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Chiesa Cattolica

Nel documento Dizionario della Costituzione (pagine 60-90)

I Patti Lateranensi, recepiti con la Costituzione Repubblicana del 1948, furono modificati solo nel 1984, da parte del Governo Craxi e del cardinale Casaroli, in seguito alla modifica della forma di Sta-to nel ’46 ed a notevoli mutamenti sociali. Il “nuovo” ConcordaSta-to affermava l’indipendenza e la sovranità di ciascuno dei due Stati ed, inoltre, annullava il principio secondo il quale la religione cattolica era la sola religione dello Stato Italiano. Dunque, in seguito a tali modifiche, l’Italia venne a delinearsi come “Stato laico” e non più “confessionale”. Ciò significava l’affermazione della propria indi-pendenza rispetto a condizionamenti di carattere religioso, ponendo tutte le confessioni sullo stesso piano.

A partire da questo momento, l’annosa questione riguardante i rapporti fra Stato italiano e Chiesa cattolica sembrò conclusa e fi-nalmente si ebbe l’impressione che entrambi le componenti avessero raggiunto un soddisfacente punto d’incontro. Tuttavia, sebbene dal punto di vista formale si presuppone che il problema sia stato risol-to, vari aspetti di questo rapporto sono tutt’oggi motivo di accese discussioni. Infatti, ad intervalli regolari, quest’ultime ci fanno dubi-tare dell’effettivo rispetto, da entrambe le parti, del principio di non ingerenza reciproca. In particolar modo determinati fatti di cronaca danno origine a dibattiti di ordine sociale, etico e politico, oggetto di una forte risonanza mediatica. Ad essi, puntualmente, intervengono numerosi esponenti delle gerarchie ecclesiastiche, finanche il Papa.

Benché le questioni trattate non sempre siano di fondamenta-le importanza, tuttavia, assai spesso, fondamenta-le discussioni che ne derivano raggiungono proporzioni esorbitanti. La causa di tale risonanza è da attribuirsi alla secolare tradizione cattolica italiana, della quale ve-diamo il risultato nell’ampia fetta di popolazione ancora oggi di fede cristiana. In seguito a ciò, la Chiesa gode di particolare influenza su questa parte di cittadinanza.

Un altro aspetto da analizzare, per meglio comprendere la note-vole portata mediatica che hanno queste discussioni, è il modo nel quale il tono delle affermazioni, seppur legittime, degli esponenti ec-clesiastici viene percepito. Infatti, da alcune persone è avvertito come dogmatico e autoritario. Ciò provoca un irrigidimento da parte di coloro che non condividono le posizioni prese dalla Chiesa rispetto a questi argomenti. Di conseguenza, nasce da entrambe le parti un

Chiesa Cattolica

reciproco rifiuto di ascolto, che alimenta una polemica infruttuosa e spesso anche dannosa.

Un ulteriore elemento di contrasto deriva dall’effetto che spessis-simo queste affermazioni hanno sulla classe politica. Quest’ultima, infatti, nonostante tutte le numerose possibilità che comunque i di-battiti offrono, sembra tuttavia attribuire un’eccessiva importanza all’opinione espressa dal Vaticano. Ciò fa riflettere su quanto effetti-vamente i due Stati siano “ciascuno, nel proprio ordine, indipendenti

e sovrani” (ex art. 7 Cost.), principio ribadito anche nel Concordato

del 1984. In tal modo, si ha l’impressione che il desiderio della Chie-sa di mantenere una certa influenza sulla penisola sia assecondato dalla classe dirigente italiana, per paura di perdere consensi. Come già accennato, tutto ciò crea un forte attrito fra la componente catto-lica e quella atea, che preclude uno scambio pacifico di opinioni.

Tuttavia, una convivenza più tranquilla non sarebbe impossibi-le, abbandonando le rigide posizioni assunte nel tempo da ambo le parti.

L’espressione delle proprie opinioni, elemento fondamentale per ogni democrazia, sarebbe assai più fruttuosa se accompagnata da un dialogo aperto e libero da preconcetti, maggiormente auspicabile per tutti e base di un rapporto più costruttivo, dagli effetti positivi per tutto il Paese.

Michele Alderighi, Olivia Ghezzani, Riccardo Giannelli, Margherita Lissia

In quanto derivazione da “cittade”, variante arcaica di città (dal lat.

Civitas, condizione di cittadino, cittadinanza; e civis, cittadino,

con-cittadino), il concetto di cittadino si sviluppa come conseguenza del-la nascita delle città e lo si può far risalire aldel-la formazione delle poleis nell’antica Grecia e alla Roma repubblicana.

