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COETZEE E I PAESAGGI (ROMANTICI) DELL’ANTIUTOPIA: DISGRACE

Nel documento Coetzee e i classici, l’umanesimo, il mito (pagine 153-181)

Mauro Pala

Per un paesaggio morale

A buon diritto possiamo parlare di una graduale e plane- taria trasformazione dell’ideologia in imagologia1.

In Disgrace (1999) la descrizione del paesaggio, inteso non solo come ambiente naturale ma anche insieme di inter- ni e scorci urbani, costituisce un tema centrale del romanzo, nel senso che questa descrizione, spesso affidata solo a brevi cenni, sintetizza, con drammatica intensità, la concezione del mondo del protagonista David Lurie. Quest’ultimo pre- senta delle ovvie analogie con lo stesso Coetzee, sia per la professione, l’età, la residenza, seppure lo scrittore si rifiuti sistematicamente di sottoscrivere le affermazioni di una sua creatura letteraria, pur non rinunciando ad un complesso gioco di allusioni: come in altre sue opere, anche in Disgrace, Coetzee mette in atto una tecnica narrativa su diversi livelli, una strategia che comunque svincola l’autore da una presa di posizione esplicita nei confronti della realtà del suo

tempo. Una scelta del genere costringe il lettore a confron- tarsi letteralmente con l’ambiguità del testo, che mette così in luce le “verità oscure della condizione umana”2. Accettare

la proposta interpretativa avanzata da Derek Attridge cen- trata sul superamento dell’allegoria non significa ritenere che Coetzee non si pronunci sulle condizioni storiche e, per molti versi, antropologiche del presente3, anzi; piuttosto que-

sto giudizio va colto fra le righe, scavando fra patenti con- traddizioni del testo che volutamente4 non sfociano in una

risoluzione o in qualche forma di catarsi.

2 “These proposed allegorical meanings vary in their specifi city. At one ex- treme, manifested in many journalistic reviews, the novels [by Coetzee] are said to represent the truths- frequently the dark truths- of the human condition. So- mewhat more narrowly, they may be taken to allegorize the confl icts and abuses that characterize the modern world or that have been fully acknowledged only in modern times. But there is a different and more specifi c type of allegorization that Coetzee’s fi ction invites, deriving from the widespread assumption that any responsible and principled South African writer, especially during the apartheid years, will have had as a primary concern the historical situation of the country and the suffering of the majority of its people. The consequence of this assump- tion is the impulse to translate apparently distant locales and periods into the South Africa of the time of writing and to treat fi ctional characters as represen- tatives of South African types or individuals”. D. ATTRIDGE, “Against Alle- gory. Waiting for the Barbarians, Life & Times of Michael K, and the Question of Literary Reading”, in J. POYNER (ed.), J.M. Coetzee and the Idea of the Public

Intellectual, Ohio University Press, Athens, 2006, pp. 63-64.

3 “The real truth, he suspects, is something far more – he casts around for the word – anthropological, something it would take months to get to the bottom of, months of patient, unhurried conversation with dozens of people, and the offi ces of an interpreter”. J.M. COETZEE, Disgrace, Vintage, London, 1999, p. 118. In seguito i riferimenti a Disgrace verranno indicati tra parentesi nel testo con il numero di pagina.

4 Coetzee è convinto che la critica letteraria non sia in grado di defi nire e formulare una verità sulla letteratura, visto che la letteratura stessa non è in grado

Proprio per questo motivo la descrizione dell’ambiente costituisce una prospettiva obliqua e immanente allo stesso tempo, conforme a questa complicata e paradossale relazio- ne fra autore e personaggio, e proprio l’ambiente, nella sua apparente neutralità, risulta essere, oltre che una preziosa fonte di indizi sul pensiero di Coetzee, uno strumento della sua poetica. Attraverso accenni sparsi al bush o alle periferie degradate di Cape Town è possibile così ricostruire un atteg- giamento non solo verso quel mondo, ma un’intera visione, estetica e politica insieme, dello scrittore sudafricano; i luo- ghi di Disgrace infatti non rappresentano soltanto situazioni tipiche, generalmente contesti di crisi per il Sudafrica post-

