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Una parodia del dualismo cavallo-cavaliere

3.1 La cavalleria ai tempi del Quijote

Don Chisciotte della Mancia è il più noto romanzo del cosiddetto Siglo de Oro della letteratura spagnola, un ampio periodo che comprende sedicesimo e diciassettesimo secolo. In esso si concretizza la nascita della nazione spagnola come entità politica e sociale, nonché si assiste alla pubblicazione di alcune tra le più rilevanti e famose opere della cultura iberica. Il romanzo di Miguel de Cervantes Saavedra, uscito in due volumi rispettivamente nel 1605 e nel 1615, ebbe immediatamente un successo straordinario trasformando il suo personaggio principale in un vero e proprio eroe della carta stampata. La critica letteraria ha dibattuto alacremente sul rapporto che intercorre tra autore e protagonista, e Miguel De Unamuno212, come ricorda Cesare, ha suggerito il totale superamento della creazione nei confronti del suo ideatore:

Unamuno, glorificando Don Chisciotte, lo innalza molto al di sopra di Cervantes, quasi che Cervantes non fosse in grado di comprendere il personaggio che ha creato. Unamuno si collegava, paradossalmente secondo il solito, con l’abitudine, riscontrabile in molti critici, di contrapporre l’autore e la sua creazione, privilegiando secondo i casi, l’uno o l’altra. Ma insisteva proprio sul personaggio, dandogli autonomia e vita propria, così da lasciare indietro il povero autore213.

Tale fatto è amplificato dalla scarsa fortuna letteraria riscontrata da Cervantes, considerato prima del Don Chisciotte un intellettuale di scarso valore. Non stupisce apprendere, dunque, che egli abbia dato alla luce la sua creatura letteraria nel quasi completo anonimato all’età di cinquantotto anni. Egli, dopo altri dieci lungi anni, scriverà la seconda parte dell’opera senza essere persuaso della validità della sua scrittura e spinto, tra l’altro,

212 Miguel De Unamuno, scrittore, letterato e politico spagnolo, ha scritto nel 1903 Vita di Don Chisciotte e

Sancho, dove ha esaltato la figura del cavaliere errante come massima incarnazione dell’idealismo umano,

sottolineando la grandezza del personaggio creato da Cervantes.

213 SEGRE,C.,Due Don Chisciotte in conflitto, in SCARAMUZZA VIDONI,M.,(a cura di),Luoghi per un Don

dall’uscita di una continuazione apocrifa214 che cercava di cavalcarne il crescente successo. Cervantes, infatti, pare non considerasse le singolari avventure del suo paladino come il suo testo più riuscito, motivo per cui lavorava senza sosta ad altri progetti come la Galatea, che non otterranno però lo stesso riscontro di pubblico e critica. Nel 1616, un anno dopo l’uscita del secondo volume del Don Chisciotte, l’umanista di origine basca muore senza riuscire a comprendere il contributo fornito alla storia della letteratura e senza percepire la portata e il valore del suo scritto. Don Chisciotte e Sancio Panza sono tuttavia sopravvissuti al proprio artefice, oscurando totalmente la restante produzione letteraria che Cervantes concepì nella sua lunga esistenza.

Don Alonso Quijano, il vero nome di Don Chisciotte, rappresenta la parodia satirica del cavaliere errante estinto ormai da molti decenni. Cervantes recupera i topoi fondamentali del genere cavalleresco di cui era un grande cultore e conoscitore rovesciando, fino alla fine della sua opera, le sorti della figura eroica che aveva dominato la scena letteraria nei secoli precedenti. Tra gli autori più stimati dal letterato spagnolo vi erano certamente quelli trattati all’interno di questo lavoro e in particolare Ludovico Ariosto:

