Sessioni orali – Ecologia applicata, benessere animale e conservazione
STUDIARE NUOVE STRATEGIE CONTRO L’ACARO VARROA DESTRUCTOR: IL COMPORTAMENTO DI ALLOGROOMING IN APIS MELLIFERA
Rita Cervo, Adele Bordoni, Alessandro Cini, Iacopo Petrocelli, Immacolata Iovinella, Francesca Romana Dani, Stefano Turillazzi
Dipartimento di Biologia, Università degli Studi di Firenze
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Seppur l’acaro Varroa destructor rappresenti un problema relativamente recente per la nostra ape da miele, l’arrivo di questo parassita ha determinato sicuramente uno dei periodi più difficili per la sopravvivenza delle api e per l’apicoltura moderna. La lotta alla varroa è costante e richiede investimenti sia in termini economici che di tempo da parte degli apicoltori, che purtroppo spesso non ottengono neppure il risultato desiderato. Anche se molteplici sono state, nel tempo, le strategie di lotta proposte per contrastare la varroa, ad oggi nessuna soluzione sembra essere risolutiva; al momento, la strategia chimica è il rimedio universalmente adottato dagli apicoltori ma sicuramente l’individuazione di metodi alternativi all’uso di prodotti chimici è auspicabile. Un aiuto in tal senso può venire dalla conoscenza delle strategie messe in atto dall’ospite ancestrale della Varroa, l’ape asiatica (Apiscerana) che è nota essere capace di tenere “naturalmente” sotto controllo questo parassita. Tra queste strategie vi è il comportamento di “allogrooming”, ovvero la capacità di effettuare un’accurata pulizia del corpo delle compagne eliminando, quando presente, l’acaro. E’ noto che anche A. mellifera è capace di effettuare questo comportamento ma poca attenzione vi è stata posta finora. Il primo obbiettivo di questo lavoro è stato proprio quello di valutare la capacità di A. mellifera di eliminare la varroa grazie al comportamento di allogrooming. Semplici test comportamentali, condotti in condizioni controllate di laboratorio, hanno dimostrato che non tutte le operaie, ma solo le api specializzate nel comportamento di allogrooming sono capaci di eliminare con successo la varroa dal corpo delle compagne. Inoltre abbiamo voluto caratterizzare il profilo comportamentale delle “allogroomers” confrontandole con quello di api coetanee che non esprimono tale comportamento. I risultati mostrano che gli eventi di allogrooming registrati rientrano tutti in un intervallo temporale che va dal 3° al 15° giorno di vita delle operaie, indicando che l'espressione del comportamento è legata all'età. Inoltre, le “allogroomers” non sono specializzate nel compiere solo l’allogrooming ma svolgono tutte le mansioni coloniali di api di controllo di pari età. Abbiamo inoltre cercato segni di una specializzazione, confrontando in “allogroomers” e non le dimensioni delle mandibole, porzione boccale direttamente coinvolta nel comportamento, e l'espressione delle proteine antennali coinvolte nella chemorecezione (OBP e CSP). Le mandibole non mostrano differenze significative tra i due gruppi, in linea con una mancanza di specializzazione comportamentale. L'espressione delle proteine antennali è risultata quantitativamente maggiore nelle “allogroomers” rispetto ai controlli e qualitativamente differente; questo risultato, se confermato, potrebbe suggerire una maggiore specializzazione olfattiva per lo svolgimento del ruolo di “allogroomers” all’interno della colonia.