Apparsa intorno all’VIII secolo a.C., la polis era organizzata auto-nomamente, ed era costituita non più da sudditi come nelle società antecedenti, ma da cittadini che esercitavano il proprio potere poli-tico tramite elezioni e assemblee. Per quanto la peculiarità della polis fosse l’isonomia (dal greco isos: uguale e nomos: legge) ossia l’ugua-glianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, la cittadinanza era la condizione unica dei figli di chi già era cittadino e il potere politico era esercitato unicamente dai maschi adulti e liberi.

Analogamente valeva nell’antica Roma, dove allo status di citta-dinanza erano inerenti dei diritti che si riconoscevano soprattutto nella tutela giuridica, della quale lo straniero (peregrinus) era del tut-to privo. Nonostante ciò la proclamazione dell’impero e la sua co-stante espansione costrinsero Roma a cedere alle pressioni dei popoli vinti che richiedevano il diritto di cittadinanza

Quindi già nell’antichità si sviluppava una problematica fonda-mentale della storia del diritto: la relazione dialettica tra cittadino e straniero.

Liceo Scientifico Marconi, Carrara Classe 5^F (prof. Maria Orsola Ulivi)

Il concetto di cittadinanza moderno nasce però a partire dalla rivoluzione francese e dalla Déclaration des droits de l’homme et du

citoyen (26 agosto 1789) e si ridefinisce alla luce di concetti quali

Stato, libertà, diritti, eguaglianza e Nazione. A partire dalla rivolu-zione francese la parola “cittadino” diviene simbolo dell’eguaglianza di tutti di fronte alla legge e il nuovo rapporto di cittadinanza non è più quello tra il cittadino e la città, ma quello tra il cittadino e lo Stato nazionale. I cittadini potevano così riconoscere nella Dichiara-zione tutto il loro valore umano.

A questo progressivo ampliamento dei diritti sul piano formale fa da contrappeso la selezione attraverso censo, vero detentore del po-tere elettivo e demarcatore della linea che distingue il cittadino attivo da quello passivo, sul quale si pronuncia solo Robespierre sancendo così il principio del suffragio universale maschile. È in direzione del-la più grande apertura cosmopolita del diritto, che neldel-la costituzione repubblicana del 1793 si può quindi leggere: “ogni uomo nato e

domi-ciliato in Francia, a ventun anni compiuti, è ammesso all’esercizio dei diritti di cittadino francese”(art. 4); inoltre è scritto che ogni straniero

domiciliato in Francia da un anno e che vi vive del suo lavoro e che infine “a giudizio del corpo legislativo, abbia bene meritato

dell’umani-tà, è ammesso all’esercizio dei diritti di cittadino francese”.

Progressivamente nel corso dell’Ottocento fino ai primi decen-ni del XX sec. è messa fortemente in discussione l’opidecen-nione diffusa sull’incapacità politica delle donne confermata dallo stesso codice napoleonico; ciò nonostante, pur trovando sostenitori del calibro di Charles Fourier in Francia e John Stuart Mill in Inghilterra, le donne ottennero la parità dei diritti unicamente nel novecento. In Italia furono ammesse al voto dal primo febbraio 1945.

In questi ultimi decenni difatti, il concetto di cittadino aveva su-bito un’involuzione come conseguenza del dirompente consenso che le teorie nazionalistiche riscontravano ed era arrivato drammatica-mente a iscriversi in quello astratto di razza che portò alle più atroci conseguenze. L’identificazione tra cittadinanza e nazionalità, tipica degli ordinamenti ottocenteschi, sviluppa qui in negativo, con il fe-nomeno del nazionalismo, il suo più alto livello di sintesi.

ecci-Cittadino

di hanno creato, nelle legislazioni moderne, a un’evoluzione dei diritti e delle Costituzioni non è corrisposta la sparizione di questa identità.

Oggi è cittadino colui che è riconosciuto dalla legge naziona-le come “appartenente allo Stato”, pertanto, la cittadinanza diventa un’attribuzione di diritto positivo che differenzia i presenti sul terri-torio in cittadini e stranieri.

Nella parte I della Costituzione italiana sono riconosciute tutte le libertà individuali dei cittadini italiani con i rispettivi diritti e doveri nella dimensione dei rapporti civili, etico-sociali, economici e poli-tici tra individui.