L’Orlando Furioso gli dovette essere assai familiare nel testo, fino al godimento intenso dell’ottava a sé presa o delle singole immagini sciolte dal loro legame con il tutto. Conoscenza da innamorato che ama vedere e rivedere, e così vedendo far sue, le bellezze particolari e d’insieme dell’amata. Fra i poeti italiani che gli fu dato conoscere l’Ariosto fu quello che gli dette la più alta e meravigliosa misura della particolare forza e vaghezza espressiva della nostra lingua. Ognuno ricorda le parole dette dal curato durante lo scrutinio dei libri di Don Chisciotte a proposito dell’Orlando ariostesco, parole nelle quali è manifesto che il senso vivo, magico, trascolorante della poesia ariostesca, fatta di niente e stupefacente come una visione, era ben presente al gusto del Cervantes che ne proclamava l’intraducibilità215.

Oltre alle parole del curato ricordate da Francesco Delogu, esiste all’interno del testo un altro passo ancora più significativo in cui lo stesso Don Chisciotte fornisce giudizi poco lusinghieri sui protagonisti del poema ariostesco. Questi mette in evidenza sia le doti fisiche e caratteriali sia le imperfezioni nel rispetto del codice cavalleresco, da lui osservato come fosse una Bibbia:

«Di Rinaldo» rispose Don Chisciotte «Mi arrischio a dire che aveva un faccione largo e sanguigno, gli occhi mobili e sporgenti, puntiglioso e collerico oltre misura, amico di malfattori e di ladri. Di Rolando, o Rotolando, o Orlando, perché le storie lo citano con tutti questi i nomi, sono del parere e affermo che fu di media statura, largo di spalle, di

214 Uscita nel 1614 dalla penna di uno scrittore quasi sconosciuto, tal Avellaneda, lo scritto apocrifo si distingue per la polemica aspra nei confronti di Cervantes e del Don Chisciotte originale.

gambe arcuate, bruno ma di barba rossiccia, il corpo molto peloso e lo sguardo minaccioso, di poche parole ma molto gentile ed educato»216.

Il cavaliere errante si dimostra ancor meno gentile e accomodante con Angelica, rea di aver svilito la nomea delle grandi dame cavalleresche. Ella costrinse Ariosto a tacere della sua vita dopo l’inopinata scelta di rimanere accanto a Medoro, un semplice paggio indegno di affiancarsi alle grandi figure eroiche che la dama prima confuse e poi rifiutò. L’autore, insistendo sulle presunte negligenze della donna, fa trasparire un primo accenno sui valori amorosi spirituali che guidano i sentimenti del protagonista:

«Quell’Angelica», rispose Don Chisciotte, «fu una donzella svagata, volubile e incostante, e riempì il mondo con le sue impertinenze, come con la fama della sua avvenenza; rifiutò mille signori, mille valorosi, mille sapienti per poi darsi a uno sbarbatello di paggio, senza altra ricchezza né nomea che quella di riconoscente per la fedeltà che conservò al suo amico. Il grande cantore della sua bellezza, il famoso Ariosto, non osando o non volendo cantare quanto accadde a questa signora dopo il suo deplorevole cedimento, certamente qualcosa di non troppo onesto, smise di parlarne»217.

La volontà dell’autore è quella di estremizzare il codice comportamentale della cavalleria di cui Don Chisciotte si fa portatore, per raggiungere un obiettivo palesemente retorico e allo stesso tempo satirico. Il personaggio principale, mettendo in risalto i difetti dei suoi colleghi e le loro torbide amicizie, non vuol far altro che generare un confronto in cui il suo nome superi in nobiltà d’animo e d’intenti quello dei suoi predecessori, elevandosi in una posizione privilegiata che associ il valore in battaglia a quello amoroso. La presentazione così negativa di Angelica mira altresì a rafforzare il paragone con la sconosciuta Dulcinea del Toboso, donna dalla bellezza impareggiabile ma celata, secondo il suo amato, dai trucchi meschini degli incantatori nemici che la mostrano come una contadina sempliciotta, ossia nel suo lato più volgare. Come i suoi antesignani anche Don Chisciotte non può che considerarsi il più ardito e distinto cavaliere che abbia mai calcato il suolo terrestre, pronto a sfidare in duello chiunque avesse messo in discussione tale affermazione o non avesse confermato le virtù della donna amata.

