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Commento teologico-spirituale

Nell’apprestarci a commentare le cinque visite alcune premesse sono d’obbligo. Anzitutto si presenta il problema di come armonizzare le di-verse fonti di cui disponiamo (cfr. § 2). Data la natura del fenomeno che attestano e forti di quanto da noi mostrato nel § 1, abbiamo deciso di se-guire come testo base la Cronaca di Bonetti, integrando questa narrazione soprattutto con gli interventi autografi di don Bosco sulla lettera di Bar-beris. Non riteniamo infatti fondamentale arrivare alle ipsissima verba di

84 F. RinalDi, Il Giubileo d’oro delle nostre Costituzioni, 196.

85 Sull’ascesi salesiana in riferimento al pergolato di rose: cfr. J. auBRy, L’Esprit invite à accepter avec courage l’ascèse apostolique, in Avec Don Bosco vers l’an 2000, Casa Generalizia Salesiana, Roma 1990, 162-165. Si veda inoltre: A. GiRauDo, Il senso dell’a-scesi nella spiritualità giovanile di san Giovanni Bosco, «Catechesi» 75/4 (2006) 58-63;

iD., «Se l’educatore si mette con zelo all’opera sua…». L’ascesi e la gioia dell’educare nello spirito di don Bosco, in F. PeRRenchioetalii, La vita spirituale come impegno, LAS, Roma 2004, 87-102.

86 Un cenno rimarrebbe da fare alla presenza dei temi dei quali ci stiamo occupando nei testi di letteratura spirituale salesiana che hanno rappresentato una sorta di classici nei decenni orsono. Spesso l’intento di questi scritti non è storico bensì prettamente spi-rituale e/o pedagogico, per cui sono passibili di inevitabili osservazioni quanto all’utiliz-zo delle fonti. Rimane vero, però, che si tratta di pagine che interpretano con profondità il carisma e il vissuto del fondatore collocandosi nel solco di quella tradizione viva e esistenziale di cui tutti abbiamo beneficiato e che continua a costituire uno dei riferimen-ti essenziali nell’assimilazione vitale del carisma. Cfr. i volumi di E. Ceria (E. ceRia, Don Bosco con Dio, Roma 1988, capp. VIII e XI), A. Caviglia (A. caviGlia, Conferenze sullo spirito salesiano, Centro Mariano Salesiano - Istituto Internazionale don Bosco, Torino 1985, capp. IV e X), P. Brocardo (P. BRocaRDo, Don Bosco. Profondamente uomo profondamente santo, LAS, Roma 20014, cap. VIII della Parte prima e capp. I e V della Parte seconda), F. Desramaut (F. DesRamaut, Don Bosco e la vita spirituale, Elle Di Ci, Torino-Leumann 1969, capp. III e VI). La lista potrebbe allungarsi, e di molto, fino ai pregevoli studi di A. Giraudo che non citiamo rimandando al suo contributo in questo volume.

don Bosco (che, tra l’altro, si riferirebbero a quanto visto 17 anni prima):

sarebbe non solo un compito impossibile ma decisamente inutile ai fini di un’ermeneutica teologica della visione. Siamo propensi a considerare le cinque visite non come esperienze oniriche bensì come autentiche visioni immaginative, assolutamente compatibili anche con la veglia e con il modo in cui don Bosco narra tali eventi e la coscienza che, degli stessi, egli ebbe.

Una seconda premessa è dovuta alla lunghezza del testo: un commento esaustivo di esso richiederebbe molta più ampiezza rispetto a quella di cui disponiamo. Si tratterà quindi, nel nostro caso, dell’individuazione di al-cuni vettori di senso e delle loro coordinate narrative, bibliche e teologico-spirituali, che avviino, più che esaurire, il confronto con questa magnifica pagina di spiritualità salesiana.

In un primo tempo seguiremo la narrazione di Bonetti nei suoi snodi fondamentali in modo da poter ricostruire la trama delle cinque visite, con una successiva messa a fuoco del dato biblico che, in filigrana, percorre tutta l’esperienza riportata. Secondariamente entreremo nella sezione di commento prettamente teologico con la sottolineatura di alcuni temi spi-rituali e la proposta di una loro comprensione dentro un quadro di riferi-mento trinitario.

3.1. Struttura del testo e rimandi biblici

Di fondamentale importanza ai fini della nostra analisi è il fatto che nella Conferenza del maggio 1864 don Bosco incastonò la comunicazione delle visioni all’interno del racconto delle vicende dell’Oratorio migrante.

