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1. Prima di addentrarci nel cuore del nostro lavoro ‒il cui scopo è quello di chiarire, nei limiti del possibile, le questioni storiche, politiche, retoriche, giuridiche e giudiziarie collegate al personaggio di cui abbiamo appena tracciato la biografia e di offrire un commento alle testimonianze e ai frammenti della sua oratoria che siano giunti siano a noi‒, ci sembra opportuno fornire qualche breve cenno introduttivo su alcuni fondamenti metodologici del presente studio. Il primo aspetto del nostro lavoro che salta all'occhio è che esso ha per oggetto un autore la cui produzione140 è andata totalmente perduta e ci è restituita da testimonianze successive, in primo luogo ciceroniane: riprendendo un'immagine adoperata da Pepe141 per la narrativa latina, si può infatti affermare che l'oratoria preciceroniana sia andata incontro ad un "immenso naufragio", la cui causa si può ricercare in parte nella mancata pubblicazione della grande maggioranza dei discorsi, in parte proprio nell'assoluta eccellenza, riconosciuta già dai contemporanei, dell'eloquenza dello stesso Arpinate, la quale indusse a non

138

MEYER 1970, pagg. 21-23. 139

Per tutte le questioni relative al piano legislativo di Druso, all'opposizione di Filippo e al ruolo di Crasso rimandiamo all'oraz. IX, In senatu adversus L. Marcium Philippum consulem.

140

Naturalmente i termini "autore" e "produzione" hanno nel nostro caso valore solo relativo, date le specificità dell'oratoria rispetto agli altri generi più prettamente letterari.

141 P

32

trascrivere più le orazioni dei suoi predecessori142. Proprio questa situazione generale ha spinto molti studiosi, a partire già dal XIX secolo, a raccogliere in sillogi le testimonianze e i frammenti di discorsi che non furono mai trascritti e divulgati oppure lo furono, ma poi andarono perduti: principale scopo di queste opere è sicuramente, come scrive Most143, "to concentrate information otherwise widely disseminated". Di queste raccolte ottocentesche, un quadro generale delle quali è stato fornito qualche anno fa da Andrea Balbo144, la più nota è sicuramente quella di Meyer, in due edizioni145, che abbraccia sia l'epoca repubblicana sia quella imperiale e che, pur con tutti i suoi limiti, rappresenta ancora oggi per l'età imperiale (o meglio post-tiberiana) il punto di riferimento imprescindibile di qualunque studio sull'argomento. Diversa è però la situazione per quanto concerne l'oratoria di epoca repubblicana, per la quale un fondamentale progresso è stato compiuto nel secolo scorso dall'insigne filologa Enrica Malcovati con i suoi Oratorum Romanorum fragmenta liberae rei publicae: la raccolta, che conobbe ben quattro edizioni progressivamente perfezionate (1930, 1955, 1967, 1976), rappresenta tutt'oggi la base imprescindibile per qualunque lavoro sull'eloquenza romana precedente a Cicerone; essa pertanto costituisce il fondamento da cui ha preso le mosse il presente lavoro.

Scendendo più nei dettagli, della raccolta della Malcovati sono qui seguiti i seguenti elementi: selezione e numerazione dei passi riportati e commentati; loro ripartizione tra passi introduttivi e passi ascritti a singole orazioni; numerazione e denominazione delle orazioni. Diverse sono però le divergenze. Innanzitutto, quando la studiosa riporta un frammento o una testimonianza inserendone il contesto in nota, questo è stato da noi incluso nel passo vero e proprio; inoltre in molti casi brani di autori antichi sono lì riportati come termini di paragone, senza che se ne citi il testo per esteso e senza che essi rientrino nella numerazioni dei passi, mentre noi abbiamo preferito citare e commentare anche questi passi: per non perdere la corrispondenza con il computo della Malcovati, questi sono indicati non con numeri aggiuntivi, ma annettendo a quelli già presenti gli avverbi numerali latini bis, ter, quater, quinquies,

142

Cfr. LEEMAN 1974, pag. 47: “Se la nostra conoscenza degli oratori pre-ciceroniani è scarsa, è colpa di Cicerone: la sua grandezza eclissò tanto i suoi predecessori quanto i suoi contemporanei”.

