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PARTEI

LA CATALOGNA

STORIA E IDENTITÀ

LINGUISTICO-CULTURALE

 

P

ATRIZIO

R

IGOBON

Lingua e tradizione letteraria:

la valenza politica della singolarità catalana

Come emerge da diversi saggi di questo volume, l’elemento culturale caratterizza e connota la rivendicazione nazionale catala-na in modo sostanziale. La dimensione politica più immediatamen-te percepibile, cui non sfuggono evidenimmediatamen-temenimmediatamen-te altri fattori costitu-tivi, è proprio rappresentata dalla lingua1 e, in modo strettamente connesso, dalla tradizione letteraria2 che a questa lingua fa riferi-mento. Il concetto stesso di “storia della letteratura catalana” co-mincia ad essere elaborato a partire dalla seconda metà del sec. XIX, anche da storici non catalani, sull’onda espansiva delle idee romantiche3. La rilevanza in ambito politico del processo di stori-cizzazione, pur talora esplicitamente negata da alcuni storiografi, appare sin da subito evidente. Confermata per l’appunto dalle smentite cui abbiamo testé alluso. Smentite che addirittura aprono un noto volume di Francisco Maria Tubino sulla Renaixença, il movimento di rinascita culturale e letteraria catalana del XIX sec., pubblicato nel 1880:

El libro que ofrecemos al publico no responde á ningún fin con-creto del orden político, ni lo ha engendrado interés alguno de  

1 Per un inquadramento generale del caso catalano nel contesto spagnolo ed europeo si veda, tra gli altri: S.BARBOUR -C.CARMICHAEL (a cura di), Language

and Nationalism in Europe, Oxford, 2002.

2 Per l’interazione Franchismo-censura-letteratura in catalano, si veda: J. CORNELLÀ-DETRELL, Literature as a Response to Cultural and Political Repression

in Franco’s Catalonia, London, 2011.

3 Cfr. C.ROMERO MUÑOZ, Breve historia de las historias de la literatura

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escuela filosófica, es sencillamente, una producción en que en-tran, por mitad, nuestras aficiones intelectuales y nuestro patrio-tismo4.

Un’operazione del genere, come esplicitamente scritto, poteva risultare ambigua nei propositi e quindi l’autore precisa subito che è mosso dal suo patriottismo (spagnolo), il quale consiste «á enal-tecer los timbres de los escritores regionales que acuden con sus obras á dilatar los beneficios de las luces, por los dominios de nuestra querida España»5. Anche nella più recente impresa edito-riale di storia della letteratura catalana6, Lola Badia, responsabile della parte medievale, sottolinea come «[e]l paper de la literatura en la construcció de la identitat catalana és un discurs polític que comença amb la Renaixença i que encara ara és vàlid», il che non significa che tutto il progetto editoriale possa essere interpretato politicamente:

la nostra Història de la literatura pot acabar sent un al·legat a fa-vor de l’independentisme que faci molt contents els uns i produ-eixi horror en els altres. Però aquesta funció instrumental no té  

4 F.M.TUBINO, Historia del renacimiento literario contemporáneo en

Catalu-ña, Baleares y Valencia, Madrid, 1880, Imprenta y Fundición de M. Tello [il

vo-lume fu pubblicato a spese dell’autore], p. 5 (n.n.).

5 Ivi, p. 13. Così la recensione di J. DE DIOS DE LA RADA Y DELGADO, Historia

del renacimiento literario contemporáneo de [sic] Cataluña, Baleares y Valencia por D. Francisco María Tubino, in Boletín de la Real Academia de la Historia, tomo 2,

1883, p. 25: “El Sr. Tubino se ha fijado en una de las manifestaciones de esa lite-ratura, en el renacimiento de que son teatro las provincias de la región oriental de España, con sus islas adyacentes; y, comprendiendo el carácter y los alcances del problema, lo plantea y resuelve, en cuanto es dado juzgar por lo publicado, con seguridad y acierto, con critica desapasionada y con verdadero amor de patria, no perdiendo de vista lo que se debe a la unidad que felizmente alcanza nuestro país».

6 À.BROCH (a cura di), Història de la literatura catalana, Barcelona, Enciclo-pèdia catalana, 2013.

Lingua e tradizione letteraria: la valenza politica della singolarità catalana 27 res a veure amb la voluntat de precisió i de rigor amb què treba-llem els redactors7.

