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Certificazione dei prodotti “biobased”

1. INTRODUZIONE

1.3. Campi di applicazione del metodo di analisi del 14 C

1.3.3. Certificazione dei prodotti “biobased”

Oltre agli attori della filiera energetica, l’altro principale settore di riferimento per quanto riguarda l’analisi del radiocarbonio è quello del mercato dei cosiddetti “prodotti biobased”, comprendente un’ampia gamma di prodotti, componenti e intermedi quali bio-polimeri, bio-lubrificanti, bio- solventi, bio-fibre, materiali compositi, building blocks per il settore chimico e farmaceutico. Le materie prime di origine biologica risultano rinnovabili sul breve termine (meno di 10 anni) mentre i materiali di origine fossile sono rinnovabili in un tempo pari a 10 milioni di anni; i prodotti

biobased sono quindi in grado di contribuire significativamente alla riduzione delle emissioni di

CO2. Anche in questo caso, ovviamente, si dimostra che un materiale è “biobased” se il suo

contenuto in radiocarbonio è diverso da zero, meglio se tendente al rapporto isotopico del carbonio nella CO2 dell’atmosfera attuale. Di conseguenza la determinazione del contenuto di radiocarbonio

con un metodo conveniente e possibilmente certificato assume una rilevanza sostanziale al fine di commercializzare prodotti con caratteristiche “verdi” effettive. In quest’ottica si inseriscono infatti diverse istanze di mercato di grande interesse attuale.

Negli Stati Uniti già nel 2002 con il Farm Security and Rural Investiment Act è stato istituito un BioPreferred Program15 allo scopo di promuovere e aumentare la vendita e l’utilizzo di prodotti

biobased che permetterebbero di ridurre il consumo di petrolio e conseguentemente gli effetti sul

clima, aumentare l’uso delle risorse rinnovabili, creare un nuovo mercato nonché posti di lavoro. Il

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programma prevede due principali iniziative: “Product Labeling” per certificare e rendere facilmente riconoscibile al consumatore un prodotto costituito interamente o parzialmente da fonti rinnovabili e “Federal Procurement Preference” per definire le categorie di prodotti biobased da ritenersi preferenziali nelle decisioni di compra-vendita. E’ previsto un sistema di certificazione volontario dei prodotti che autorizza l’utilizzo di un marchio di facile riconoscimento che assicura il consumatore dell’origine da fonti biogeniche e rinnovabili del prodotto. Il US Department of Agriculture ha individuato 50 categorie di prodotti per ognuna delle quali è definito un minimo contenuto di biobased, in relazione a miscele isotopiche variabili di carbonio antico e attuale. Anche la Comunità Europea ha promosso delle iniziative di mercato relativamente ai prodotti

biobased (quali bio-plastiche, bio-lubrificanti, tensioattivi, enzimi e prodotti farmaceutici) in quanto

prodotti neutri dal punto di vista delle emissioni di gas serra e caratterizzati da un minor impatto ambientale in termini di consumi energetici e produzione di rifiuti. Per ottenere risultati significativi a livello globale è però necessario che il mercato di questi prodotti sia fortemente rilanciato e ciò è possibile solo se il costo è competitivo e la provenienza da fonti rinnovabili ed il ciclo di vita sono certificati essere effettivamente “environment friendly”. A questo scopo nel 2008 la Commissione Europea ha istituito un “Ad-hoc Advisory Group for Bio-based Products”16

composto da rappresentanze di istituzioni governative, industrie e università per analizzare le condizioni di mercato e la situazione legislativa relativa a tali prodotti. L’Action Plan della commissione prevede in particolare un’implementazione dei targets soprattutto per quanto riguarda le fasi di standardizzazione, etichettatura e certificazione per garantire la qualità del prodotto e le informazioni al consumatore. E’ stata infatti riscontrata una lacuna a livello europeo di standard relativi a tali prodotti, in particolare per quanto riguarda la determinazione del contenuto biobased così come la valutazione dell’impatto ambientale.

