Cenni sul rito inquisitorio del Consiglio dei dieci
Il rito inquisitorio del Consiglio dei dieci consisteva in una procedura segreta ed estremamente rapida, attraverso la quale gli imputati di un processo non si sarebbero potuti difendere o esprimere in merito alle accuse che venivano loro imputate. Tale rito si distingueva dalla tradizionale, seppur severa, inquisitio, nella quale era il giudice ad apparire in primo piano, soprattutto nella prima fase del processo, in cui si accostava o addirittura si sostituiva alla parte lesa. Il processus per inquisitionem, invece, rappresentava il cambiamento di un ambito del potere, il cui fine era di “attuare i propri orientamenti politici tramite un’indagine ufficiale, che poteva ridurre più o meno sia le aspettative della vittima che lo spazio riservato al conflitto tra le due parti (parte offesa ed imputato)”81.
Il processo inquisitorio ed i suoi aspetti caratterizzanti non risulterebbero chiari se non li si confrontassero con il processus per accusationem. Quest’ultimo si ripartiva in diverse fasi, ognuna delle quali era veicolata da meccanismi altrettanto differenti in ogni ambito territoriale e venne impiegato fino al momento in cui esistettero la faida aristocratica e l’esigenza di un’intercessione giurisprudenziale per estirpare i conflitti. Dal momento in cui il rito inquisitorio divenne la principale modalità di diffusione della giustizia statuale, la separazione tra le due ritualità iniziò ad affievolirsi e il processo penale inglobò al suo interno aspetti tipici di entrambi i modelli rituali. Nella nostra Penisola, la distinzione tra processo inquisitorio ed accusatorio rimase ancora piuttosto accentuata tra il XVI ed il XVII secolo, che si configurò come un periodo di intense alterazioni dell’assetto politico-giudiziario all’interno dei diversi stati territoriali. Per quanto riguarda specificamente il caso di Venezia, ciò che più di ogni altro aspetto contribuì al mutamento della struttura del processo penale fu il ricorso ad una procedura inquisitoria inflessibile e rapida nel suo svolgimento.
81 Povolo C., Introduzione al processo a Paolo Orgiano (1605-1607), p. 29, reperito il 10 ottobre 2016
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Il rito inquisitorio del Consiglio dei dieci esemplificava una struttura di potere allo stesso tempo repubblicana ed aristocratica, che impediva qualsiasi forma d’intervento da parte di giuristi ed avvocati, poiché considerati nocivi per l’essenza repubblicana della Repubblica di Venezia. Da ciò è possibile dedurre che uno dei tratti caratterizzanti la procedura inquisitoria del Consiglio dei dieci era l’assenza degli avvocati, il qual fatto comportava che l’imputato dovesse provvedere personalmente alle proprie difese, senza interferenze tra lui ed il giudice che gli si opponeva. La figura dell’avvocato era considerata doppiamente negativa, poiché da un lato avrebbe potuto ostacolare l’attività del giudice e, dall’altro, avrebbe potuto minare lo stesso valore del rito inquisitorio del Supremo consesso.
Il rito inquisitorio dei Dieci era fondamentalmente ripartito in sette fasi:
a) processo informativo: era a sua volta costituito da due fasi. La prima, ovvero l’inquisizione generale, veniva affidata a due consiglieri, chiamati inquisitori82,e
si caratterizzava per l’avvio di attività preliminari volte a comprendere più approfonditamente il caso; la seconda, chiamata inquisizione speciale, era condotta da un collegio ordinario o straordinario, formato da quattro persone: la prima scelta fra i tre Capi del Consiglio dei dieci; la seconda tra i consiglieri ducali; la terza tra i due inquisitori che si erano occupati dell’inquisizione generale; la quarta, infine, tra gli avogadori di comun. Il fascicolo con i dati relativi alla prima fase del processo era custodito dall’Avogadore. Successivamente, le indagini venivano rese pubbliche all’intero Consiglio dei dieci, il quale, su proposta di uno dei Capi del Consiglio o dell’avogadore, poteva procedere all’arresto dell’imputato o prevedere il proclama, consistente in una formula solenne letta sulle scalinate del ponte di Rialto;
82 Gli inquisitori erano due appartenenti alla magistratura del Consiglio dei dieci che vennero istituiti ne
1314 ed erano estratti a sorte ogni mese. Tra le loro mansioni figuravano: il dover scoprire, attraverso querele, denunce segrete, pubblica voce o proprie ricerche, se qualche individuo fosse andato contro il volere del Supremo consesso; il constatare che l’infrazione fosse effettivamente avvenuta e scovare chi fosse stato; dopo aver recuperato tutti gli indizi, l’intero Consiglio dei dieci sarebbe dovuto essere informato. I due inquisitori, tuttavia, non potevano arrestare ogni persona su cui si fosse sospettato, perché era prima richiesta l’autorizzazione dei Dieci. In realtà, esaminando i pochi stralci di processi istruiti tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo, appare che l’ufficio dagli inquisitori non fosse di poi così grande importanza, poiché potevano anche essere coadiuvati o sostituiti dai Capi del Consiglio dei dieci o dagli avogadori di comun.