Una lettura politica, indipendentemente dall’acribia e dalla precisione accademica del lavoro, è chiaramente sempre possibile, soprattutto in specifiche circostanze storico-politiche, come quelle del 2017 e dei primi mesi del 2018. Il che, per una storia letteraria come quella catalana, la cui vita è trascorsa spesso sub condicione, rappresenta a tutt’oggi la normalità. “Normalità di un’anomalia”, dovremmo più esattamente dire. Diversamente, il mestiere di scrit-tore, più che altrove precario per la lingua catalana, non sarebbe stato oggetto di continue richieste di giustificazioni o di motivazio-ni da parte di molti intellettuali della lingua castigliana, nella sua stessa essenza (la lingua scelta dallo scrittore) poiché ciò che nel mondo è normale per qualunque autore (scrivere nella propria lin-gua o in quella che preferisce) non sempre tale appare (spesso an-cora oggi) in Spagna, e talvolta anche fuori dalla Spagna, per chi quella realtà non conosce. Di tale continua richiesta di passare allo spagnolo o, per lo meno, di spiegare il perché di una scelta (quella di mantenere “testardamente” il catalano come lingua letteraria) considerata un impedimento alla comprensione universale, quando non oggettivamente una scommessa perdente, disponiamo di co-spicua documentazione storica. Abbiamo scelto qualche momento di questa polemica, appartenente a periodi diversi, al fine di dimo-strare che non si tratta di fatti episodici o isolati, ma di una contro-versia di lunga durata, tuttora irrisolta, che rimanda a un dato for-temente radicato nella società che l’ha espresso.

Uno dei grandi scrittori e critici spagnoli dell’Ottocento, Leo-poldo Alas “Clarín”, intervenendo nel 1896 su un quotidiano di Barcellona (questo va sottolineato!) a proposito della questione della lingua catalana e della sua letteratura, scrisse:

 

7 Cfr. www.ub.edu/web/ub/ca/menu_eines/noticies/2013/entrevistes/lola _badia.html, intervista del 10 giugno 2013. Sito consultato il 20 marzo 2017.

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Recibo con gusto y agradecimiento, libros y más libros de muy distinguidos escritores catalanes... que escriben en catalán; [...]. Ya en otra revista indiqué las razones que tengo para no tratar la literatura catalana; pero hoy quiero insistir, hablando más dete-nidamente del asunto.

No sé catalán. No lo entiendo, mejor, no lo siento. Sé que es una lengua que apasiona á los que la cultivan [...] porque me lo ha di-cho Oller, el célebre autor de La Papallona [...]. Cuando yo, tal vez indiscreto por egoísta, rogaba una y otra vez á Oller que es-cribiera novelas en castellano, me contestaba que era imposible. [...] Oller [...] sería el mismo en castellano que en catalán; pero él no lo creía así. Estoy seguro de que si me dirigiese á Verdaguer, á Maragall, á Guimerá, las contestaciones serían análogas.

[El catalán] dialecto lo es en cierto sentido [...]. Una cosa es que el catalán merezca vivir como algo sustantivo y separado, gracias sobretodo al cultivo literario [...] y otra cosa es que necesaria-mente [...], la filología actual tenga que considerarlo como una variedad colocada entre otras más poderosas y acentuadas [...]. Hoy el español (ò castellano) y el francés (el de la Isla de Francia) y el italiano (el toscano), de dialectos que fueron se convirtieron en lenguas bien distintas, centros de atracción á que es difícil re-sistir. El catalán no puede aspirar á esto, ni aspira [...]8.

Non entriamo nel merito delle singole affermazioni, qui succin-tamente esposte, che risentono certo del tempo in cui furono re-datte, ma anche, il che è peggio, della soggettiva disapprovazione nei confronti del catalano, che la Renaixença aveva contribuito a riportare letterariamente in auge e che era rimasto, nonostante tut-te le vicissitudini, lo strumento comunicativo abituale in Catalo-gna. Quel che più interessa è la reazione, motivatamente risentita, di Enric Prat de la Riba, allora ventiseienne intellettuale e politico catalano, nonché futuro primo presidente (nel 1914) della Manco-munitat de Catalunya, primo organo di autogoverno catalano auto-  

Lingua e tradizione letteraria: la valenza politica della singolarità catalana 29 rizzato da Madrid. Il giovane Prat de la Riba così replicò ad alcune delle affermazioni di “Clarín”:

