32
C
APITOLOI
V
ENEZIAI.1 L´evoluzione istituzionale di un rapporto
Andando a ritroso proverò, in apertura, a ricostruire un profilo delle regolamentazioni in materia commerciale tra le due città dall’inizio del dominio veneziano. Ragusa, insieme all’intera Dalmazia, riconobbe la sovranità marciana tra il 1204 e il 1205 in seguito agli sviluppi della Quarta Crociata. Bariša Krekić ha isolato i punti principali attorno ai quali si articola l’evoluzione del rapporto tra la dominante e la piccola città dalmata: 1) la presenza di un Conte veneziano a capo dell’amministrazione cittadina; 2) l’osservazione di limitazioni nel commercio e nella navigazione; 3) l’obbedienza agli ordini del Doge e il conformarsi alla politica veneziana in generale81. L’analisi dei rapporti Venezia-Ragusa in quel decisivo XIII secolo è stata tracciata in un saggio di Josip Lučić in modo molto dettagliato82, mi limiterò ad isolare alcuni elementi che reputo di maggiore interesse. Da rilevare, come premessa, che la documentazione è particolarmente lacunosa ed assume una certa consistenza solo negli ultimi due decenni del secolo quando gli atti notarili iniziarono ad essere registrati in appositi volumi dedicati. Le fonti veneziane in parte compensano questa mancanza e già nel 1226 ritroviamo come - nel continuo confronto dialettico tra le due realtà – la determinazione dei rispettivi diritti e doveri nel campo commerciale fosse centrale. A causa del mancato accoglimento di alcune richieste del Doge da parte di Ragusa riguardanti la lotta ai pirati provenienti dalla città dalmata di Almissa, Venezia decise di vietare ai propri cittadini e ai forestieri l’acquisto di merci ragusee o trasportate su imbarcazioni ragusee in tutti i centri da Zara e Ancona fino a Venezia83. Un divieto che probabilmente durò pochi mesi, nel giugno del 1226 il nobile Michele Emo giunse a Venezia con un naviglio raguseo nel quale Blasio de Bistino di Ragusa svolgeva le funzioni
81 B. KREKIĆ, Unequal Rivals, p. 10.
82 J.LUČIĆ, Pomorsko-trgovačke veze Dubrovnika i Venecije u XIII. stoljeću, in «Pomorski zbornik», 8 (1970), pp. 569-595. [Anche in ID., Dubrovačke teme, Zagreb 1991, pp. 413-444.]
83 Š.LJUBIĆ, Listine o odnošajih izmedju Južnoga Slaventsva Mletačke Republike, Vol. 1, [Monumenta Spectantia Historiam Slavorum Meridionalium, Vol. 1], Zagreb 1868, pp. 37-38. (Aprile 1226).
33
di nocchiere84. In quest’epoca i rapporti non erano ancora stati codificati attraverso appositi trattati e lo strumento della ritorsione commerciale fu sempre utilizzato come mezzo di pressione nei confronti della controparte. Non poteva essere altrimenti data la tipologia di struttura economica dei due centri. Pochi anni dopo il 1226, secondo una tempistica forse non casuale, le due città stipularono il primo trattato (1232), al quale seguiranno altri due nel 1236 e 125285. Fu specificato che i nemici di Venezia dovevano essere anche quelli di Ragusa ed in particolare proprio quei pirati - grossariis et predatoribus sive raubatoribus - Cacichos et Dalmesanios al centro della controversia del 1226. Tutti i Ragusei dai 13 anni di età dovevano giurare fedeltà al Doge, ogni 10 anni, di accettare un arcivescovo da Venezia e il Conte nominato dal Doge e dal Maggior Consiglio. Si indicarono le misure che Ragusa doveva adottare in caso di guerra nell’Adriatico o al di fuori del Golfo, obblighi di carattere simbolico in occasione della visita del Doge in città e il tributo annuo da corrispondere a quest’ultimo e al Conte86. Sulle regolamentazioni di natura commerciale a Ragusa era imposto di far pagare alle navi forestiere che approdavano nel suo porto gli stessi dazi