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A. Piedi DISTICI

1. Ceresara XC, Oditi freschi colli

34CASTIGLIONE 1973.

71

Paride

C

ERESARA, Rime, XC36

st. 6, 13 vv. + co. XYZZ (13.010)

a Oditi freschi colli,

b Taceti valli ombrose, C Tu Pan et o voi altri semidei, a Spirti correnti e folli b Per queste piaggie erbose, C Firmate i passi al suon d’i versi miei. c A fiere, uomini e dèi d Son per cantar di quella e Nympha celeste e diva e Che tutto il mondo priva, D Come fa il sol di luce ogni altra stella, F Ché sol ne gli occhi vaghi dil bel viso F Dentro si vede tutto il paradiso.

Su 17 canzoni aventi schemi metrici di 13 versi, allora, ben 8 canzoni, dunque quasi la metà del totale (47%), presenta il medesimo schema, simile ma non uguale, a sua volta riscontrabile in altre canzoni petrarchesche (oltre che in Chiare, fresche et dolci acque, appunto, anche nella canzone 125 e nella 129).

Anche lo schema metrico della canzone petrarchesca 207 Ben mi credea passar mio

tempo omai, dapprima avente una sola ripresa registrata nel Repertorio, ora ne guadagna

due, a patto che si ragioni per somiglianze e non per uguaglianze:

13.006 - ABCBAC. cDdEeFF (< RVF 207) ≈ ABCBAC.CDdEeFF (13.002) 1. Cornazano CXIX, Io scrissi già d’Amor cantando versi

2. Niccolò da Correggio Rime App. 15, Italia, piangie la tua sorte dura

N

ICCOLÒ DA

C

ORREGGIO, Rime, App. 1537 St. 7, 13 vv. + co. XY(y)Zz

(13.002)

A Italia, piangie la tua sorte dura,

B apri gli occhi toi ciechi e guarda il caso: A tolto te ha Galia la tua Clara stella, B che coi raggi fugita è verso ocaso. A Tu scei servata in fosca sepoltura, C priva d’ogni splendor, d’ogni facella

36 CERESARA 2004.

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C che ti prestava e meza nocte quella D ch’è gita a dar luze a un altro clima. d E tu non ne fai stima, E né sai in quanto danno scei rimasta; e prendi il tuo scudo e l’asta F e fa vendetta contra Franza altiera F che il chiaro sole ha tolto a nostra spera.

La ripresa di questo schema petrarchesco da parte dei poeti quattrocenteschi Antonio Cornazano e Niccolò da Correggio è molto interessante: lo scarto tra le due formule sillabiche, infatti, si registra esclusivamente in sede di concatenatio. Rispetto all’artificio tipicamente petrarchesco, e cioè costruito sulla combinazione di un verso endecasillabo con un settenario, i due poeti scelgono, consapevolmente, di trasgredire la norma dettata dal loro modello più prossimo, Petrarca appunto, per seguire la prescrizione dantesca precedente che, come già ricordato, ammetteva l’uso della chiave solamente in ambito endecasillabico.

Esempi di questo tipo, ovvero di riprese totali o quasi-totali di schemi petrarcheschi da parte di uno o più autori, sono numerosi nel corpus (si vedano, a tal proposito, le tre riprese identiche di Girolamo Savonarola di RVF 359 a 11.003, oppure quelle di Giovanni Augurello, del Boiardo e di Giovanni Badoer di RVF 70 a 10.00138, oppure ancora le riprese però variate e complicate da rime al mezzo di Giusto De’ Conti di RVF 268 a 11.006 e 11.007) ma, a mio avviso, quanto è riscontrabile tra gli schemi metrici di 13 versi può essere considerato l’esempio più significativo dei risultati a cui può portare tale cambio di prospettiva.

Francesco

P

ETRARCA, Canzoniere, 26839 AbCAbC.cDdEE st. 4 + co. ≡ sirma

Che debb' io far? che mi consigli, Amore? Tempo è ben di morire,

et ò tardato piú ch' i' non vorrei.

Madonna è morta, et à seco il mio core; et volendol seguire,

interromper conven quest' anni rei, perché mai veder lei

38 Per l’elenco totale delle riprese identiche degli schemi metrici petrarcheschi da parte degli autori del

corpus si rinvia al Repertorio di Guglielmo Gorni (REMCI 2008). Qui si sono voluti riprendere solo alcuni esempi a scopo, appunto, meramente esemplificativo.