143

MOST 1997, pag. VII. 144 B

ALBO 1997.

145 La seconda è citata nel nostro lavoro come M

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sexies e septies (così ad esempio per le testimonianze indicate con i numeri da 2 a 2-

septies). Con questo metodo, peraltro, sono indicati non solo i brani riportati dalla Malcovati come semplice termine di confronto, ma anche quelli che nella silloge della studiosa mancano del tutto, ad ognuno dei quali è stata annessa in nota la precisazione "Questo passo è assente in ORF 1976"; va detto comunque che nella maggioranza dei casi queste fonti erano con ogni probabilità note alla studiosa, la quale dunque scelse consapevolmente di non inserirle: la differenza del nostro lavoro non è quindi di più approfondita conoscenza, ma puramente di selezione del materiale (vedi infra). Ancora, tre testimonianze sono state spostate rispetto alla sede nella quale compaiono negli Oratorum Romanorum fragmenta: si tratta di Val. Max. III 7, 6, che la Malcovati inserisce tra le testimonianze generali sull'eloquenza di Crasso, mentre noi abbiamo spostato nell'oraz. I, In C. Papirium Carbonem, come fr. 14-sexies; di Cic. Off. II 63, che la studiosa ascrive all'oraz. II, De colonia Narbonensi, come fr. 17, mentre noi all'oraz. V, Suasio legis Serviliae, come fr. 23-ter; e di Cic. De orat. II 242, spostato dall'oraz. XII, Pro C(n). Planc(i)o contra M. Iunium Brutum146 (fr. 47), alle testimonianze incertae sedis (fr. 53). In un paio di casi, poi, si è ritenuto opportuno ampliare qualche passo riportato dalla studiosa (è il caso ad esempio del fr. 8, Cic. De

orat. II 228, al quale noi abbiamo aggiunto il § 229), ma in questo caso non ci è parso

necessario precisare in nota un tale intervento. L'ultimo brano riportato e commentato nel nostro lavoro (Plin. Nat. XXXV 25, fr. 54), infine, è assente nella raccolta della Malcovati, anche se, come vedremo, per deliberata (e giustificata) scelta147.

2. La pubblicazione e/o il commento di testimonianze di natura indiretta pone evidentemente delle questioni esegetiche e filologiche differenti rispetto a quelle che si affrontano quando si lavora su un testo giunto in forma completa (ad esempio, un'orazione di Cicerone). Il primo problema che emerge è evidentemente quello di distinguere tra testimonianza e frammento: Balbo148 giustamente scrive (pag. 11) che "nell'ambito della filologia classica e della scienza dell'antichità pochi concetti sfuggono ad una definizione precisa come il frammento e la testimonianza" e poco dopo

146

Orazione che la Malcovati denomina semplicemente Pro Cn. Planco contra M. Iunium Brutum, ma il nome preciso dell'imputato, come vedremo, è incerto.

147

La testimonianza con ogni probabilità non va ascritta a Crasso ed è stata inserita nel nostro lavoro solo a scopo di completezza.

148 B

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aggiunge (pagg. 13-14) che nel suo lavoro, un commento agli oratori di età augustea e tiberiana, si intende per frammento ogni testo che fornisca informazioni su un'orazione, mentre testimonianza un testo che tratti in generale dell'attività letteraria e dell'eloquenza di un oratore. I due concetti naturalmente hanno valore puramente convenzionale, come convenzionale in generale è la lingua quale strumento comunicativo; nel nostro lavoro, comunque, ci atteniamo alla definizione tradizionale secondo la quale per frammento si intende una citazione letterale di un'orazione, mentre per testimonianza un'informazione su Crasso o su un suo discorso; per conservare la numerazione dei passi effettuata dalla Malcovati, comunque, questa distinzione non implica una divisione in due gruppi degli stessi, i quali sono indicati sempre, in forma abbreviata, come "fr." (cfr. ad esempio Cic. Brut. 138, fr. 1, che è a tutti gli effetti una testimonianza, non un frammento).