In una interessante direzione spinge l’Unione Europea che con l’art 8, comma 1, del Trattato di Maastricht del 1992, istituisce la “cittadinanza dell’Unione”, stabilendo che è cittadino dell’UE “chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro”. Le novità maggiori, sono evidenziati dall’art. 8 b, comma 1, che così recita: “ogni cittadino dell’Unione residente in uno Stato membro di cui non è cittadino ha diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni co-munali nello Stato membro in cui risiede, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato”.

Si potrebbe quasi distinguere una “cittadinanza locale” da una nazionale trovando conferma nel trattato di Amsterdam del 2 ot-tobre 1997 che afferma che “la cittadinanza dell’Unione comple-ta la citcomple-tadinanza nazionale, e non la sostituisce". Da ultimo il 29 novembre 2007 il Parlamento Europeo si è riunito per la decisione sull’approvazione della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. Dunque si sta indubbiamente verificando un progressivo allontanamento dal concetto unitario e monolitico della cittadinan-za nazionale, consentendo a tutti coloro che risiedono in una certa comunità una migliore integrazione nel tessuto sociale di quel terri-torio. L’esaurirsi della dimensione statalistica della cittadinanza, va così di pari passo con l’integrazione politica in un’istituzione sopra-nazionale che permette una miglior interpretazione democratica del concetto di cittadinanza stesso.

Se la Costituzione Italiana non esistesse, l’Italia non potrebbe reg-gere il confronto con le altre Nazioni moderne, ma per fortuna la Costituzione esiste da ormai più di sessant’anni. Tuttavia, dato che le condizioni della popolazione e lo stile di vita sono molto cambiati rispetto all’epoca in cui è stata promulgata, la Costituzione avreb-be bisogno di qualche aggiornamento (come evidenziano le notizie di cronaca degli ultimi tempi), non nella prima parte dove si parla dei Principi Fondamentali, bensì nella successiva dove sono trattati i compiti e le funzioni delle varie istituzioni dello Stato.

Laura Agnarelli

Se non fosse stata creata la Costituzione, ci sarebbe stata la man-canza di un’identità nazionale unica, la manman-canza di una Italia com-posta di italiani, che hanno in comune un obbiettivo, che si conside-rano parte di un unico popolo con un’unica bandiera, che mettono l’appartenenza davanti ad ogni ideologia.

Sofia Menicagli

Se la Costituzione non fosse rigida ma flessibile, gli uomini poli-tici potrebbero in qualsiasi momento cambiare queste fondamentali e solide leggi, a loro piacimento e in loro favore, e purtroppo talvolta potrebbero calpestare i diritti dei cittadini, sui quali invece la nostra

Liceo Carducci, Piombino (LI), Sezione scientifica Classe 2^A (prof. Fulvia Rosaria Costanzo)

Costituzione si fonda, e tutto questo senza tener conto della volontà del popolo.

Chiara Meini

Se la Costituzione non fosse stata promulgata, ci sarebbe sicura-mente un vuoto da colmare, perché, pur essendo l’Italia una Repub-blica, i cittadini non si sentirebbero parte di essa.

La Carta costituzionale è infatti quell’elemento che fa da tramite tra lo Stato e il Popolo e i suoi principi sono valori nei quali tutti si possono immedesimare e sentirli propri. Essa dà cioè un senso di stabilità e di forza ai suoi cittadini; in un periodo di instabilità eco-nomica e di incertezza per il futuro, come il nostro, la Costituzione è per il popolo come un faro per i naviganti.

Guido Cignoni

Se nelle scuole non venisse studiata la Costituzione, tutti i ragazzi crescerebbero nell’ignoranza, non capirebbero i principi fondamen-tali della vita sociale e si comporterebbero senza regole e senza vinco-li. Proprio per questo penso che attualmente la scuola italiana abbia fatto un buon balzo in avanti e se continuerà così alla fine i risultati arriveranno.

Forse, dopo che tutti impareranno a conoscere ed apprezzare la Co-stituzione, si verificheranno meno problemi nella società moderna e tutti potranno svolgere le loro attività con amore e dedizione.

Edoardo Cheli

Secondo la Costituzione, la scuola deve garantire quelle conoscenze di base che permettono a ognuno di comprendere e vivere la realtà. Se l’istruzione non fosse per tutti, potrebbe essere riservata solo ai più agiati e a seguito di ciò la società italiana potrebbe subire un grave regresso culturale: si ridurrebbero le conoscenze della lingua, della storia, dell’economia… e senza un minimo di sapere i cittadini potrebbero anche essere guidati da un governo, che impone leggi e doveri che essi non sono in grado di comprendere e contestare.