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di qua non spero, et l' aspettar m' è noia. Poscia ch' ogni mia gioia

per lo suo dipartire in pianto è volta, ogni dolcezza de mia vita è tolta.

G

IUSTO DE’

C

ONTI, CXLIX, 147-157 (IX)40

(x5)a(a5)B(b5)CA(a5)B(b3)C.cDdEE st. 1, 11 vv.

Stolto, tu prieghi il sordo:

Non ha ricordo delle sue impromesse Giurate, e spesse, che lei già di fe’: Et che mi vale? il mio voler se ingordo Non vole accordo, che ragion gli fesse; Ma spesse volte duolme di sua fe’. Di ciò ne incolpe te,

Amore amaro, et di quella falsa vista, Che nel pensier mi attrista

Col fuggir, che or mi fan gli occhi sereni; Colla qual forza come vuoi mi meni.

La variazione di questo schema metrico petrarchesco, caratterizzato dalla presenza di rime al mezzo, non è un unicum riconducibile esclusivamente alla mano Giusto De’ Conti o, più genericamente, ai poeti quattrocenteschi; essa, infatti, è una variazione già attestata nei Fragmenta, di cui la canzone 105 Mai non vo' piu cantar com'io soleva costituisce l’esempio più vicino a questo esercizio di stile contiano. Tale variazione, dunque, è da considerarsi come già petrarchesca41, e dunque come un ulteriore segno di fedeltà al modello da parte di Giusto De’ Conti, autore di altri componimenti aventi tale sequenza rimica. Volendo essere più precisi, però, questo schema metrico caratterizzato dalla ripetizione di rime al mezzo non è una semplice variazione, ma un vero e proprio modo di costruire la stanza, tale da definire uno specifico sottogenere della canzone antica: si parla infatti, in riferimento a questo tipo di metro, di “canzone frottola”42; tale dicitura è di paternità bembiana: il termine è utilizzato per la prima volta dal Bembo nella lettera del 1525 a Felice Trofino. La canzone così costruita è detta ‘frottola’ poiché da questo genere eredita il divagare del discorso da un argomento all’altro e l’insistita ripetizione

40GIUSTO DE’ CONTI 1933.

41 La canzone petrarchesca appena citata non è da intendersi come il primo esemplare appartenente a questo ‘genere’.

42 La “canzone frottola” è distinta dall’endecasillabo in serie con rima al mezzo, il quale invece si definisce “endecasillabo frottolato”.

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delle rime, le quali, procedendo in gruppi regolari di due o di tre, hanno appunto la funzione di creare un ‘aggancio’ tra le articolazioni di un discorso che si svolge con frequenti salti logici.

Prima di passare all’esame dei segmenti identici è bene mettere in evidenza un fenomeno di particolare ripresa parziale di uno schema petrarchesco, ovvero quello della canzone indivisa Verdi panni, sanguigni, oscuri o persi (RVF 29 - AbC(d3)EF(g5)Hi); questa sequenza non è ripresa identica in nessuna canzone del corpus ma, tra gli schemi delle stanze di canzone di sette e otto versi, quattro canzoni, anch’esse indivise43, presentano uno schema che lo ricorda44:

7.001 – abcdEfE (Boiardo L) 7.002 – AbCDEFF (Cornazano XIV)

7.003 – ABCDEFG (Giusto De’ Conti CCX)

8.002 – AB(b)C(c)D(d)E(e)F(f)GG (Panfilo Sasso Egloga I 313-360)

Come si vede dai diversi esempi riportati, questo tipo di sottogenere proprio della canzone antica è caratterizzato da stanze unissonans formate da rime tutte estrampas: i versi, difatti, non rimano fra loro all’interno di ogni singolo blocco ma trovano corrispondenza di rima in tutte le altre stanze. Lo schema più rappresentativo di questa modalità di costruire la stanza è la sestina lirica, la quale ha origine dalla trasformazione di una forma possibile della canzone provenzale; è solamente con Dante (autore di una sola sestina), e poi definitivamente col Petrarca (autore di nove sestine), che questo genere diventerà una forma fissa. Successivamente, come ho cercato di dimostrare, questa particolare costruzione della stanza sarà oggetto della sperimentazione metrica quattrocentesca, configurandosi conseguentemente come anticipatrice di forme cinquecentesche di canzone (l’ode e l’ode-canzonetta).

G

IUSTO DE’

C

ONTI, CCX45

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