La definizione di norme tecniche per le procedure di analisi del radiocarbonio (ASTM D6866 generica e UNI CEN/TS 161137 specifica per le materie plastiche) e la comparsa di una letteratura scientifica in merito testimoniano una crescente attenzione della comunità scientifica all’argomento. L’emergere e la crescente affermazione di enti certificatori anche a livello europeo (quali ad esempio la belga VINCOTTE e la tedesca DIN CERTCO) attestanti la percentuale di bio-carbonio presente in materie prime, componenti, costituenti e prodotti finiti, testimonia inoltre una maggior sensibilizzazione e consapevolezza in merito alle problematiche ambientali sia da parte dei produttori che dei consumatori.

Il mercato dei prodotti biobased è quindi in fortissima crescita sia per quanto riguarda prodotti strettamente legati al mondo chimico (quali biosolventi, biocatalizzatori, biofibre) sia per quanto riguarda materiali divenuti ormai di uso comune (quali biocosmetici e biopolimeri). Diversi lavori hanno investigato le potenzialità del metodo di analisi del radiocarbonio relativamente ad un’ampia gamma di prodotti sia di consumo che industriali quali solventi e lubrificanti, materiali da costruzione, fertilizzanti, prodotti cosmetici e per l’igiene personale, intermedi sintetici e polimeri [Norton et al., 2006-2007, Currie et al., 2000].

Tra questi il settore dei biopolimeri è sicuramente il più dinamico e prevalentemente concentrato in applicazioni nel settore del packaging alimentare e non, grazie anche alla caratteristica di

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biodegradabilità o compostabilità. Recentemente la tendenza è quella di sviluppare nuovi biopolimeri a caratteristiche migliorate (dal punto di vista termico, meccanico, barriera, ecc…) o di sintetizzare polimeri “tradizionali” partendo da monomeri provenienti da risorse rinnovabili, per poter ampliare il mercato dei biopolimeri anche ad applicazioni ingegneristiche (automotive, elettrico/elettronica, costruzioni, ecc…) e a beni durevoli. Da uno studio condotto dall’Università di Utrecht nel 2009 è emerso che tecnicamente i biopolimeri potrebbero sostituire ben l’84% delle materie plastiche da fonte petrolifera (Tab.7)17.

Tabella 7. Percentuale di biopolimeri che possono sostituire i polimeri da fonte petrolchimica

Ad oggi il termine “ biopolimeri” non ha ancora una definizione precisa ed univoca, in quanto si riferisce sia a plastiche compostabili (certificate in accordo con la norma EN1343218 o EN1499519) derivanti da materie prime rinnovabili e/o non rinnovabili, sia a plastiche costituite da materie prime rinnovabili (certificate in accordo con la norma ASTM D6866) non necessariamente biodegradabili o compostabili. Il concetto di “biobased” inerente l’origine delle materie prime costituenti il prodotto si affianca quindi, e spesso si confonde, al concetto di “biodegradabilità o compostabilità” relativo invece alla fase finale del ciclo di vita del prodotto. Tali concetti possono essere strettamente associati o anche coincidere in alcuni casi, ma non sono sinonimi; alcune plastiche possono essere infatti completamente biobased al 100% senza tuttavia essere biodegradabili (è il caso ad esempio del polietilene). I test ed i metodi di valutazione della biodegradabilità e del contenuto biogenico, e le relative certificazioni, sono quindi completamente differenti.

Recenti studi riportano l’applicazione efficace del metodo di analisi del radiocarbonio a diverse tipologie di polimeri mediante grafitizzazione del campione e determinazione dei rapporti isotopici in AMS [Kunioka et al., 2007; Onishi et al., 2010; Quarta et al., 2013]. L’approccio adottato prevede innanzitutto l’analisi delle materie prime utilizzate per la sintesi dei polimeri, sia di origine naturale che sintetica. Il contenuto biobased di materie prime quali amido e zucchero provenienti da diversi prodotti agricoli è risultato prossimo al 100% in quanto le piantagioni, quali mais o riso, sono cresciute in tempi recenti (1 o 2 anni) senza risentire dell’effetto dei test nucleari negli anni

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ProBIP 2009 18

Standard EN 13432: Packaging. Requirements for Packaging Recoverable Through Composting and Biodegradation. Test Scheme and Evaluation Criteria for the Final acceptance of Packaging

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’50-60. La percentuale di carbonio moderno presente nel legno risulta invece estremamente variabile nell’intervallo 106-153 pMC a seconda del periodo di crescita della pianta che ha risentito dei più alti valori di radiocarbonio presenti in passato. Questo fatto deve necessariamente essere valutato e corretto per la determinazione del contenuto biogenico in polimeri compositi a base di cellulosa o lignina [Kunioka et al., 2007].