apartheid, piuttosto sono funzionali rispetto ad una conce-

zione della letteratura che sopravanza la storia. Coetzee sostiene infatti che, accanto a una forma di letteratura sussi- diaria rispetto alla storia e dipendente da questa per le modalità narrative, ne esiste un’altra, cui egli evidentemente aspira, che rivaleggia con la storia, dotata di un proprio spa- zio autonomo capace di mettere in luce lo statuto mitico della storia stessa5. L’ambiziosa scelta di puntare sul roman-

zo per evidenziare i limiti ontologici della parola – impresa da cui, per il suo stesso statuto, la scrittura storica general- mente rifugge – rende la scrittura di Coetzee affine rispetto alle teorie di Blanchot o di Levinas, mentre lo affianca a

di dire la verità. Forse, egli aggiunge ironicamente, la critica non è in grado di dire perché “it wants the literary text to stand there in all its ignorance, side by side with the radiant truth of the text supplied by criticism, without the latter supplan- ting the former”. J.M. COETZEE, Truth in Autobiography, Inaugural Lecture, University of Cape Town Press, Cape Town, 1984, p. 6.

Greenblatt per ciò che concerne la sottile cautela rispetto ai rischi di una narrazione univoca; senza entrare nel merito delle complesse questioni che tutto ciò comporta, mi limito a sottolineare che, in una simile prospettiva ermeneutica sul mondo, la descrizione dei luoghi in Disgrace svolge una fun- zione non complementare rispetto alla parola, ma sostitutiva, nel senso che la contestualizzazione della fabula nei luoghi mostra dove la parola non può arrivare: in altri termini, i luoghi contengono in sé un giudizio morale su quanto avvie- ne nella fabula.

David Lurie, docente di Comunicazione presso la Cape Technical University – dopo che il dipartimento di Lettere classiche e moderne è stato chiuso a seguito di una “raziona- lizzazione” – viene querelato per una relazione occasionale con una sua studentessa. Dinanzi al comitato dei colleghi incaricati di valutare la querela contro di lui, egli reagisce alle accuse rifiutando un’ammissione di colpa che rappre- senterebbe la salvezza a livello professionale. L’atteggiamento passivo da parte di Lurie sorprende se si considerano le sue indubbie capacità retoriche, ma le motivazioni di un appa- rente fatalismo emergeranno soltanto nel corso dell’esilio volontario successivo a tale vicenda. Lurie rappresenta, come la figura del Magistrato in Waiting for the Barbarians, la signora Curren in Age of Iron e, soprattutto, Dostoevskij in The Master of Petersburg, la figura dell’intellettuale chia- mato a cimentarsi in una sfera a lui ignota e a pronunciarsi, nel corso di tale prova, su un malessere più generale. Coerentemente rispetto a questo schema, Disgrace si svilup- pa tra l’ambiente metropolitano di Cape Town, dove David Lurie risiede ed insegna, e la tenuta in campagna di sua figlia

Lucy: due mondi, due culture che si fronteggiano senza pos- sibilità di mutua comprensione, due paesaggi antagonisti,

Landscapes are culture before they are nature; con- structs of the imagination projected onto wood and water and rock. But it should also be acknowledged that once a certain idea of the landscape, a myth, a vision, establishes itself in an actual place, it has a peculiar way of muddling categories, of making metaphors more real than their refe- rents; of becoming, in fact, part of the scenery6.

Paesaggi culturali che smentiscono, anzitutto, il luogo comune dei grandi orizzonti che dovrebbero caratterizzare la geografia africana, con quel corollario esotico dove gli Occidentali riscoprono un’armonia bucolica primigenia. Al contrario degli scenari celebrati – e ideologizzati – dalla Blixen o da Hemingway, in Disgrace abbiamo vegetazione brulla e rarefatta, zone circoscritte, ambienti che quasi sem- pre appaiono come dei vicoli ciechi rispetto al mondo circo- stante. Facendo ricorso ad una metafora cinematografica,

Disgrace rifugge da panoramiche o ampie carrellate per con-

centrarsi su primi piani e dettagli a prima vista di nessuna importanza, posti sotto una lente di ingrandimento con un’attenzione pervicace, osservati con l’occhio del vivisetto- re o con l’impassibilità di un entomologo. Il romanzo si svi- luppa dunque nel senso di una crescente claustrofobia, con una predominanza di interni: l’alternanza fra squallide peri-

ferie suburbane e scorci del semidesertico karoo definisce una geografia emozionale ricorrente nell’intera opera di Coetzee.

