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“Anche il nostro riminese teatro è stato calcolato con il modulo della colonna di facciata - esistono peraltro due tipi di colonne: i due ordini della facciata, le colonne degli atrii e delle scale, e le colonne più piccole della sala, e le colonne a loro volta ritmano e segnano le proporzioni delle pareti in lungo e in largo, come in ogni edificio classico che si rispetti.”93

La struttura deve essere portante, pertanto deve essere attuata precedentemente agli apparati decorativi. A colonna terminata saranno montati i supporti preparati in banco, in modo da stuccarli successivamente e rifinirli secondo le tecniche dello stucco lucido eseguito a freddo.

La direzione lavori per quanto concerne gli apparati decorativi avrà un approccio orientato e predisposto al controllo sistematico delle lavorazioni eseguite. Quindi la sequenza dei controlli sarà effettuata in maniera dettagliata per ogni tipologia di opera e dei relativi materiali costituenti.

Altra criticità su cui la metodologia dell’A.D.A. deve ripiegarsi è il rapporto tra decorazioni ed effetto della materia.

A questo, nel testo monografico già citato di Genesio Morandi, viene lasciato ampio

93 (Rimondini e Giovagnoli 2004), p.10.

Figura 83: Disegno del progetto delle paraste di raccordo tra proscenio e palco. (A.C.R.)

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spazio nella sezione quarta a pagina 65 dal titolo “Opere che decorano il teatro”, infatti, dopo aver affermato che i materiali e la loro lavorazione sono specifiche del teatro di Rimini, molto più avanti l’autore afferma: “Ma avanti di innoltrarci alle grandi opere di Pitture e Sculture di quei sommi artisti italiani condotte in questo monumento, meritano in vero speciali parole due singolari lavorazioni che preparano così regale campo a queste più sublimi vò dire gli Stucchi lucidi e ad intaglio, e le dorature”.

È abbastanza semplice capire che si rimanda a stucchi a base di gesso e non a base di calce, ma soprattutto ad una presenza significativa di doratura tradizionalmente non illuminata dalle relazioni tecniche.

Al contrario, nel capitolo predetto, molte sono le citazioni di forme di decorazione e le relative tecniche e vi è anche la comparsa di materiali particolarmente rari come l’alabastro.

Per prima cosa viene esaltata la presenza del gesso là dove dice: “In particolare per quella candidezza che è atta ad ammettere in sé qualunque rappresentazione e a servire di campo a tutte le forme e a tutti i colori”94.

Il testo permette di entrare in contatto anche con lo stuccatore Giuliano Corsini, che viene esaltato come lunga mano dell’architetto, nel punto in cui scrive: “iuno intagliatore di stucchi e scagliole poteva sentire l’ideale delle greche decorazioni, e consì rara finezza e purità operarli siccome Giulio Corsini che a tal genere di bello artistico aveva potuto educarsi nella scuola medesima del Poletti”95.

Per noi oggi è difficile comprendere esattamente la terminologia di cantiere della prima metà del XIX secolo e anche sapere individuare perfettamente cosa si intendesse per stucco lucido, stucco intagliato, scagliola, a causa della diversità dell’utilizzo della terminologia tecnica nei diversi periodi storici.

94 (Morandi 2000).

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Ne possiamo cogliere semplicemente gli obbiettivi e i risultati nella prosa del libro di Genesio Morandi, anche se forse non del tutto collimanti con l’idea del Poletti: “E primieramente dicendo delle scagliole o degli stucchi lucidi tanta è la cognizione che il Corsini ha dei materiali in cui opera, che essi sotto la impareggiabile sua mano assumono la potenza di simulare ogni più fine e raro marmo”96.

A questo punto si palesa un disvelamento sui marmi presenti: “come la breccia di Italia bianca e il marmo grigio degli Atrii”97.

Si tratta comunque di materiali conosciuti, anzi quasi comuni, ma ecco che l’Autore si lascia andare ad una ulteriore precisazione: “O meglio ancora l’alabastro, il famoso marmo di quella regione che trova l’essenza dei suoi monumenti riprodotta quasi in ogni parte di questo Teatro”98.

L’A.D.A. deve tener presente queste precise notazioni se vuole ricomporre l’immagine cromatica e formale della sala.

La tavolozza dei marmi utilizzati non si esaurisce così semplicemente e come esempio vengono presi in considerazione “il cipollino e il marmo egizio”99 che l’autore ricorda della stessa natura delle colonne del tempio di Antonino e Faustina.

Genesio Morandi introduce anche l’uso del giallo antico, che sembra disperso in ogni dove “finalmente un più originale e sorprendente artificio di simulato marmo nelle basi delle colonne degli atrii e della sala teatrale e su molte fasce del suo magico soffitto, artificio del cui quasi non avvii più prezioso marmo che nell’apparente prestigio l’uguagli”100.

96 (Morandi 2000) 97 Ibidem. 98 Ibidem. 99 Ibidem. 100 Ibidem.

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Oltre alla presenza dei decori del Corsini l’Autore sottolinea decisamente la presenza dei doratori fratelli Pasquale e Giuseppe Fiorentini, anch’essi toscani e allievi del doratore Bianchi di Firenze.

Senza poter documentare ulteriormente si può ipotizzare che le dorature eseguite nel Teatro del Poletti fossero state eseguite con la tecnica fiorentina e non al guazzo veneziano.

Comunque bisogna che il “cantiere dei decori” consideri fondamentale questa presenza cromatica forte, quella appunto della doratura sugli stucchi.

Infatti, sempre il testo citato riporta “i due primi piani di quella sala sono logge di marmo e oro, degne di sedervisi dei principi: gli ornamenti intagliati con dorature su fondo bianco, sono di una magnificenza abbagliante, e i soli fiorenti erano degni di dipingere ad oro gli intagli a stucco del Corsini con la conoscenza profonda delle sostanze cui obbedisce il substrato e della conoscenza altrettanta del vero metodo d’adoprarle e cui esse stesse obbediscono, i fiorentini ne ottengono un effetto che sorprende”101.

Su tale linea filologica si deve allineare il pensiero sotteso alla ricostruzione, per programmare le fasi esecutive di cantiere, che trovano realizzazione nello stretto rapporto operativo tra il decoratore ed il progettista per affrontare sinergicamente la creazione che si plasma nella progressione produttiva dell’opera.

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