Cervantes, d’altro canto, non fu il primo letterato spagnolo che ebbe l’idea di sviluppare un’opera parodica sul mondo cavalleresco medievale e rinascimentale. Sul finire del sedicesimo secolo, infatti, venne pubblicata un’altra e assai più breve opera che ricalcava simili scelte tematiche, come riportato da Ian Watt:

216 CERVANTES,M., Don Chisciotte della Mancia, trad. it., Edizioni Frassinelli, Milano, 1997, p. 502. 217 Ivi, p. 503.

L’intenzione principale di Cervantes nei primi cinque capitoli che compongono la prima uscita di don Chisciotte è evidentemente burlesca nei confronti dei romanzi cavallereschi. L’idea era tutt’altro che nuova quando Cervantes cominciò a scrivere il Don Chisciotte, intorno al 1597. […] In Spagna era apparso un breve trattamento farsesco del medesimo tema nell’opera di un anonimo spagnolo, Entremés de los romances, (Interludio delle ballate), del 1592. In esso, un contadino di nome Bartolo, che ha ascoltato troppe ballate popolari sulle gesta dei cavalieri, impazzisce e immagina di essere l’eroe di un romanzo. Si mette un’armatura vecchia e ridicola e parte in cerca di avventure. Nel tentativo di salvare quella che ritiene essere una giovinetta insidiata, s’intromette in realtà nella lite di due amanti; l’innamorato furibondo lo ferisce e Bartolo, mentre viene riportato a casa, declama tristi ballate adatte alla circostanza218.

La cavalleria in Spagna, agli inizi del diciassettesimo secolo, era assai diversa rispetto a quella venerata da Don Chisciotte. I numerosi eventi che avevano caratterizzato il periodo precedente, le ingerenze della chiesa sulla quotidianità e le vicende conseguenti alla scoperta del nuovo mondo su tutti, avevano contribuito a modificare pesantemente il ruolo e l’importanza dello stesso cavaliere. L’esercizio delle armi rappresentava un’alternativa da disdegnare perché troppo spesso legata a una emigrazione transoceanica, accettabile solo se necessaria:

Per chi non sapeva dedicarsi alla vita religiosa o a quella dei campi, che rappresentavano il rifiuto totale di vagheggiate esperienze, né si scopriva la vocazione per il commercio, non restava che l’esercizio delle armi, valorizzato dall’avventura americana, ma privo, malgrado certe forme esteriori, di ciò che costituiva l’essenza della vita cavalleresca, vale a dire la libertà di comportamento che gerarchia e disciplina avevano soffocato219.

Lo stesso Don Chisciotte, del resto, è pienamente consapevole della contemporaneità in cui vive quando, succube della sua pazzia, decide di intraprendere una carriera che nessuno oramai considera più esistente. In apertura di secondo libro Cervantes conferma questa piena cognizione di causa da parte del paladino che, giudicando la cavalleria errante defunta, mette in risalto l’estrema difficoltà di ciò che lo aspetta per riportarla in vita. In questa seconda parte è possibile notare quanto il personaggio sia profondamente mutato, per mezzo di una metamorfosi che riguarda sicuramente anche il suo autore:

Passando dalla prima alla seconda parte dell’opera di Cervantes, si assiste a una progressiva diminuzione, nel personaggio, dell’energia vitale e dell’azione, che cedono alla malinconia e a una condizione più passiva. Senonché, appunto, questo processo è progressivo; e possiamo spiegarcelo con la maturazione che la figura del cavaliere ha subito, nello spirito del suo inventore, nei dieci anni che dividono le due parti del romanzo. Questa maturazione che la figura del cavaliere ha subito, nello spirito del suo

218 WATT,I.,Miti dell’individualismo moderno, trad. it., Donzelli Editore, Roma, 1997, pp. 45-46.

219 SCUDIERI RUGGIERI,J., Cavalleria e cortesia nella vita e nella cultura di Spagna, Mucchi Editore, Modena, 1980, p. 333.

inventore, nei dieci anni che dividono le due parti del romanzo. Questa maturazione, che corre parallela con l’età, coi disinganni e con l’addio dato, in fondo all’animo, al mondo, è poi la maturazione dello stesso Cervantes, che si fa tutt’uno col suo personaggio220.