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b) arresto o presentazione dell’imputato: l’imputato era tenuto a recarsi a Palazzo Ducale, dove inizialmente veniva collocato in una cella oscurata, per poi essere spostato in celle dotate di illuminazione;
c) presentazione dell’imputato al Collegio criminale: l’avogadore prendeva il fascicolo a lui affidato e faceva presentare il prigioniero davanti ai Capi del Consiglio dei dieci ed al Collegio criminale. Quest’ultimo organo, nei casi in cui si fosse trattato di omicidio, era formato dai Capi del Consiglio dei dieci. In tale ambito, l’imputato aveva la facoltà di rifiutare alcuni individui facenti parte del Collegio criminale;
d) escussione dell’imputato: l’avogadore proseguiva col costituto opposizionale, che – si rammenta – era un interrogatorio incisivo e serrato, durante il quale l’imputato veniva a conoscenza delle informazioni emerse durante il processo informativo. Tale procedura poteva durare per mesi o addirittura per anni e poteva essere impiegata anche la tortura. Inoltre, in questa fase l’imputato veniva più volte fatto uscire dalla sua cella e condotto nella sala dell’Avogaria, dove si procedeva coll’interrogatorio;
e) intimazione delle difese all’imputato: l’avogadore intimava all’imputato le difese, che, per via dell’assenza dell’avvocato difensore, dovevano essere redatte come una vera e propria autodifesa. In realtà, l’avvocato difensore poteva aiutare l’imputato nella stesura della propria autodifesa, che era composta da capitoli, verificati dai testimoni per attestare la loro effettività. Una volta terminata, l’autodifesa doveva essere consegnata ad un segretario del Consiglio dei dieci, che in seguito la riportava all’interno del fascicolo processuale;
f) lettura dell’autodifesa ed interrogatorio dei testimoni a difesa: l’autodifesa era letta ai Capi del Consiglio dei dieci ed al Collegio criminale e, nel mentre, erano ascoltati i testimoni della difesa. Anche i documenti di carattere pubblico potevano costituire delle prove a difesa dell’imputato;
g) sentenza: al termine dell’interrogatorio dei testimoni, l’imputato veniva ricondotto nella sua cella. L’Avogadore leggeva al Consiglio il costituto e le difese dell’imputato e, talvolta, era anche presente una scrittura d’allegazione dell’avvocato. Lo stesso Avogadore, poi, doveva proporre una pena, che in seguito
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veniva votata. Le votazioni erano espresse attraverso le tre formule de sì, de no e
non sinceri, con l’utilizzo di bossoli di tre colori: rosso, verde e bianco. La pena
che otteneva la maggior parte dei voti veniva applicata.
Il rito inquisitorio del Supremo consesso veneziano era investito da caratteri peculiari, che lo rendevano diverso dai processi penali utilizzati sia nelle corti di terraferma che negli altri tribunali veneziani. In particolar modo, esso risultava differente dalla
Quarantia, che era la magistratura giudiziaria veneziana incaricata della gestione dei
delitti penali di minor entità e del sistema di appelli. Quest’organo “era contrassegnato da una procedura aperta, dietro la quale si celava la volontà di infondere una percezione di giustizia equa, all’insegna della massima flessibilità e del consueto pragmatismo che connotavano la classe dirigente marciana”83. I distinti procedimenti utilizzati dal
Consiglio dei dieci e dalla Quarantia rappresentavano i contrapposti scopi politici dei due organi e due visioni altrettanto distinte del potere nel sistema giuridico della Repubblica. A tal proposito, mentre da un lato si desiderava un maggiore ordine pubblico realizzabile attraverso l’impiego del rito inquisitorio del Consiglio dei dieci, dall’altra si volevano coniugare queste necessità con un modello giudiziario proveniente dal basso e, quindi, dalla Quarantia e dalla sua prassi.
L’affermazione di prassi inquisitorie, segrete e più incisive si era rivelata necessaria, già a partire dai XIV secolo, anche in altre realtà italiane ed europee, principalmente per esigenze di ordine pubblico. “Dietro l’adozione di tali procedure si celava una forma di giustizia punitiva che sembrava accostarsi a pratiche compromissorie di mediazione dei conflitti sociali. Una giustizia espressione delle scelte politiche del centro cittadino, capace di imprimere la sua superiore legittimità sul territorio circostante, si stava affiancando ad una giustizia compromissoria, in cui i conflitti sociali trovavano una ricomposizione grazie a strumenti giuridici ispirati a pratiche comunitarie e al senso di giustizia della società”84
83 C. Andreato Il rito inquisitorio del Consiglio dei dieci nel XVI secolo cit., pp. 369-370. In ogni caso,
la Quarantia ed il Consiglio dei Dieci non erano gli unici tribunali impiegati nell’amministrazione della giustizia a Venezia. Accanto a loro si trovavano molti altri organi con compiti più peculiari e ristrette, come ad esempio: gli Auditori vecchi, nuovi e nuovissimi, il Collegio dei venti savi al corpo dei Quaranta, i Giudici del proprio, i Giudici al forestier, i Giudici di petizion, i Giudici all’esaminador, i Giudici del procurator, i Giudici del mobile, i Giudici del Piovego, i Cinque alla pace, i Signori di notte al criminal, i Signori di notte al civil, i Consoli dei mercanti, etc.
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