È così che ci troviamo di fronte, per così dire, a un “racconto nel raccon-to”, in quanto le cinque visite perseguono una trama logica stringente che si viene gradualmente manifestando all’interno degli eventi intercorsi a don Bosco e ai suoi giovani. Già questo dato è significativo e tipico dei fenomeni di visione, nei quali e attraverso i quali – come abbiamo visto nel caso di molti santi (cfr. il punto 1.3 del § 1) – Dio gradualmente svela la missione del chiamato e lo conferma e consola nelle fatiche e avversità che essa comporta. Che l’orizzonte della missione sia quello all’interno del quale comprendere il senso delle cinque visite lo indica chiaramente il modo stesso in cui Bonetti titola l’argomento della Conferenza: «Motivo che indusse D. Bosco a darsi tutto all’educazione della gioventù, e a stabili-re la congstabili-regazione di S. Francesco».87 Dedizione alla gioventù e

fondazio-87 Cronaca, 9.

ne della Congregazione vengono così ad essere intrinsecamente connesse come aspetti dell’unica missione donata a don Bosco (così come le MO iniziano con la vita stessa di Giovanni).88 Anche la premessa che il santo fa ci indirizza verso una comprensione delle visite come autentici fenomeni mistici: da una parte egli obbliga i presenti a non far parola con alcuno di quanto avrebbero udito (anche nell’eventualità di una loro uscita dalla Pia Società); dall’altra don Bosco dichiara espressamente che alla titubanza e incertezza se raccontare o no tali fatti rispose il loro permanere fissi nella mente anche dopo la preghiera. Si tratta, in questo caso, di una evidente esperienza di discernimento spirituale tipica del metodo ignaziano volta a riconoscere, attraverso la preghiera, la provenienza e l’origine di un pen-siero. Confidando che la comunicazione di questi pensieri torni a maggior gloria di Dio, il santo decide di raccontare tutto ai suoi figli. Cos’è questo tutto? Non certo e non tanto i fatti che seguono e che erano già più che noti ai presenti. Il tutto di cui parla don Bosco non può che essere allora l’appa-rire chiaro e preciso di Dio come guida e protagonista della storia dell’O-ratorio e dei suoi sviluppi. In questa linea vanno le affermazioni tutt’altro che retoriche che spesso don Bosco fa in merito al suo vincere il disagio nel raccontare fatti che potevano sembrare una celebrazione di sé, in quanto convinto che in essi fosse da riconoscere solamente l’opera della grazia.

3.1.1. La tensione dinamica delle cinque visite.

Il contesto immediato nel quale le visite hanno inizio è il momento in cui, dopo i primi faticosi tentativi di radunare i giovani e quando le cose cominciano ad andare bene,89 don Bosco si trova davanti ai primi sfratti ed è angustiato per il rischio che l’Oratorio corre di rimanere senza alcun luo-go. Una lettura semiotica della narrazione invita a considerare questa fase come la posizione di un’evidente situazione di ostacolo nei confronti della quale il personaggio protagonista non dispone delle competenze per su-perarla. Occorre l’intervento di qualcuno che, essendo competente, possa dare nuovo impulso all’azione. È ciò che avviene esattamente attraverso le

88 Cfr. Saggio introduttivo di A. GiRauDo, L’importanza storica e pedagogico-spiri-tuale delle Memorie dell’Oratorio, in G. Bosco, Memorie dell’Oratorio di S. Francesco di Sales dal 1815 al 1855, LAS, Roma 2011, 5-49.

89 Per don Bosco, il modo di radunare i giovani è la vera difficoltà della missione giovanile: cfr. Piano di Regolamento per l’Oratorio maschile di S. Francesco di Sales in Torino nella regione Valdocco e Cenno storico dell’Oratorio di S. Francesco di Sales, cit. Qui la difficoltà aggiuntiva è la mancanza di un luogo ove radunare i giovani.

visite fatte a don Bosco. Possiamo dire che le prime quattro sono incentrate sul dove, sul luogo, in corrispondenza a quanto il santo vive. Corrispon-denza che, però, è tutt’altro che banale o piana in quanto lo costringe a un ingaggio serio e sofferto della propria libertà. Nella prima visita don Bosco vede una casa: non vi sono audizioni, ma il sito indicato gli è così familiare che il mattino seguente (di qui la contiguità tra visione e sogno) don Bosco si reca a vederlo. E qui interviene un primo elemento di difficoltà: la casa veduta è un luogo di vizio, tanto che don Bosco, umiliato, ritiene la visione frutto dell’inganno demoniaco. La seconda visita ha le stesse dinamiche della prima, visione della casa senza alcuna audizione, ed è significativo che il giovane sacerdote si rechi nuovamente a vedere, versando questa volta amare lacrime alla vista di un sito così inadatto ai suoi giovani.90 Le lacrime sono foriere di una risoluzione: don Bosco rimette il superamento di questa illusione alla potenza della preghiera. L’entusiasmo con il quale si era lanciato sul luogo visto cede il passo all’umile richiesta di luce da parte di Dio. La nuova disposizione del protagonista (l’umiltà è condizione dell’ascolto) permette ora, nella terza visita, un notevole salto qualitativo della visione, la quale è arricchita di un’audizione. La visione non è cam-biata, si tratta sempre della stessa casa, ma questa volta interviene una voce a rassicurare don Bosco:

ed ecco una terza visita, nella quale mi fu fatta vedere la stessa casa, e questa volta una voce udii che mi disse: – Non temere di andare in questa casa. E non sai che Iddio può dalle spoglie e dalle ricchezze degli Egiziani adornare e arricchire il suo popolo? Allora io fui contento, e cercavo modo di aver quella casa.91

Semioticamente potremmo dire che il mandante (che è un soggetto) interviene perché il soggetto operativo (il personaggio) possa superare l’impasse, il difetto della situazione di partenza. Perché questo avvenga è necessario che quest’ultimo possieda tre requisiti: dovere/volere, essere in grado, sapere come. La terza visita innesca il primo di questi elementi:

la volontà di don Bosco è mossa verso quella casa da lui prima scartata.

L’“essere in grado” e il “sapere come” si riveleranno nelle successive visite.

L’intervento delle parole con le quali il santo viene portato sul piano divino

90 Sulla presenza delle lacrime nell’esperienza di don Bosco – che sono anche uno degli elementi più ricorrenti nelle sue visioni oniriche – ci permettiamo di rinviare al nostro: S. mazzeR, “Tu non hai più padre”. Orfanezza e paternità nell’esperienza spiri-tuale di don Bosco a partire dalle Memorie dell’Oratorio di san Francesco di Sales, in A.

Bozzolo (ed.), Sapientiam dedit illi. Studi su don Bosco e sul carisma salesiano, Roma, LAS 2015, 91-140, 94.

91 Cronaca, 12-13.

di lettura degli eventi imprime al futuro un verso nuovo: la libertà di don Bosco si orienta verso quel luogo inospitale. Vi arriverà non però su ini-ziativa propria: dopo lo sfratto da prato Filippi don Bosco narra l’incontro con il «padrone della casa da me veduta» che, dopo una contrattazione, la mette a disposizione dell’Oratorio. In questo dialogo veniamo a conoscere l’intenzione di don Bosco di avere un luogo da adibire a Chiesa: su questo progredire e prendere forma del progetto ecco inserirsi il dinamismo e il rilancio della quarta visita.

Più ampia e articolata delle prime tre, questa visione prospetta a don Bosco la casa e la Chiesa così come erano visibili nel 1864, tempo della narrazione di questi fatti, con un interessante movimento temporale verso il télos che abbiamo già indicato essere proprio delle visioni, oniriche e non. Da notare che la scritta che don Bosco vede sopra il tempio, «Haec est domus mea; inde exibit gloria mea», sposta di non poco il baricentro delle precedenti visite: non si tratta della casa di don Bosco o dei giovani (sarà la casa per loro), bensì della casa di qualcuno – non specificato nel resoconto di Bonetti – che appartiene sicuramente al mondo di Dio. Questa quarta visita ricalca da vicino la visione della Chiesa del sogno della pastorella ma non è nostro interesse stabilire se si tratti dello stesso fenomeno oppure no. A noi interessa il movimento che, ancora una volta, la visione mette in atto. Don Bosco comincia a parlare apertamente ai giovani e ai collabo-ratori della Chiesa che un giorno sarà edificata: l’agire del giovane prete comincia a intrecciarsi anche concretamente con quello dei suoi destinatari e collaboratori, preludio al tema centrale dell’ultima visita.