Altri aspetti metodologici che si pongono all'attenzione di chi pubblica (o, nel nostro caso, commenta) frammenti o testimonianze sono poi segnalati da Grilli in un suo contributo "Sui criteri per l'edizione di frammenti filosofici"149. Lo studioso affronta anzitutto (pagg. 3-5) la questione delle fonti e spiega, tra l'altro, che la loro varietà e molteplicità rendono indispensabile l'impiego di edizioni critiche di qualità: questa precisazione è naturalmente condivisibile e a tal proposito specifichiamo che i nostri (minimi) interventi testuali sulle edizioni di riferimento usate, indicate nella bibliografia, sono sempre giustificati nel commento, così come le non numerose riflessioni di tipo prettamente ecdotico, limitate ai punti dove esse avessero un'effettiva importanza in relazione al significato del testo150. La seconda questione che Grilli pone (pag. 5) è relativa al contenuto del lavoro: quanto materiale fornire? Su questo punto ci limitiamo a precisare che seguiamo il medesimo criterio adoperato da Balbo nel lavoro summenzionato151: tra il rischio di fornire troppo materiale e quello di fornirne troppo poco, ci è sembrato preferibile correre il primo, lasciando che fosse il lettore a valutare la pertinenza e l'utilità del materiale proposto; è a questa scelta, come accennato, che va ascritta la presenza, nel nostro lavoro, di materiale sensibilmente più cospicuo rispetto a quello accolto dalla Malcovati nella sua silloge.

149 G

RILLI 1992.

150

Cfr. Cic. De orat. I 225, fr. 24, e Top. 44, fr. 31-bis, in relazione rispettivamente alla congiunzione nisi e alla forma verbale instituissent.

151 Cfr. B

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C'è poi, oltre alla questione del contenuto, anche quello della forma (pagg. 5-11): come fornire questo materiale? A questo proposito, non si può che sottoscrivere il pensiero di quanti152 pongono l'accento sulla necessità di valutare e anzi trascrivere il contesto dei brani riportati, vale a dire di comprendere perché un autore cita un testo, come lo fa (più o meno precisamente, più o meno interamente e così via) e che tipo di "quoter"153, "citatore", è (è onesto? A quali testi ha accesso?): sulla base di questa convinzione, tutte le introduzioni dei brani commentati nel nostro lavoro si soffermano anzitutto su una ricostruzione di questo contesto, indispensabile, tanto a chi scrive quanto a chi legge, per comprendere il senso della testimonianza o del frammento. Ultima questione affrontata da Grilli è quella relativa alla collocazione dei frammenti (pagg. 12-14): lo studioso spiega che bisogna distinguere, dove possibile, tra le diverse opere di un autore e che all'interno di un'opera è opportuno disporre i frammenti secondo uno sviluppo logico; quanto alla numerazione, egli sostiene, tra l'altro, che bisogna evitare di riportare più volte lo stesso testo e che si deve cercare di ridurre i frammenti incertae sedis, ricorrendo a delle collocazioni possibili, anche se non cogenti. Per quanto riguarda la questione delle ripetizioni, si tratta dello stesso criterio da noi adoperato con la testimonianza contenuta in Cic. Orat. 223, che la Malcovati nella sua silloge riporta sia tra le testimonianze introduttive dell'eloquenza di Crasso (fr. 9, pag. 239) sia come parte del frammento di sede incerta 52a (pag. 259), ma che nel nostro lavoro compare solo in questa seconda sede; per i frammenti incertae sedis, invece, ci siamo attenuti agli Oratorum Romanorum fragmenta, ma abbiamo dovuto aggiungere un passo (Cic. De orat. II 242, fr. 53) che la Malcovati ascrive all'oraz. XII,

