l’idea che ogni cambiamento è da intendersi come l’attacco finale e decisivo ai diritti dei lavoratori. La visione apocalittica dei rapporti sindacali non solo non paga, ma alla fine si rivela falsa. La rapida evoluzione del mercato del lavoro, le sue sfide incessanti e incalzanti non richiedono profeti di sventure o sacerdoti di liturgie passate, bensì dimostrano l’esigenza di una classe dirigente preparata e con uno sguardo aperto e prospettico, non particolare e limitato. L’ultimo insegnamento che può derivare dal caso statunitense riguarda l’idea – tipicamente italiana – che l’uomo “di una stagione” possa essere l’uomo

“per ogni stagione”. Tuttavia non è con il fascino del “grande ex” che si vincono le sfide del presente. Guardare l’oggi con lo sguardo di ieri, infatti, è il primo passo verso la miopia. Al contrario, l’esperienza di chi ha guidato grandi realtà deve essere messa a servizio per far crescere nuove leve. Dal piccolo Stato del Mid-West giungono, quindi, tre indicazioni per le nostre relazioni sindacali: autonomia, preparazione, rinnovamento. Solo chi saprà vincer queste sfide possiederà dall’interno quell’autorevolezza necessaria per gestire il cambiamento del mondo del lavoro.

Nel documento ANNUARIO DEL LAVORO 2012 (pagine 83-86)

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