Sessioni orali – Ecologia applicata, benessere animale e conservazione
APPLICAZIONE DELLA SMRT PER IL CONTROLLO DI PROCAMBARUS CLARKII Martina Duse Masin, Sara Simi, Manuela Balzi, Paola Faraoni, Felicita Scapini, Laura Aquiloni Università di Firenze
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Le specie aliene invasive rappresentano una delle principali minacce per gli ecosistemi e la biodiversità ma, ogni forma d’intervento nei loro confronti si è spesso dimostrata inefficace. Innovativi metodi di controllo che si basano sulla biologia e sul comportamento specifico delle specie si stanno rivelando più efficaci rispetto ai metodi tradizionali di rimozione meccanica. Tra questi, la SMRT (Sterile Male Release Technique), ovvero il rilascio di maschi sterili in natura, potrebbe essere applicata anche al controllo di decapodi invasivi quali Procambarus clarkii considerato tra le 100 peggiori specie invasive d’Europa. Per aumentare il successo della SMRT è necessario sterilizzare maschi che presentino la maggiore probabilità di accoppiarsi senza alterarne il comportamento sessuale e la motivazione al corteggiamento, entrambi necessari al raggiungimento della copula. Per individuare la dose ottimale di raggi X da utilizzare a questo scopo, è stata quindi condotta un’indagine su 4 gruppi sperimentali, 3 gruppi (S1, S2, S3) trattati con radiazioni d’intensità crescente (20, 40 e 60 Gy) e un gruppo di Controllo (23 maschi di C, 19 di S1, 21 di S2, 21 di S3). Dopo il trattamento i maschi di ogni gruppo sperimentale sono stati accoppiati con femmine selvatiche per osservarne il comportamento e quantificarne l’output riproduttivo (17 femmine accoppiate a C, 17 a S1, 15 a S2, 16 a S3) in comparazione con il gruppo di controllo. I risultati mostrano che le radiazioni ionizzanti, per tutti i dosaggi considerati, non alterano il comportamento sessuale maschile né riducono la disponibilità delle femmine verso i maschi trattati, mentre l’analisi dell’output riproduttivo dimostra che il trattamento è in grado di modificare il successo riproduttivo alterando sia il numero di giorni necessari all’estrusione delle uova, sia abbattendo il numero di nuovi nati. In particolare, dosi crescenti di irraggiamento riducono progressivamente il numero di nascite del 50% utilizzando 20 Gy, del 52% a 40 Gy e del 65% a 60 Gy. Questi dati sono ottenuti da femmine che, prima di accoppiarsi con i maschi sperimentali, avevano effettuato un certo numero di copule con maschi selvatici nella stessa stagione riproduttiva. In questo modo, i risultati non quantificano la sterilità maschile indotta dal trattamento ma, piuttosto, indicano il potenziale abbattimento delle nascite che sarebbe possibile ottenere rilasciando un adeguato numero di maschi sterili in un sistema poliginico di accoppiamenti tipico di questa specie. Questo lavoro è stato svolto nell’ambito del progetto LIFE RARITY (LIFE/10/NAT/IT/000239).
Sessioni orali – Ecologia applicata, benessere animale e conservazione
DUE FACCE DELLA STESSA MONETA: EFFETTO DEL TRAINING SUL BENESSERE DEI PRIMATI NON-UMANI
Barbara Regaiolli1, Consuelo Scala2, Caterina Spiezio1
1Settore Ricerca e Conservazione, Parco Natura Viva, Bussolengo (VR), 2Dipartimento di
Bioscienze, Università di Parma
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Negli ultimi anni il training è divenuto sempre più diffuso nei moderni giardini zoologi e in altre strutture e sembra rappresentare una strategia ottimale per migliorare gli standard di gestione degli animali in ambiente controllato. Nonostante sia evidente che tale tecnica porti dei benefici sia agli animali sia a chi li gestisce e cura nella routine quotidiana, pochi studi hanno considerato gli effetti del training su comportamento e benessere delle specie in cattività. Questo lavoro è volto a valutare l’effetto di un periodo di training di isolamento sul comportamento e sul benessere di una colonia di cercopitechi grigio-verde (Chlorocebus aethiops) e una di lemuri catta (Lemur catta) ospitati al Parco Natura Viva. Durante tale training, ciascun soggetto doveva gradualmente imparare a entrare nell’area training e recuperare una ricompensa in isolamento dai conspecifici Per entrambe le specie, sono stati raccolti dati circa il comportamento dei soggetti prima (baseline) e dopo il training (post- training), per valutare l’effetto di tale procedura sul comportamento e benessere degli individui. Inoltre, per valutare la risposta di ciascun soggetto al training di isolamento, sono stati raccolti dati su comportamento e performance manifestati nel corso delle sessioni di training. I dati relativi a comportamenti sociali e individuali sono stati raccolti utilizzando la registrazione continua con campionamento ad animale focale. In sintesi, i risultati di questo lavoro hanno mostrato che ciascun soggetto sembra rispondere in modo diverso alla situazione di training, sia in termini di stress, sia di tempo necessario ad abituarsi alla nuova procedura ed effettuare correttamente le azioni richieste. Inoltre, poiché i comportamenti affiliativi vengono manifestati maggiormente dopo le sessioni di training rispetto che nella baseline, e non si evidenziano effetti negativi sui comportamenti manifestati, questa tecnica sembra avere effetti positivi sui primati non-umani. In conclusione, il training sembra essere una strategia valida non solo per la gestione quotidiana e la ricerca, ma anche in termini di benessere animale e coesione sociale.
Sessioni orali – Mini simposio “Sensi Speciali nell’Orientamento e nella Comunicazione”