La seconda parte dell’opera è, di fatto, caratterizzata da numerosi passi in cui la mutazione del principale attore delle vicende cervantesche appare chiara e lampante. Nello spirito del Don Chisciotte emerge una profonda malinconia che conferisce al personaggio uno spessore letterario maggiore, in cui l’intento satirico, sempre ben presente, pare nascondere verità e ferite aperte riconducibili direttamente al suo autore. Questi, dopo dieci anni, equilibra con maggior efficacia il bilanciamento tra pazzia e lucidità in Don Chisciotte, facendolo apparire molto più assennato e giudizioso:

Ho lasciato la mia patria, ho dato in pegno i miei beni, ho abbandonato i miei agi e mi sono messo in braccio alla fortuna perché mi porti dove meglio la aggrada. Ho voluto resuscitare la defunta cavalleria errante, e sono già molti giorni che inciampando qua, cadendo là, precipitando qui, rimontando lì, sono riuscito a soddisfare buona parte delle mie aspirazioni, soccorrendo vedove, proteggendo donzelle e aiutando maritate, orfani e pupilli, come è missione naturale dei cavalieri erranti221.

Ancor più dura è la reprimenda espressa da Don Chisciotte nei confronti dei cavalieri del suo tempo. Cervantes dedica un’intera pagina a descrivere la vacuità della loro vita e del decadimento palese della categoria. Un’invettiva che scaturisce dalla bocca del protagonista come un fiume inarrestabile che, senza interruzioni, si discosta di buon grado dalla linea satirica che intride l’intera narrazione. La critica investe soprattutto la pigrizia che ha colpito i cavalieri, svigoriti a tal punto da sentire il fruscio dei damaschi, abituati com’erano a stabilirsi per lunghi periodi sotto la comoda protezione di sovrani e nobili, immemori delle abitudini dei loro antenati.

Per la maggior parte, i cavalieri di questo nostro tempo fanno sentire il fruscio dei damaschi, dei broccati e degli altri tessuti che indossano, ma non certo la maglia di ferro da combattimento; e non c’è cavaliere che dorma all’addiaccio, soggetto ai rigori del cielo, armato dalla testa ai piedi, né c’è chi, senza sfilare i piedi dalle staffe, si appoggi alla lancia e resti, come si dice, in dormiveglia, come facevano i cavalieri erranti. E non c’è neppure chi, uscendo da un certo bosco, si addentri in una montagna, e di là raggiunga la spiaggia deserta di un mare spesso tempestoso e sconvolto, e trovi una piccola imbarcazione senza remi né vela, priva dell’albero e del sartiame, e s’imbarchi con intrepido coraggio, affidandosi alle onde implacabili del mare profondo, che ora lo spingono al cielo e ora lo sprofondano nell’abisso. […] Ora, purtroppo, la pigrizia trionfa sulla diligenza, l’ozio sull’attività, il vizio sulla virtù, l’arroganza sul valore, e la teoria

220 VALVERDE,J.,Il Don Chisciotte di Cervantes, Edizioni Radio Italiana, Torino, 1958, p.84. 221CERVANTES,M.,Op. cit., p. 595.

sostituisce la pratica delle armi che ebbero vita e splendore nelle epoche d’oro dei cavalieri erranti222.