Questa, la quinta, facilmente databile all’anno ’47, fa compiere alla ten-sione dinamica del racconto un notevole passo in avanti: dal luogo verso dove andare si passa alla forma del cammino, per terminare poi con un nuovo luogo di arrivo del quale il primo non era che preludio e segno. Po-tremmo dire – fermandoci al livello che ora ci interessa – che nella visio-ne del pergolato si ripropovisio-ne la dinamica sviluppatasi visio-nelle prime quattro visite considerate insieme: anche qui si passa da un progetto affidato (il camminare per quella strada) all’impossibilità, al difetto del soggetto ope-rante nel corrispondervi per mancanza di competenza (la necessità delle scarpe); è poi l’intervento del mandante a permettere al soggetto di essere in grado di agire (bisogna mettere le scarpe), nonostante l’opera riveli nuo-vi ostacoli (le spine). Nella quinta nuo-visita l’azione, però, immediatamente si dilata e allarga: compaiono sulla scena altri personaggi i quali reduplicano il movimento di don Bosco. Il nuovo limite che egli incontrerà non sarà più la sua abilità o meno nel percorrere la strada ma la sofferenza nel vedersi costretto a percorrerla da solo, dato l’abbandono dei suoi primi seguaci.

Stavolta la soluzione del difetto non proviene dal mandante bensì da

nuo-vi personaggi i quali, consegnando a don Bosco la propria disponibilità, permetteranno il realizzarsi comunitario del compito e il raggiungimento dell’esito sperato: l’arrivo alla meta agognata. È solo a quel punto che il mandante interviene e lo fa con un livello di competenza inaudito: viene infatti spiegato al protagonista il senso del cammino compiuto, consegnan-done la direzione e il significato in ordine alla missione che la visione stessa ha illuminato. Che tale spiegazione sia parte integrante del modo in cui la visione abilita don Bosco al suo ministero è immediatamente chia-rito dal prosieguo della Conferenza: a cominciare dall’anno 1848 si verifi-ca puntualmente ciò che la visione del pergolato aveva profetizzato. Don Bosco rimane solo, abbandonato da tutti, ma proprio in questo frangente inizia a radunarsi un nuovo gruppo di persone che costituiranno negli anni a venire il germe della Congregazione. A confermare la veridicità delle intuizioni e della direzione manifestata dalle visioni – e, dunque, il loro es-sere strumento della Provvidenza divina – intervengono sia l’arcivescovo di Torino che il papa Pio IX che suggellano, con la forza e la sicurezza del magistero, la volontà di Dio su don Bosco e la sua nascente opera.

3.1.2. Sfondi e rimandi biblici

La densità e la complessa articolazione delle cinque visite portano con sé una ricchissima e sottile trama di rimandi e riflessi biblici. Sappiamo come don Bosco fosse intriso di Parola di Dio ma sappiamo, ancor più profondamente, che la vita stessa di un santo, il dono di un nuovo carisma nella Chiesa, sono in se stessi una parola che Dio pronuncia nell’oggi e che ha nella Scrittura la sua ultima verità. È così che norma e criterio nell’ermeneutica di un fenomeno mistico-spirituale dovrà essere la Rive-lazione, nel dinamismo che la innerva e nella Parola della Scrittura che ne costituisce l’attestazione normativa. Non potendoci soffermare a lungo su questo aspetto, ci limitiamo a richiamare due grandi matrici bibliche che possono aiutarci a comprendere il dinamismo delle cinque visite sempre nell’ottica della lettura teleologica che in questo saggio stiamo proponendo.

Tutto questo a partire da un richiamo alla simbolica della visita così come attestata nella Scrittura. Lasciamo al lettore, nel confronto con le fonti, ampliare i richiami e le aperture bibliche che rendono ancora più preziosa questa splendida pagina spirituale del carisma salesiano.

a. «“Un grande profeta è sorto tra noi”, e: “Dio ha visitato il suo popo-lo”» (Lc 7,16). Queste espressioni compaiono sulla bocca della folla alla vista della risurrezione del figlio della vedova di Nain ad opera di Gesù.

La visita di Dio, ci viene indicato, ha come segno un passaggio dalla morte

alla vita, da una situazione di tenebra, di fatica, a una condizione di luce e di novità. E non è un caso che la folla magnifichi Dio per la sua visita mentre constata la presenza, in mezzo ad essa, di un profeta. La visita nella Bibbia, infatti, pur essendo iniziativa gratuita e libera di Dio, ha sempre come referente non solo il popolo nel suo insieme ma anche un singolo, una persona che, per le caratteristiche che viene ad assumere, rientra nello spa-zio specifico della profezia. Se nel PT il termine visita e il suo corrispettivo verbo sono abbastanza frequenti,92 nel NT le ricorrenze sono più conte-nute.93 Nel PT la visita di Dio rappresenta sempre un intervento che apre al futuro: nei momenti più bui e angosciosi della vita del suo popolo, Dio interviene visitandolo attraverso l’invio di profeti o intervenendo in modo inatteso e prodigioso per ristabilire la prosperità o la fedeltà del suo popo-lo. La visita di Dio genera storia, la rilancia,94 la manifesta come autentica storia di salvezza,95 fino a quando è Egli stesso, nel suo Figlio, a visitare e redimere il suo popolo. Che Dio visiti attraverso visioni, audizioni o altre mediazioni è di secondaria importanza. Da rilevare, invece, è il duplice carattere della visita: per la Bibbia la visita di Dio è portatrice di salvezza per coloro che sono a Lui fedeli, mentre per gli empi essa si fa veicolo di punizione e castigo. Le due cose vanno insieme: il giudizio di Dio non è arbitrario, la sua connotazione salvifica o punitiva dipende dal modo in cui la libertà dell’uomo si dispone davanti a Lui.96

