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5. Dissertazione

5.2 Risultati e analisi dei dati raccolti attraverso le testimonianze

5.2.5 Il club è come una seconda casa: il concetto di place attachment

In quest’ultimo capitolo, andrò infine a svolgere una riflessione personale sul tema inerente al legame che gli intervistati hanno con l’ambiente fisico che ospita il Club’74, fattore che compare in modo indiretto dalle interviste, ma che specialmente si è sviluppato attraverso l’osservazione partecipata svolta durante la pratica professionale.

Osservando tramite una prospettiva fenomenologica, lo spazio della Valletta funge da cornice dell’insieme delle attività emotive, cognitive e comportamentali. A tal proposito, una citazione che ritorna più volte è “per me il Club rappresenta una seconda casa, un’altra famiglia”: questo porta a caratterizzarlo non solo come un contesto terapeutico (setting) ma conferma come esso richiami a legami affettivi e storici. Un luogo, insomma, che porta a un determinato piacere che, traslando (in parte) i concetti freudiani, rappresenta la scarica di tensioni in cui oggetti (luoghi) svolgono il ruolo di parafulmini, rendendo pertanto realizzabile la soddisfazione personale (Fenoglio, 2007). Un luogo, dunque, che pone continui stimoli, come sostiene anche Roberto, osservando che solo il fatto di avere un lavoro e di doversi recare a Mendrisio “mi

stimola ad alzarmi, a mettermi in ordine... a prendere il treno dal Luganese e venire qua. Non è solo uno stimolo ma anche un piacere, perché incontro sempre persone fantastiche”. La cosa che certamente emerge più di tutte, in riferimento a quanto già esposto, è la sua unicità, il suo essere “luogo differente dagli altri”, rimandando pertanto ai concetti teorici di place attachment (Vinardi citato in Fenoglio, 2007, pag. 91). Il place attachment si costruisce sulle riflessioni svolte da Bowlby relative alle figure d’attaccamento (in particolar modo quello materno)12: pertanto, potremmo osservare come esso può essere compreso in collegamento

con altri sistemi comportamentali e viene attivato e modulato dai cambiamenti che avvengono nell’ambiente (come ad esempio le separazioni). Più precisamente, secondo M.T Fenoglio l’attaccamento ai luoghi

“definisce un legame affettivo a una porzione di spazio significativa per l’individuo e, di conseguenza, individua un fenomeno complesso, ove la centralità della componente affettiva si accompagna al ruolo di cognizioni (pensieri, credenze, conoscenze) e comportamenti in relazione all’ambiente (Fenoglio, 2007, pag. 96).

Il luogo, in tal senso, rappresenta per la persona un posto sicuro e significativo a cui legarsi - come da bambini ci si lega alla madre che si prende cura di noi – che permette di fare esperienza, di sbagliare e di scoprire. Come osserva Adriano “Qua bene o male lo sbaglio è ammesso, come penso dovrebbe essere fuori, ma è difficile. Fuori se lavori da qualche parte, sbagli una volta e le porte si chiudono e chi si è visto si è visto.”

Con questo luogo, la persona struttura un legame di tipo affettivo, in cui ricercare sicurezza quando vi è bisogno, ma allo stesso tempo in cui prepararsi per una nuova esperienza, come una nuova possibilità lavorativa. Quindi, se durante il ricovero lo spazio del Club diventa per la persona “la figura d’attaccamento” che si prende cura dell’Io, della sua persona nella ripresa della quotidianità, con il tempo esso rimane un porto in cui ancorare in cerca di benefici. In alcuni casi poi questo diventa un luogo di passaggio, in altri invece esso assume connotati statici in cui rimanere. Tale scelta, è in molti casi dettata anche dalle difficoltà che persistono con la realtà esterna a quella della Clinica. La società odierna infatti risulta ancora squalificante, seppur chiaramente non secondo i criteri del secolo scorso, ma è ancora possibile incontrare opinioni giudicanti verso determinati gruppi della popolazione, che nel corso della loro vita sono confrontati con un ricovero e che a causa di questo non vengono più ritenuti abili al lavoro. In casi di questo tipo, facendo riferimento alla terminologia sociale di Ivan Illich, la società si trova ad essere poco conviviale, ovvero poco disposta a permettere all’uomo di muoversi ed esercitare le proprie azioni in modo autonomo e utilizzando strumenti e risorse non controllate dai canoni della società stessa (Illich, 1974, pag. 48).

Ciò non significa che non sia in grado di accettare in essa la sofferenza psichica, ma piuttosto permangono ancora delle difficoltà nell’accogliere quest’ultima come un fattore possibile, normale e altamente presente nella popolazione. Questo quindi porta ancora a cercare delle soluzioni che permettano il mantenimento di una certa distanza da certi aspetti come quelli sopra esposti.

12 Egli sosteneva infatti che l’essere umano, ma nello specifico il bambino ha la tendenza spontanea a creare dei

legami affettivi con la figura d’attaccamento che si prende cura di lui (solitamente la madre), denotando come la perdita di essa può portare a conseguenze e turbamenti nelle varie fasi evolutive (Manzocchi, modulo Cicli di vita, 2016)

La lettura che viene fatta dalla Psicoterapia Istituzionale sul concetto del luogo-club, a mio avviso, si differenzia parzialmente da quelle indicate in precedenza, seppur facciano parte di una corrente di pensiero parallela. Oury, nei suoi scritti e nelle sue riflessioni infatti, riteneva di estrema importanza la capacità di adattare il luogo. Era quindi fondamentale che i pazienti stessi si sentissero partecipi del luogo, che lo facessero loro nel senso più famigliare possibile. Oury, seppur con terminologie differenti sottolinea l’importanza dell’identity place nella sopravvivenza stessa della persona. La differenza consistente sta però nella lettura che egli aveva del luogo, che come detto più volte doveva svolgere una funzione mediatrice. Il Club quindi doveva essere un non-luogo in quanto doveva trovarsi in qualsiasi spazio o reparto della Clinica stessa, proprio per riuscire a ricreare questa affinità con ogni luogo e trasformarlo in oggetto transizionale, favorendo pertanto l’assunto di base della psicoterapia che è la libera circolazione delle persone (come più volte citato). Una libera circolazione che porta a creare degli spazi in cui ognuno può muoversi liberamente, facendoli propri e conseguentemente vadano ad adattarsi alle esigenze di qualsiasi persona, che essa sia con tendenze nevrotiche o psicotiche (Callea, 2000; Oury, 1976).

6. Conclusioni e riflessioni personali

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