Pro C(n). Planc(i)o contra M. Iunium Brutum, come fr. 47 (pag. 257), ma per il quale

non ci è sembrato di poter proporre una collocazione sufficientemente attendibile, e un altro (Plin. Nat. XXXV 25, fr. 54) del tutto assente nella raccolta della Malcovati. A queste considerazioni aggiungiamo soltanto che del tutto condivisibili risultano due rilievi di Most154: non si deve sempre pensare che un frammento sia una "sineddoche" del testo perduto ("there is a certain tendency to regard fragments as partes pro toto, as though they contained locked within their narrow compass the secrets of the

152

Oltre allo stesso Grilli, ad esempio MOST 1997, pagg. VI-VII. 153 M

OST 1997, pag. VII. 154 M

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author's work as a whole"); ogni tipo di frammento è diverso da un altro (ne esistono di poetici, filosofici, storici) quanto a motivi e precisione della citazione e questo vale anche per i frammenti oratorî, che hanno le proprie specificità.

Entrando più nello specifico del contenuto del nostro lavoro, rileviamo anzitutto che, come accennato, i primi brani che commenteremo costituiscono, secondo lo schema della Malcovati, delle testimonianze generali sull'eloquenza di Crasso: la sua straordinarietà oratoria, l'eccellenza nell'uso dell'umorismo, la scelta di trascrivere o meno i propri discorsi e così via. Ciascuno di questi passi sarà corredato di traduzione155, introdotto da una breve presentazione generale che ne chiarisca il contesto ed eventualmente approfondisca delle questioni che esso fa sorgere e infine accompagnato dal vero e proprio commento, nel quale ci si soffermerà sui punti ritenuti meritevoli di maggiore attenzione: a seconda delle esigenze contingenti, questo commento potrà vertere su aspetti retorici, storici, giudiziari o politici legati all'autore o anche potrà contenere brevi discussioni ecdotiche su punti del testo dubbi o comunque da approfondire. Sostanzialmente analogo è il metodo di analisi impiegato per le testimonianze e i frammenti di sede incerta e per quelli afferenti alle singole orazioni della carriera di Crasso (naturalmente, quelle la cui esistenza è ricostruibile); ciascuna orazione, però, sarà aperta da un'introduzione schematica che esamina alcuni aspetti notevoli del discorso nel suo complesso. Per i discorsi di tipo giudiziario relativi a processi pubblici tale schema è composto dalle seguenti voci: numero del processo in ALEXANDER 1990 (un ricco repertorio di informazioni sui

procedimenti giudiziari del periodo tra il 149 e il 50 a.C.); data; imputazione; reus/rea; avvocato/-i del reus/della rea; accusator; esito; premessa (in questa sezione sono approfondite volta per volta tematiche utili alla comprensione dell'orazione, ad esempio la biografia del personaggio o dei personaggi in esso coinvolti e le implicazioni politiche della causa). Il medesimo modello è seguito anche nell'introduzione all'oraz. XV, Testimonium in causa M. Marcelli, dove è stata aggiunta la voce "testimone dell'accusa". I nomi dei personaggi citati sono sempre riportati nella forma completa (praenomen, nomen, cognomen) e accompagnati, con l'eccezione naturalmente di

155

Tenendo conto del fatto che la grande maggioranza dei brani è tratta dal De oratore o dal Brutus, abbiamo cercato di mantenere ‒dove possibile e a nostro parere consigliabile‒ il tono dialogico e colloquiale dell'esposizione (anacoluti, periodi lunghi, ripetizioni di parole a breve distanza).

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Crasso, dalla collocazione nella "Realencyclopädie". Naturalmente le possibilità di approfondimento variano tra un argomento e l'altro e soprattutto tra un'orazione e l'altra: per limitarci ad un unico esempio, la sezione "Data" è in alcuni casi trattata con estrema brevità in quanto la cronologia dell'orazione è certa (cfr. oraz. VI, Pro Q.