b. Alla luce di questo breve cenno alla realtà della visita nella Bibbia passiamo alle due matrici che possono fare da sfondo alle cinque visite. La prima è del PT ed è rappresentata dalla vicenda dell’Esodo. Senza entrare nei numerosissimi paralleli che si potrebbero istituire con l’esperienza di

92 L’uso del termine episkopê (che traduce l’ebraico paqàd – radice pqd) è molto spo-radico nella grecità profana; i traduttori della LXX, invece, lo scelgono di preferenza per indicare una specifica azione di Dio, la sua visita.

93 Cfr. M. cRimella, «Dio ha visitato il suo popolo» (Lc 7,16), «Parola Spirito e Vita»

72/2 (2015) 121-134.

94 Anche quando, come per Abramo, alla visita e alla promessa di Dio non sembra succedere il loro adempimento e il patriarca cerca altre modalità di attuazione (Ismaele).

95 G. GalvaGno, Un intervento che apre il futuro: la visita di Dio nel Pentateuco (Gen 21,1; Gen 50,25; Es 3,16), «Parola Spirito e Vita» 72/2 (2015) 17-30. «Israele avrà un futuro fino a quando saprà riconoscere la visita di Dio anche dentro i risvolti talvolta disperanti della sua vicenda» (ibi, 30).

96 L. mazzinGhi, La visita di Dio nel libro della Sapienza tra punizione e salvezza,

«Parola Spirito e Vita» 72/2 (2015) 87-99, 98. Come non pensare, in merito, al modo in cui don Bosco racconta la morte di coloro che si erano opposti alla sua attività orato-riana? Non che tali decessi siano opera di Dio – e don Bosco stesso rifugge una simile lettura – ma certamente per il credente anch’essi entrano a dipanare un disegno provvi-denziale divino.

don Bosco (anche a partire dalla simbolica del sogno dei 9 anni), rimania-mo anche qui al solo livello della tensione dinamica del rimania-movimento che l’Esodo esibisce. L’esperienza del cammino e dell’uscita sono l’asse portan-te di esso, tanto da diventare luogo fontale della Rivelazione del PT e pa-radigma di ogni autentica esperienza di Dio. La travagliata peregrinazione del popolo nel passaggio dalla schiavitù alla libertà, da un suolo straniero fino alla terra promessa passando attraverso un luogo inospitale come il deserto, ha come incipit la promessa di una visita di Dio. Il libro della Ge-nesi si chiude infatti con queste parole del patriarca Giuseppe: «Io sto per morire, ma Dio verrà certo a visitarvi e vi farà uscire da questa terra, verso la terra che egli ha promesso con giuramento ad Abramo, a Isacco e a Gia-cobbe» (Gen 50,24). In tal modo la drammatica vicenda dell’Esodo è legata a quel “primo esodo”, alla prima uscita di Abramo dalla sua terra. Dio vi

don Bosco (anche a partire dalla simbolica del sogno dei 9 anni), rimania-mo anche qui al solo livello della tensione dinamica del rimania-movimento che l’Esodo esibisce. L’esperienza del cammino e dell’uscita sono l’asse portan-te di esso, tanto da diventare luogo fontale della Rivelazione del PT e pa-radigma di ogni autentica esperienza di Dio. La travagliata peregrinazione del popolo nel passaggio dalla schiavitù alla libertà, da un suolo straniero fino alla terra promessa passando attraverso un luogo inospitale come il deserto, ha come incipit la promessa di una visita di Dio. Il libro della Ge-nesi si chiude infatti con queste parole del patriarca Giuseppe: «Io sto per morire, ma Dio verrà certo a visitarvi e vi farà uscire da questa terra, verso la terra che egli ha promesso con giuramento ad Abramo, a Isacco e a Gia-cobbe» (Gen 50,24). In tal modo la drammatica vicenda dell’Esodo è legata a quel “primo esodo”, alla prima uscita di Abramo dalla sua terra. Dio vi

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