La vicenda fallimentare di David Lurie può essere vista come una perdita del territorio, e, in questo senso, rivisita indirettamente un’opera di fondazione della letteratura sudafricana come The Story of an African Farm (1883) di Olive Schreiner. Dopo la Gordimer e la Lessing, anche Coetzee esprime, seppure indirettamente, un suo giudizio su quest’opera epica, riprendendo quanto già fatto in The

Heart of the Country (1977), Waiting for the Barbarians

(1980) e Foe (1986), dove egli aveva articolato, servendosi, fra altri strumenti narrativi, anche del paesaggio, un bilancio giudicato da molti negativo sulle prospettive di riuscita per la sofferta convivenza nel Sudafrica. Quella che però emerge da Disgrace non è una critica circostanziata della politica condotta dall’African National Congress, quanto invece una diagnosi disperante sulla condizione umana; le coordinate topografiche definiscono uno sfondo sociale esemplare, in cui la vicenda del romanzo va delineandosi come un’antiuto- pia di luoghi. Luoghi reali e immaginari hanno lo stesso peso nella comprensione del testo, come viene reiterato dalla fuga impossibile di David Lurie nell’universo immaginifico della lirica romantica. E proprio il ruolo del paesaggio nella poe- sia romantica fornisce una chiave di lettura per Disgrace, allo stesso tempo etica e poetica.

La teodicea – assente – del paesaggio romantico

“Sai dove vado?” domandò K. “Sì” rispose Frieda.

“E non mi trattieni più?” disse K. “Troverai tanti ostacoli” disse lei, “che cosa conterebbero le mie parole al confronto?”7.

We also first beheld

Unveiled the summit of Mont Blanc, and grieved To have a soulless image on the eye

That had usurped upon a living thought That never more could be.

“So. The majestic white mountain, Mont Blanc, turns out to be a disappointment. Why? Let us start with the unusual verb form usurp upon. Did anyone look it up in a dictionary?”

Silence.

“If you had, you would have found that usurp upon means to intrude or encroach upon. Usurped, to take over entirely, is the perfective of usurp upon; usurping completes the act of usurping upon. The clouds cleared, says Wordsworth, the peak was unveiled, and we grieved to see it. A strange response, for a traveller to the Alps. Why grie- ve? Because, he says, a soulless image, a mere image on the

retina, has encroached upon what has hitherto been a living thought. What was that living thought?”

Silence again. The very air into which he speaks hangs listless as a sheet. A man looking at a mountain: why does it have to be so complicated, they want to complain? What answer can he give them? What did he say to Melanie that first evening? That without a flash of revelation there is nothing. Where is the flash of revelation in this room? (Disgrace, 21).

La visione del Monte Bianco nel libro VI del Prelude di Wordsworth, il senso di delusione e disappunto che coglie il poeta quando si trova dinanzi al monte, la realtà che non può eguagliare un’immagine coltivata nel profondo dell’ani- mo. Il manifestarsi del reale è “privo di anima” rispetto a quanto si è concepito con l’immaginazione. Rivolto ai suoi studenti, Lurie richiama alcuni dei temi centrali nella critica letteraria del Romanticismo, dall’estetica del sublime al ruolo del poeta come ricettacolo delle suggestioni che hanno origine nella natura, ma soprattutto, a corollario e fulcro del suo discorso, Lurie mette l’accento sui limiti della percezio- ne sensoriale:

Look at line 599. Wordsworth is writing about the limits of sense perception. It is a theme we have touched on befo- re. As the sense-organs reach the limits of their powers, their light begins to go out. Yet at the moment of expiry that light leaps up one last time like a candle-flame, giving us a glimpse of the invisible. The passage is difficult: perhaps it even contradicts the Mont Blanc moment.