Servilio Caepione), in altri, al contrario, solo accennata per l'impossibilità di collocare

nel tempo il discorso (cfr. oraz. XIII, Pro C. Sergio Orata contra Considium) e infine in alcuni esaminata molto approfonditamente per l'estrema difficoltà (ma non l'impossibilità) di dirimere il problema (cfr. oraz. II, De colonia Narbonensi). Pressoché identica, poi, è la modalità adoperata per i discorsi pronunciati nel corso di processi privati, ma con le seguenti distinzioni: non si parla di "imputazione" ma di "oggetto" della causa; la voce accusator è sostituita da petitor (chi intenta una causa civile); al posto di "avvocato del reus" si ha "avvocato del petitor". Quanto ai discorsi non giudiziari ma deliberativi, infine, l'introduzione si compone di sole tre voci: data; esito; premessa.

Per quanto riguarda la bibliografia, che riporta tutte le opere citate anche una sola volta e quelle che hanno contribuito alla formazione delle idee per il presente lavoro, essa è divisa in tre sezioni: "Testi, edizioni critiche e commenti"; "Dizionari, lessici e repertori"; "Studi". Vi figurano naturalmente anche le abbreviazioni che si sono adoperate nel corso del lavoro: si è scelto infatti di citare gli studi moderni e le traduzioni di opere antiche con il metodo cosiddetto anglosassone. Fanno eccezione solo poche opere delle prime due sezioni, per le quali si è preferito utilizzare un acronimo, quasi sempre di uso invalso,: così GL corrisponde ai Grammatici Latini; MRR 1951 e 1952 ai due volumi del noto repertorio di Broughton "The magistrates of the Roman Republic"; OLD a "Oxford Latin dictionary"; ORF alla già citata silloge della Malcovati Oratorum Romanorum fragmenta; RE alla "Realencyclopädie" (indicata non con l'anno di pubblicazione, ma con il numero del volume); RLM ai Rhetores Latini

minores. I contributi sono riportati in bibliografia secondo l'ordine alfabetico delle

abbreviazioni, cioè dei cognomi o delle sigle. Quando di un autore compaiono diversi contributi editi nello stesso anno, questi sono distinti da un numero racchiuso tra parentesi quadre, in base ai seguenti criteri: se questi contributi compaiono in diverse sezioni della bibliografia, seguiamo l'ordine con cui compaiono nella bibliografia stessa (così CANCELLI 2010 [1] e CANCELLI 2010 [2]); se invece figurano nella medesima sezione

38

della bibliografia e sono anche pubblicati nella stesa sede, cioè in uno stesso volume, ci adeguiamo all'ordine in cui sono collocati appunto in questo volume (GABBA 1973 [1],

[2] e [3]; SERRAO 1974 [1] e [2]; RAWSON 1991 [1] e [2]; NARDUCCI 2007 [1] e [2]); se infine

si trovano nella stessa sezione della nostra bibliografia, ma sono editi in sedi diverse (ad esempio, due periodici), seguiamo l'ordine alfabetico dei titoli dei contributi (BADIAN 1956 [1] e [2]; BADIAN 1968 [1] e [2]; GRUEN 1968 [1] e [2]; GRUEN 1971 [1] e [2];

MARSHALL 1976 [1] e [2]). Per quanto riguarda autori e opere della letteratura latina e greca, essi sono citati non secondo le abbreviazioni del Thesaurus linguae Latinae (ThLL) e del dizionario Liddell-Scott-Jones (LSJ), canoniche ma non sempre perspicue, bensì secondo quelle più ‒in un certo senso‒ moderne del dizionario di latino curato da Conte, Pianezzola e Ranucci e della seconda edizione di "The SBL handbook of style", pagg. 141-168 (in quest'ultimo caso, con lievi modifiche). Conclude il nostro lavoro un indice dei passi commentati.

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TESTIMONIANZE DI CARATTERE GENERALE

1. Cic. Brut. 138

Quam multi enim iam oratores commemorati sunt et quam diu in eorum enumeratione versamur, cum tamen spisse atque vix, ut dudum ad Demosthenen et Hyperiden, sic nunc ad Antonium Crassumque pervenimus. Nam ego sic existimo, hos oratores fuisse maximos et in his primum cum Graecorum gloria Latine dicendi copiam aequatam.