A queste parole si sussegue un’infinità di domande retoriche sui personaggi principali dei poemi cavallereschi più conosciuti che, oltre al valore encomiastico evidente, inducono il lettore a facili e poco lusinghiere comparazioni con il cavaliere errante moderno. Osservato sotto questa luce particolare, Don Chisciotte sembra tutt’altro che schiavo della follia e pare confermare il giudizio proferito da un giovane letterato sul suo conto: «Non ci sono al mondo medici o abili notai che possano sbrogliare il groviglio della sua pazzia; è un matto composito, con molti intervalli di lucidità»223.

Gli intermezzi di lungimiranza del protagonista compaiono spesso per chiarire elementi nascosti o poco visibili sull’oggetto dell‘ironia di Cervantes, quasi a rivelare che, sotto la patina di sarcasmo voluta dall’autore, si nasconda un giudizio personale molto più pesante nei confronti della società contemporanea.

Il fido scudiero Sancio Panza, possiede parimenti una sua teoria sui cavalieri erranti. Non bisogna dimenticare che questi è il portavoce di quella saggezza contadina che vive lontana sia dalle ricche e sfarzose regge, sia dai palazzi dei signorotti colti e benestanti da cui proviene Don Chisciotte:

Sancio Panza è un personaggio equilibrato, di mirabile umanità, nel quale i valori superiori della giustizia e della fedeltà affettuosa prevalgono sulle passioni e sull’avidità. Man mano che il libro progredisce, Sancio Panza va crescendo tanto in altezza morale che in importanza letteraria […] Ed è anche capace di dare un’efficace replica all’esaltazione di Don Chisciotte degli ideali cavallereschi, contrapponendo loro quelli religiosi224.

Analfabeta completo e ingenuo credulone Sancio è l’uomo dei proverbi. Egli non manca di sviscerare motti e detti popolari, tramandati oralmente da chissà quante generazioni, volti a irritare il suo padrone costretto a subirne l’intrinseca saggezza. Cervantes gli affida il compito di proferire la visione comica del cavaliere, quella che la gente comune stava iniziando a dimenticare a causa del trascorrere del tempo:

«Ma che cos’è un cavaliere di ventura?» chiese ancora la ragazza; e Sancio rispose: «Siete così fuori del mondo, da non saperlo? Un cavaliere di ventura, sorella mia, è uno che, in due parole, può essere bastonato e diventare imperatore: essere oggi la più

222 CERVANTES,M.,Op. cit., p. 500. 223 Ivi, p. 616.

disgraziata e bisognosa delle creature, e domani trovarsi con due o tre reami per incoronarne il proprio scudiero»225.

È interessante notare come sia necessario un tempo molto ristretto, in due parole, per spiegare il mestiere di cavaliere errante da parte di un sempliciotto estraneo a qualunque conoscenza del mondo in cui è appena stato introdotto. Al contrario, non basta un lungo sproloquio a un letterato immerso profondamente nello stesso mondo, per inveire contro la medesima figura. Uno dei massimi obiettivi raggiunti da Cervantes è quello di aver unito due personaggi talmente opposti da completarsi perfettamente all’interno dei capitoli del romanzo. L’incedere singolare di questo disorganico duo è ben descritto, ancora una volta, dalle parole di Ian Watt:

Se mai dovessimo vedere, per la strada, un bastone e una palla avanzare uno accanto all’altra, il pensiero andrebbe subito a don Chisciotte e Sancio Panza. Il loro aspetto evoca una quantità di opposizioni tale che ci pare debbano includere ogni cosa. Don Chisciotte allampanato e rigido come un doccione di una cattedrale gotica, tutto consunto e rigido verso il cielo; Sancio basso e tarchiato che si guarda il panzone e si domanda quale sarà la prossima avventura226.

Quest’andatura è altresì completata dalla presenza delle due cavalcature, lo scheletrico Ronzinante e il fido asino Grigio, che accompagnano gli eroi durante lo svolgersi delle miraboli e bizzarre avventure.

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