Nevertheless, Wordsworth seems to be feeling his way toward a balance: not the pure idea, wreathed in clouds, nor the visual image burned on the retina, overwhelming and disappointing us with its matter-of-fact clarity, but the sense image, kept as fleeting as possible, as a means toward stirring or activating the idea that lies buried more deeply in the soil of memory (Disgrace, 22).

I sensi ingannano, e Wordsworth cerca perciò di trascen- derli, alla ricerca di un’idea che riesca ad attuare, rispetto alla natura, una corrispondentia oppositorum tra il sublime terrificante e la serenità che nasce dal bello.

Nonostante si renda rapidamente conto della futilità dei suoi sforzi per spiegare il concetto romantico e, ancor più, della difficoltà di una definizione – e non solo rispetto alla platea degli studenti – Lurie cerca – e continuerà a cercare nel corso di tutta la sua vicenda in Disgrace – proprio quella visione capace di “riattivare l’idea sepolta nel suolo della memoria”. “Una ricognizione estensiva dell’area semantica della visione conduce rapidamente ai confini del visibile in natura: lungo i quali, o già oltre gli stessi, si innestano espe- rienze diversamente legate allo sguardo. Inganni ottici, allu- cinazioni, visioni, sogni e rêveries, sinestesie, fantasmagorie, norme ed eccezioni del fenomeno del buio e del luminoso, in tutti i casi si tratta di una tensione di fondo che matura e si coglie, attraverso i testi, fra verbalizzazione e regno – per estensione – delle immagini”8.

8 M. FARNETTI, L’irruzione del vedere nel pensare. Saggi sul fantastico, Cam- panotto, Udine, 1997, p. 9.

Il paesaggio amplificato in visione introduce così quello che è un tema centrale della scrittura di Coetzee, l’anelito ad una localizzazione decentrata, anzi letteralmente fuori di sé, che coincide con la sua idea di estasi: “a kind of ek-stasis, a being outside oneself, a being beside oneself, a state in which truth is known (and spoken) from a position that does not know to be the position of truth”9. Significativamente, l’esta-

si si realizza nella follia, e l’elogio della follia di Erasmo trova un corrispettivo nel volontario decentramento – e dunque la totale identificazione con le sue creature letterarie10 – in

Byron, il quale definisce questa sua condizione di migrante esistenziale nella poesia Lara.

He stood a stranger in this breathing world, An erring spirit from another hurled;

A thing of dark imaginings, that shaped

By choice the perils he by chance escaped (Disgrace, 32).

La presenza in Disgrace dell’amante di Byron, Teresa Guiccioli, presenza analoga a quella di varie altre protagoni- ste di sbieco nei romanzi di Coetzee, mette in atto un’estasi a partire dai luoghi. Scenari mutuamente incongrui – la pro- vincia del Capo e la Ravenna romantica – ma, in quanto tali, indici di una trasgressione che Coetzee attua a livello di poe-

9 J.M. COETZEE, Erasmus’ Praise of Folly: Rivalry and Madness, in “Neophi- lologus”, 76, 1992, n. 1, pp. 1-18: 10.

10 “As we saw last week, notoriety and scandal affected not only Byron’s life but the way in which his poems were received by the public. Byron the man found himself confl ated with his own poetic creations – with Harold, Manfred, even Don Juan” (Disgrace, 31).

tica, nel senso di una violazione rispetto al canone della narrazione romanzesca. “Una trangressio che potrebbe anche essere un’infrazione: non si può varcare un limite senza uscire dalla norma” ma un’infrazione che comunque “si qualifica a livello simbolico nei luoghi poiché trasgredire significa uscire per hybris dal proprio spazio per entrare in uno spazio straniero”11. La trasgressione attuata nei luoghi

riverbera sulle parole già nell’estetica romantica dove, da Coleridge a Keats, si evidenzia non solo la tensione fra immagini e parole, ma anche la volontà delle immagini – l’urna greca, l’usignolo – di liberarsi dalle definizioni per palesarsi in tutta la loro pienezza semantica.