Costituzione

Un paese senza Costituzione vorrebbe dire un paese senza diritti e questo comporterebbe ancora caos e malcontento poiché chiunque potrebbe prendere il potere con violenza sottomettendo l’altro.

Ilaria Balzano

Se nella Costituzione non fosse stato inserito l’articolo 3 dei principi fondamentali, i cittadini non sarebbero risultati tutti uguali davanti alla legge; questo avrebbe fatto sì che le varie persone si sa-rebbero trovate in situazioni di grave disagio senza potersi appellare ad alcun diritto. Esse sarebbero state giudicate e trattate in maniera diversa secondo la loro posizione nella società, sia nei diritti che nei loro doveri.

IISS Leonardo da Vinci, Firenze Classi 4^A e 5^A Chimica (prof. Damiano Romagnoli)

Scusi… Lei cosa ne pensa?

Un gruppo di ragazzi della quarta Chimica dell’I.I.S. ”Leonardo da Vinci” ha deciso di contribuire alla realizzazione del progetto pre-visto dalla Regione Toscana e dalla Direzione Scolastica Regionale con una inchiesta su un tema della Costituzione. Un’indagine, re-alizzata nella zona centrale di Firenze, su un campione casuale di cittadini – fiorentini e non – il 22 novembre 2008, nel corso delle ore pomeridiane. Il lavoro svolto non ha alcuna pretesa scientifica, ma solo conoscitiva. Intendevamo tastare il polso, sebbene in modo un po’… artigianale, alle conoscenze dei nostri concittadini. I que-siti vertevano sulla Costituzione; due, in particolare, sull’articolo tre della legge fondamentale del nostro Paese. È comprensibile che l’uo-mo di strada possa non averlo presente, per questo agli intervistati veniva letto.

Il questionario completo, volutamente breve, per non creare disa-gio ai “malcapitati” era composto dai tre quesiti seguenti:

Lei sa cosa è la Costituzione? •

Se SI: conosce l’articolo tre? •

Si sente tutelato e difeso da questo articolo? •

L’inchiesta ha coinvolto 120 cittadini di cui il 40,80% donne e il 59,20% uomini

Costituzione

Lei sa cos’è la costituzione?

Il panorama ci è apparso un po’ deprimente: oltre i tre quarti dei nostri concittadini non conosce affatto cosa sia la Costituzione o comunque ha idee confuse e piuttosto sconnesse. La pensano come una generica raccolta di leggi, priva del valore fondativo di un patto tra liberi cittadini. Ci è venuto spontaneo chiederci se la scuola non avesse potuto fare di più per proporre una riflessione più attenta su questo tema, nel periodo della formazione degli Italiani. Ma ci ha rattristato maggiormente quel 2,50% di indifferenti. Per loro la Costituzione è una cosa che non suscita alcun interesse, è un ar-gomento inutile, sul quale non vale la pena dialogare. Per fortuna sono il 2,50%. Il 19,20% di persone consapevoli ci sembra piuttosto basso, per una società che normalmente definiamo democratica. La Democrazia passa dalla conoscenza e dalla consapevolezza dei propri diritti e dei propri doveri di cittadini. Se nemmeno un quinto della popolazione ha questa consapevolezza, qualcosa non funziona. Conosce l’articolo 3 della costituzione?

Il 93,30% lo ignora o lo confonde con altri articoli (più frequen-temente con il primo); solo il 6,70% degli intervistati ha saputo dare una descrizione, anche se sbrigativa e, a volte, un po’ sommaria dell’articolo. Noi riteniamo che sia uno degli altri articoli più im-portanti: in fondo è quello che assicura pari dignità e opportunità a ognuno di noi; impone allo Stato in quanto istituzione collettiva di “rimuovere gli ostacoli” che impediscono a ciascuno di sentirsi realizzato come persona. Ci viene da pensare che manca anche la consapevolezza di essere dei cittadini.

Si sente difeso dall’articolo 3 della costituzione?

A quanti avevano dichiarato di non conoscerlo, abbiamo letto l’ar-ticolo e abbiamo posto la domanda. Quanti si sentono difesi da tale articolo sono ben pochi. Appena il 5% degli intervistati è convinto che lo Stato faccia di tutto, o almeno qualcosa, per non discriminare nessuno e per assicurare a tutti gli stessi diritti e le stesse opportunità indipendentemente dalla religione, dalla razza e dalla situazione eco-nomica dei cittadini. Lo 0,80% ha preferito non rispondere, mentre il 94,20% ha risposto con un deciso “NO”. In realtà questo “No” non è stato poi così secco.