Caratterizzate le materie prime, vengono poi sintetizzati in laboratorio polimeri compositi contenenti materiali sia di origine fossile che biogenica a composizione nota; la frazione di biocarbonio determinata sperimentalmente sulla base del rapporto isotopico 14C/12C viene quindi confrontata con il valore atteso sulla base della formulazione nota del polimero. Sono state investigate alcune famiglie comuni di polimeri compositi a base ad esempio di policaprolattoni [Kunioka et al., 2007], polilattati [Onishi et al., 2010], acetati di cellulosa [Tachibana et al., 2010] o resine poliestere [Quarta et al., 2013]. In tutti i casi l’analisi del radiocarbonio ha fornito valori di frazione biogenica consistenti o leggermente superiori al valore stimato sulla base delle strutture molecolari dei materiali utilizzati; tale sovrastima viene attribuita in questi studi alla maggior attività di radiocarbonio presente nei materiali di partenza di tipo ligneo o cellulosidico.

Inoltre viene messa in luce la possibilità di analizzare i singoli costituenti di un prodotto polimerico variando le condizioni di pretrattamento e preparazione del campione prima dell’analisi AMS. Raramente infatti le plastiche sono costituite da un unico componente, molto più spesso per migliorarne le proprietà meccaniche e di stabilità vengono aggiunti vari additivi anche in grandi quantità che possono raggiungere il 50% in peso del prodotto complessivo. Variando la temperatura in fase di pretrattamento è possibile ossidare il carbonio delle singole frazioni costituenti la plastica e valutare quindi la frazione biogenica di ogni singolo componente; ad esempio con un trattamento a 500°C si produce CO2 dalla sola parte organica, mentre con un trattamento a più alte T si ottiene

CO2 anche dalla frazione inorganica [Onishi et al., 2010].

Le principali problematiche individuate per questo tipo di analisi, soprattutto nel caso di prodotti costituiti non da un unico componente ma da una miscela, riguardano perlopiù i seguenti aspetti [Funabashi et al., 2009]:

- la fase di pretrattamento del campione (anche nel caso di matrici liquide e gassose) che necessita di una più precisa regolamentazione;

- la presenza di materiali inorganici, quali ad esempio carbonati, che dovrebbero essere considerati nella determinazione della frazione biogenica;

- il fattore correttivo utilizzato per il calcolo della frazione biogenica che non risulta appropriato a tutti i tipi di materiali, specie se costituiti da cellulosa o materiali lignei.

Altri gruppi di ricerca individuano inoltre come particolarmente critici nel calcolo della determinazione del contenuto biobased il fattore correttivo utilizzato per il frazionamento isotopico e soprattutto la presenza di componenti volatili la cui evaporazione può influenzare significativamente la misura della frazione biogenica determinando un’incertezza complessiva del metodo pari a circa il 3% [Quarta et al., 2013]. Si noti come un valore del 3% in questo tipo di analisi sia considerato accettabile, dato che in molti casi l’analisi del radiocarbonio raggiunge incertezze percentuali complessive anche inferiori. Questi limiti sono di gran lunga migliori di quelli mediamente ottenibili mediante le metodiche analitiche comuni, incluse le più raffinate.

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Il metodo di analisi del radiocarbonio per la determinazione della frazione biobased offre quindi un valido e potente strumento applicabile ad un’ampia gamma di prodotti per il controllo delle materie prime, l’ottimizzazione dei processi di sintesi, la certificazione di nuovi prodotti così come il controllo dei prodotti già presenti sul mercato, con ottime prospettive di mercato per questo stesso campo analitico.

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