Clarín crític és sempre d’un valor indiscutible, el que és el Clarín filosòfic i polític [...] francament no resulta. [...] Hi ha moltes maneres diferents de dir una mateixa cosa, i en Clarín amb el seu to i a la seva manera no ha sabut estar-se de cridar-nos: “Hablad en cristiano”, el crit brutal amb què fa segles la supèrbia del po-ble dominant humilia les nacionalitats vençudes. [...] Em sembla que amb això del dialecte li ha passat el que succeí a un company nostre, entusiasta de tot l’alemany i gal·lofob exaltat. Llegí un dia que el francès era el dialecte de Paris i la regió anomenada Illa de França, i ja no en volgué saber d’altra; en les seves filípiques con-tra la cultura francesa ja mai va descuidar-se de fer-hi encon-trar que el francès era un dialecte i que ho confessava un lingüista tan eminent com en Littré.9

Sia il pezzo di “Clarín” che la risposta di Prat de la Riba (po-lemica che continuerà con toni piuttosto accalorati in altri due ar-ticoli) sono molto più estesi e toccano molteplici argomenti (e talo-ra qualche stereotipo). Ciò che preme sottolineare è, per quanto riguarda le argomentazioni usate dall’autore de La regenta, come gli sfugga il significato connotativo di potere oggi attribuito alla lingua, in particolare nella relazione di questa con altri sistemi o sub-sistemi. Scarsa appare oggi la rilevanza linguistica della distin-zione tra lingua e dialetto, ma essa assume un altro significato se collocata in determinati contesti. In quello sociale e politico, per esempio. Risulta chiaro allora che l’atteggiamento di Leopoldo Alas, sia pure inconsapevolmente (o forse non tanto) è frutto di un convincimento che, nella promozione da dialetto a lingua, vede la volontà di affermarsi di un potere che non è disposto a riconosce-re. Le lingue “poderosas” sono altre (alcune vengono nominate: il  

9 In E.PRAT DE LA RIBA, Obra completa 1887-1898, a cura di A. Balcells – J. M. Ainaud de Lasarte, vol. 1, Barcelona, 1998, pp. 320-322.

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francese, lo spagnolo, l’italiano) e il catalano non può aspirare a questo rango, ma deve accontentarsi di una specie di limbo indefi-nito tra lingua e dialetto, in forza della sua letteratura, ma non del-la “selezione darwiniana” che invece l’ha relegato ad una funzione subalterna o alla scomparsa. Uso questi termini perché sono quelli impiegati, anche se non esposti chiaramente, da “Clarín” nello scritto in questione («Con razón se ha observado que la teoría de Darwin es aplicable, en algún sentido, á estas cosas, y que [...] en las lenguas desaparecen, se deshacen las formas de transición me-nos vigorosas [...] y quedan las que señalan mejor las diferen-cias»)10. Dicevo dei toni più aspri nella successiva puntata in cui “Clarín” sale in cattedra e parlando ex auctoritate, a proposito di lingua e dialetto, conclude: «el italiano-toscano y el español-castellano son lenguas que han empezado por dialectos, pero han prevalecido por causas políticas sobre los demás dialectos provin-ciales. El catalán está entre los dialectos que no han prevalecido». Osservazione solo in minima parte corretta, che tuttavia non fa trarre a “Clarín” la logica conclusione e cioè che la distinzione ha un senso prevalentemente politico e non linguistico11; e, in tale senso, pone i termini del problema che, mutatis mutandis, trovia-mo ancor oggi in parte irrisolto. Non certo sulla vicenda lingua-dialetto, ma sulla questione lingua-potere. A questo proposito, os-serva Roberto Mulinacci, «se l’imperialismo linguistico teorizzato all’inizio dell’era moderna dal grammatico spagnolo Antonio de Nebrija (“la lengua es compañera del imperio”)12 prescinde ormai dal minaccioso sostegno delle armi, ciò non significa che la sua vo-lontà di potenza e il suo istinto glottofagico siano meno determina-  

10 La Publicidad cit.

11 Cfr. M.ALINEI, Lingua e dialetti. Struttura, storia e geografia, Bologna, 1984, pp. 178, 193, 195.

12 Osserva Franco Brevini: «in Italia la lingua non fu mai “compañera de l’imperio” [sic]. Fino a pochi decenni fa anche gli scrittori hanno parlato in una lingua diversa da quella che usavano nei loro libri» (L’altra letteratura, F. Brevini [a cura di], La poesia in dialetto. Storia e testi dalle origini al Novecento, Milano, 1999, t. I, p. XXIX.