Questa è stata senza dubbio la domanda che ha suscitato maggio-re intemaggio-resse e quindi le risposte che abbiamo ottenute sono state più articolate sebbene, in fondo, avessero tutte lo stesso sapore: l’assenza di garanzie. Una buona parte ha affermato che dovrebbe essere così, ma in realtà non lo è; altri, invece, hanno sostenuto che lo Stato non fa niente per mantenere o assicurare questa uguaglianza. Una mino-ranza, al contrario, si sono improvvisati avvocati e si sono impegnati

Costituzione

nella difesa dello Stato: se nel nostro Paese manca l’uguaglianza è colpa dei cittadini che non si preoccupano o sono indifferenti ai reali problemi degli italiani e comunque, nella maggior parte degli Stati mondiali, la situazione è ben peggiore della nostra e quindi non abbiamo molti motivi per lamentarci.

Se ci è permessa una riflessione a margine di questa piccola, ma interessante esperienza diretta, vorremmo dire che oggi nel nostro Paese è necessario un più di informazione. Le molteplici risposte ricevute che siano state positive, negative, contraddittorie o addirit-tura silenziose, stanno a indicare che se un popolo è privo della co-noscenza dei propri diritti non avrà mai né gli strumenti né la forza per reclamarli. E questo vale per i giovani e per le persone mature. È dalla conoscenza che può nascere una partecipazione attiva e co-struttiva per una società diversa. La scuola può fare molto in questa direzione e ci/vi chiediamo se fa abbastanza.

M. Camilla Mancini, Leonardo Petronilli, Serena Parrini, Andrea Santoni

IPSAA Fantoni di Soliera Apuana (MS) Classe 4^A (prof. Francesca Vettori)

Relazione sull’indagine svolta all’interno dell’Istituto

Nei primi mesi di questo anno scolastico la nostra professoressa di Diritto ci ha proposto di aderire ad un progetto, messo a disposizio-ne dalla regiodisposizio-ne Toscana, che riguardava la Costituziodisposizio-ne italiana.

Abbiamo deciso di aderire e di scegliere di fare, invece del so-lito approfondimento o simili, una cosa nuova e interessante: una indagine interna al nostro istituto per scoprire quanto noi ragazzi sappiamo sulla Costituzione.

È stato così che noi alunni della IV A abbiamo elaborato, con l’aiuto dell’insegnate, un questionario semplice, relativo a cono-scenze essenziali, con domande aperte e chiuse, da far circolare nel-le diversi sedi dell’istituto e da rispondere in maniera anonima. Il questionario è stato distribuito a un campione di 160 studenti, non essendo possibile per motivi di tempo e di costi coinvolgere tutti gli iscritti (357 in totale).

Dalla correzione dei questionari restituiti, 155 in tutto, è emerso che tra noi ragazzi vi è una profonda insicurezza riguardo a certe nozioni e addirittura ignoranza rispetto ad altre. Si sono potute co-noscere le nostre lacune sull’argomento e quanto i ragazzi in genere siano poco interessati all’argomento che sarebbe in realtà fondamen-tale per tutti i cittadini e comunque per tutti quelli che vivono in Italia.

In particolare è risultato che:

la maggior parte dei ragazzi intervistati (120 su 155) ritiene •

di sapere a cosa serve una Costituzione, però solo una piccola parte è in grado di esprimerlo correttamente (44/155)

la maggior parte (95 su 155) dichiara di sapere quando è entra-•

ta in vigore la Costituzione, ma in realtà solo una piccola parte (43/155) sa indicare la data;

Costituzione

la maggior parte (92 su 155) conosce la ragione storica della •

festività del 2 giugno,

circa la metà dei ragazzi intervistati (74/155) dichiara di sapere •

da chi è stata scritta la Costituzione italiana, ma solo 49 sono in grado di indicare correttamente chi ha scritto la Costituzione; circa la metà (75/155) degli intervistati dichiara di conoscere •

gli effetti della rigidità della costituzione, solo 18 hanno però saputo chiarire il significato di tale caratteristica;

per quanto riguarda il carattere compromissorio della Costitu-•

zione, solo 45 su 155 dichiarano di conoscerne il significato,

Nel documento Dizionario della Costituzione (pagine 60-90)

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