L’anelito alla pienezza della parola che è destinato a resta- re frustrato, costituisce, in termini ermeneutici, anche il senso dell’originalissima autobiografia, allo stesso tempo

Bildungsroman e Künstelrroman12, che è il Prelude di Wordsworth.

Tumult and peace, the darkness and the light, Were all like workings of one mind, the features Of the same face, blossoms upon one tree, Characters of the great Apocalypse, The types and symbols of Eternity,

Of first and last, and midst, and without end (VI, 567-572)13.

11 B. WESTPHAL, Geocritica. Reale Finzione Spazio, Armando, Roma, 2009, p. 63.

12 M.H. ABRAMS, Natural Supernaturalism. Tradition and Revolution in Ro- mantic Literature, Norton, New York, 1973, p. 74.

13 W. WORDSWORTH, Il preludio, in M. BACIGALUPO (a cura di), edi- zione con testo originale a fronte, Mondadori, Milano, 2000, p. 230.

Il successo dell’impresa biografica e poetica in The

Prelude dipende da un costante e fruttuoso scambio tra la

mente e la natura. La natura infatti attribuisce senso agli episodi più significativi nell’esistenza dell’individuo, in cui si alternano percezioni piacevoli e terribili, tutte sempre ricomposte però sotto il controllo della mente, in una sintesi disciplinata.

Fair seed-time had my soul, and I grew up Foster’d alike by beauty and by fear (I, 305-306).

The mind of man is framed even like the breath And harmony of music; there is a dark

Invisible workmanship that reconciles Discordant elements, and makes them move In one society (I, 351-355)14.

Attraverso gli interessi romantici di Lurie, Coetzee dà voce alla nostalgia per questa presenza immanente della natura che conferisce senso all’esistenza mondana: egli sa che solo la consapevolezza dell’elemento naturale può infat- ti aprire alla nostra coscienza anche la dimensione immagi- nifica dell’inconscio.

“Wordsworth is writing about the Alps,” he says. “We don’t have Alps in this country, but we have the Drakensberg, or on a smaller scale Table Mountain, which we climb in the wake of the poets, hoping for one of those revelatory,

Wordsworthian moments we have all heard about.” Now he is just talking, covering up. “But moments like that will not come unless the eye is half turned toward the great archetypes of the imagination we carry within us” (Disgrace, 23).

Il riferimento a Wordsworth in Disgrace rappresenta un passaggio molto importante nell’economia del libro, visto che attraverso la riflessione sulla natura e sul paesaggio si allude a una dimensione piena della percezione, centrata sull’epifania e svincolata dalla razionalità. L’epifania è la dimensione salvifica e l’orizzonte utopico di Lurie. Il luogo dove l’epifania può manifestarsi è indifferente – le Alpi o la catena montuosa sudafricana del Drakensberg – ciò che conta è il nostro atteggiamento, o, in altre parole, la ricetti- vità nei confronti dell’immaginazione. Servendosi dell’intui- zione naturale di Wordsworth, Lurie individua una sfera etica che diventa anche la sua meta in veste di biografo byro- niano. Disgrace dimostra però che quel fragile equilibrio postulato da Wordsworth si è dissolto, e l’impresa di Lurie risulta anacronistica, condannata al fallimento dall’assenza di un contesto culturale appropriato o, metaforicamente, di un palcoscenico per la sua messa in scena.

Le strategie narrative stranianti adottate da Coetzee, cen- trate su filtri che segnalano la distanza fra il personaggio e l’autore, suggeriscono cautela rispetto a facili identificazioni, ma i motivi per cui Lurie si richiama a Wordsworth e, in parte, a Byron, ripropongono alcune delle convinzioni – eti- che e poetiche insieme – dell’autore. In particolare Disgrace drammatizza l’incapacità dell’intellettuale di uscire dalla sua

sfera di competenza e di operare nella sfera pubblica15, muo-

vendosi verso l’esterno – il mondo – in quello schema bipo-

Nel documento Coetzee e i classici, l’umanesimo, il mito (pagine 153-181)

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