Lingua e tradizione letteraria: la valenza politica della singolarità catalana 31 ti ed efficaci di un tempo»13. Il che appare chiaro nella polemica testé citata, in un periodo in cui comunque le armi venivano anco-ra abbondantemente impiegate. Sulla centanco-ralità della lingua nell’ideazione nazionale catalana non ci sono dubbi per Prat de la Riba; tuttavia, in testi successivi e frutto di più ricche e meditate letture, Prat sosterrà che la lingua non è la nazionalità, anche se ne rappresenta un elemento centrale. A tal fine si appella alla teoria dell’uomo invisibile di Hippolyte Taine: l’arte, il diritto, la lingua, l’espressione politica ed economica ecc. non sono che dati esteriori che contribuiscono a definire l’uomo interiore o invisibile. Secon-do Prat, ciò che sottende il tutto, l’uomo invisibile, è il popolo: «un principi espiritual, una unitat fonamental dels esprits, una mena d’ambient moral, que s’apodera dels homes i els penetra i els em-motlla i treballa des de que neixen fins que moren»14.

 

13 R.MULINACCI, La geopolitica delle lingue in poche parole, in Quaderni

spe-ciali di Limes. Lingua è potere, n. 3, 2010, p. 10.

14 E.PRAT DE LA RIBA, La nacionalitat catalana. Compendi de la doctrina

cata-lanista. En col·laboració amb Pere Mutañola, a cura di J. Casassas,Barcelona, 1993, p. 53. Anche per Renan (nonché per Fustel de Coulanges, contro Mommsen in questo caso) la lingua non è la nazione (infatti la volontà prevale anche su questo elemento culturale). Cfr. E.RENAN, Che cos’è una nazione? [1882], Roma, 1998, p. 12. Del resto, l’elemento linguistico non è dirimente in moltissimi casi. Si veda nel Regno Unito la diversità del ruolo della lingua nelle rivendicazioni del Galles e della Scozia. La lingua è centrale nel caso gallese, mentre in quello scozzese è ac-cessoria, assumendo rilevanza l’aspetto dello sviluppo economico a detrimento dei vettori culturali: ciò non significa ovviamente che questi siano del tutto assen-ti, ma prevale l’azione politica pragmatica tesa in particolare al recupero, nel caso scozzese, delle proprie risorse naturali (cfr. A.MEUCCI -M.DIANI, Nazioni senza

Stato. I movimenti etnico-nazionali in Occidente, Milano, 1992, pp. 74 e 114; e R.

MITCHINSON, The Roots of Nationalism: Studies in Northern Europe, Edinburgh, 1980, pp. 160-161). A proposito della questione della compresenza di due o più lingue “nazionali” in determinati territori, bilinguismo o multilinguismo non so-no, secondo alcuni studiosi, affatto incompatibili con l’esistenza di una sola co-munità culturale, leggi “nazione” (Cfr. G.JÁUREGUI, Los nacionalismos

minorita-rios y la Unión Europea. ¿Utopía o ucronía?, Barcelona, 1997, p. 44). Idea, questa,

che vanta numerosi detrattori, tra i quali Guy Bouthillier che, riprendendo Robert Dole, non ha dubbi: «Wherever two languages are in contact, there is a conflict» (cfr. La bataille pour le français continue et un seul Québec souverain nous

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Il già citato Narcís Oller è ancora il protagonista del secondo scambio epistolare che abbiamo scelto per esemplificare quanto la letteratura in catalano abbia costituito un elemento eterodosso po-co po-comprensibile nell’ottica prevalentemente “spagnolo-centrica” di molti importanti autori di questa lingua. Si tratta dello scambio di lettere con Benito Pérez Galdós. Va detto che il rapporto del grande romanziere delle Canarie con la Catalogna e la cultura cata-lana è molto articolato e non è costituito solo dai fatti che qui ri-corderemo. È tuttavia significativo che, nonostante le missive siano assai note, quest’aspetto, invero assai problematico15, che attesta un radicamento di carattere quasi antropologico di talune posizio-ni, è per lo più sottaciuto da parte di certa critica spagnola. Nel denso scambio epistolare con Oller, scrive Galdós l’8 dicembre del 1884:

Es un verdadero crimen que V. no haya escrito este libro [La Pa-pallona] en castellano, o traducídolo, después de haber rendido al exclusivismo [?] local el tributo de la prioridad. [...] Lo que sí le diré es que es tontísimo que V. escriba en catalán. Ya se irán Vds curando de la manía del catalanismo y de la renaixensa. Y si es preciso, por motivos que no alcanzo, que el catalán viva como lengua literaria, deje V. a los poetas que se encarguen de esto. La novela debe escribirse en el lenguaje que pueda ser entendido por mayor número de gente16.