Quanti oratori infatti sono già stati ricordati e da quanto ci occupiamo di elencarli; e ora, sebbene lentamente e a stento, tuttavia, come poco fa siamo giunti a Demostene e Iperide, così adesso giungiamo ad Antonio e Crasso: infatti io penso che essi sono stati i più grandi oratori e che in loro per la prima volta la ricchezza dell'eloquenza latina ha eguagliato la gloria di quella greca.

Com'è noto, la parte quantitativamente più cospicua (e storicamente più importante) del Brutus è composta da un'amplissima retrospettiva storico-critica sulla storia dell'eloquenza greca e latina: Cicerone ripercorre, con grande acribia e con una ricchezza di informazioni derivatagli dalle ricerche svolte in parte da lui stesso e in parte dall'amico Attico156, lo sviluppo storico cui l'arte della parola era andata incontro prima in Grecia, cioè ad Atene (cfr. §§ 26 e soprattutto 49), e poi a Roma, dove, partendo da inizi pressoché improvvisati, l'eloquenza si era progressivamente elevata ai livelli di un'ars sempre più raffinata. La costante ascesa della disciplina, realizzatasi attraverso figure di spicco quali Catone, Scipione Emiliano, Caio Lelio e i Gracchi, aveva raggiunto secondo Cicerone l'apice con i suoi due maestri, Marco Antonio e Lucio Licinio Crasso, eccezionali oratori vissuti a cavallo tra il II e il I secolo a.C. (rispettivamente Antonio tra gli anni 143 e 87, Crasso tra il 140 e il 91): dei due personaggi, già ampiamente presentati e caratterizzati qualche anno prima nel De

oratore, e della loro eloquenza l'Arpinate si accinge dunque a fornire un'ampia

descrizione, così da rendere giustizia alle loro straordinarie capacità espressive.

156 Sulle fonti e il metodo di lavoro seguiti da Cicerone per la stesura del Brutus un buon quadro generale è fornito da NARDUCCI 2013 [intro], pagg. 23-29.

40

Nel suo ampio saggio concernente le idee romane sul progresso, Antoinette Novara157 ha studiato tra l'altro le grandi digressioni del Brutus per dimostrare come esse siano funzionali all'idea di evoluzione nell'arte e in particolare nell'eloquenza; alle pagg. 224-227 la studiosa si sofferma sull'oratoria della seconda metà del II secolo a.C. e spiega che il progresso dell'eloquenza romana, con la sua quota di determinismo quale emerge dal resoconto ciceroniano, aveva senza dubbio raggiunto con Crasso e Antonio un livello tale da poter rivaleggiare con l'eloquenza greca158; non si può non rilevare, tuttavia, che al § 161, fr. 22, lo stesso autore parla di Crasso come di una

prima maturitas dell'eloquenza romana: con lui, infatti, l'arte della parola aveva

indubbiamente raggiunto un'altissima qualità, "a tal punto che quasi nulla vi si sarebbe potuto aggiungere, se non da chi fosse stato più preparato nei campi della filosofia, del diritto civile, della storia" (ut eo nihil ferme quisquam addere posset, nisi qui a

philosophia a iure civili ab historia fuisset instructior). Quest'ultima precisazione

permette di comprendere che agli occhi di Cicerone il suo maestro aveva raggiunto un livello ‒se così si può dire‒ di perfezione parziale o di quasi-perfezione, essendo egli privo solo di una più profonda preparazione dottrinale che gli avrebbe permesso di risultare davvero ineccepibile e quindi sostanzialmente insuperabile. Alle osservazioni della studiosa aggiungiamo solo due postille: che Cicerone, parlando di un possibile ulteriore miglioramento dell'eloquenza latina, pensa senza dubbio a sé stesso159 e che la medesima idea emerge dal § 254, dove Bruto, rivolgendosi proprio al Cicerone interlocutore del dialogo, afferma che con lui finalmente i Romani erano arrivati ad eguagliare, se non addirittura a superare, i Greci nell'unico campo nel quale erano

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