Un motivo ricorrente quello di un più ampio pubblico poten-ziale per la lingua “maggiore”. Oggi, in base a questo criterio, sa-rebbe meglio scrivere tutti in inglese (come peraltro accade nel  

tra de la gagner, in A. Ferretti (a cura di), Les grands textes indépendantistes. Écrits, discours et manifestes québécois 1992-2003, Montréal, 2004, p. 41).

15 Per esempio, non allude alla questione il capitolo dedicato al rapporto Ol-ler-Galdós del volume di A.SOTELO VÁZQUEZ, De Cataluña y España. Relaciones

culturales y literarias (1868-1960), Barcelona, 2014, pp. 77-86.

16 Cit. da M.LLANAS –R.PINYOL, Notes sobre l’ús culte del català en algunes

Lingua e tradizione letteraria: la valenza politica della singolarità catalana 33 mondo della scienza) o in cinese quanto a pubblico potenziale. La poesia, elitaria per definizione («Los poetas que escriben para si mismos») è l’unico genere che può essere appannaggio della lingua catalana, ma appare evidente come per Galdós sia il romanzo a sta-re al centro della csta-reazione letteraria (e così liquida anche la Re-naixença come una “mania”). Certo l’autore di Tristana aveva ben capito qual era l’importanza del genere nel forgiare una nazione e come non potesse esserci la concorrenza di un “immaginario ro-manzesco” alternativo a quello ispanico che ne mettesse a repenta-glio la centralità e, in ultima analisi, forse anche l’esistenza. Timo-thy Brennan coglie e sintetizza l’essenza del problema:

It was the novel that historically accompanied the rise of nations by objectifying the ‘one, yet many’ of national life, and by mim-icking the structure of the nation, a clearly bordered jumble of languages and styles. Socially, the novel joined the newspaper as the major vehicle of the national print media, helping to stand-ardize language, encourage literacy, and remove mutual incom-prehensibility. But did much more than that. Its manner of presentation allowed people to imagine the special community that was the nation17.

Oller argomenta, in modo evidentemente non persuasivo per Galdós, la sua scelta linguistica, tanto che viene redarguito con un «V. no escribe en castellano porque no quiere»18. Il che è forse so-lo parzialmente vero, perché le ragioni di Oller sono abbastanza precise ed attengono fedelmente all’estetica realista, che l’inter-locutore conosceva benissimo: la credibile rappresentazione nel romanzo dei personaggi e del loro mondo. In base a questo non si può ignorare la lingua che i personaggi parlano. E, nel caso dei romanzi di Oller, la lingua è evidentemente il catalano, senza che ciò significhi, per lo meno esplicitamente, “separatismo”: il grande  

17 T. BRENNAN, The national longing for form, in Homi K. Bhabha (a cura di),

Nation and Narration, Routledge, 1990, p. 49. 18 Cfr. M.LLANAS –R.PINYOL, op. cit., p. 86.

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orco che sottende tali questioni, evocato per confermare la sacrali-tà e centralisacrali-tà dello spazio unitario spagnolo. Due anni dopo, nel 1886, Galdós torna sulla medesima questione:

No puede figurarse el desconsuelo que siento al ver un novelista de sus dotes, realmente excepcionales, escribiendo en lengua dis-tinta del español, que es, no lo dude, la lengua de las lenguas; y no me venga V. con la sofistería de que solo siente en catalán19. Il contenuto si riferisce ovviamente anche allo scambio episto-lare sulla questione del “sentire”, che abbiamo visto con “Clarín”. In una lettera immediatamente successiva Galdós rende ancora più pugnaci le sue argomentazioni (probabilmente anche per la libertà che il consolidato rapporto di amicizia con Oller gli consentiva), rasentando l’impertinenza:

yo tengo un placer muy grande en leer su obra, aunque esté en catalán, y con esto expreso la admiración que siento por V. bas-tante grande para hacerme desafiar las asperezas de una lengua, cuyas bellezas no entiendo, y cuya resurrección, como lengua