richiesti da Venezia. Il ricavato doveva essere consegnato – per un terzo ciascuno – all’arcivescovo, al Conte e al Comune di Ragusa. Nella parte finale del trattato si stabilirono i dazi per le merci importate dai Ragusei a Venezia: per tutti i beni provenienti dalla Romania si pagava il 5%, per quelle provenienti dal Medio Oriente e dal Nord Africa il 20%, dal Regno di Sicilia il 2,5%, mentre erano esentati da qualsiasi dazio le merci dell’entroterra balcanico (Sclavonia). In tempi di guerra, data la dipendenza di Ragusa dal commercio estero, le si permetteva di poter commerciare a culfo Corinti infra. Infine si proibiva il commercio a Venezia con i forestieri – prescrizione piuttosto comune -, ma la maggiore limitazione era data dall’imposizione di non poter inviare più di quattro navi da 70 milliari ogni anno87. Si trattava di un accordo temporaneo, dalla durata di tre anni, il quale fu di fatto confermato, con alcune modifiche minime, nelle successive due versioni. Nel 1236 si specificò che i Ragusei potevano recarsi in località proibite solo dopo aver ottenuto un apposito permesso delle autorità veneziane, inoltre era vietato commerciare nei
84 R. MOROZZO DELLA ROCCA – A. LOMBARDO, Documenti del commercio veneziano nei secoli XI - XIII, Vol. 2, Torino 1940, p. 168.
85 B. KREKIĆ, Unequal Rivals, p. 11.
86 Il giorno di Ognissanti il Doge doveva ricevere 12 perperi mentre il Comune 100. Al Conte sarebbero andati 400 perperi più altri introitus non specificati. Inoltre doveva inviare a Venezia sei ostaggi ogni semestre scelti tra la nobiltà cittadina.
87 Š.LJUBIĆ, Listine o odnošajih izmedju Južnoga Slaventsva Mletačke Republike, Vol. 1, pp. 46-49; Codex
diplomaticus regni Croatiae, Dalmatiae et Slavoniae, a cura di T. Smičiklas, Vol. 3, Zagreb 1903, pp. 351-354; J.
34
porti da Ancona fino all’Istria fatto salvo il trasporto verso Venezia di derrate alimentari88. La validità dell’accordo fu fissato ancora una volta a tre anni, ma un terzo (e ultimo) rinnovo vi fu solo nel 1252, il quale aggiungeva una clausola specifica per il commercio col Regno di Sicilia: se fosse esistita una proibizione per i Veneziani in quei territori anche i Ragusei non potevano recarsi e dovevano pagare gli stessi dazi imposti ai Veneziani nel Regno, clausola valida solo in caso di pagamenti superiori al 2,5%89. Notiamo come gli unici elementi aggiunti miravano ad una maggiore definizione in senso restrittivo dei diritti commerciali dei Ragusei. Come è stato sottolineato ripetutamente90, la più grave limitazione allo sviluppo commerciale raguseo era provocata dal divieto di inviare più di quattro navi all’anno da 70 milliari a Venezia. In realtà si dovrebbe precisare meglio: la norma fa riferimento alla possibilità di inviare imbarcazioni esenti da dazi, in caso contrario è previsto il pagamento del 20% su tutte le merci91, ovvero quanto applicato su quelle provenienti dal Medio Oriente. Un punto specificato dal Lučić92, ma che Krekić omette. Si tratta di un provvedimento sicuramente gravoso e forse sufficiente a scoraggiare l’importazione di beni a basso valore, ma che di per sé non vietava l’invio di più di quattro imbarcazioni. La principale vittima di questa politica era la flotta ragusea, i Veneziani, infatti, volevano obbligare i mercanti della città dalmata ad utilizzare imbarcazioni lagunari e ad associarsi con i propri mercanti. Ma non sembra esserci una correlazione stretta ed automatica tra la crescita del numero delle imbarcazioni ragusee e un eventuale sviluppo della ricchezza e del network commerciale della città93. Da aggiungere, poi, che questa clausola può essere soggetta a diverse interpretazioni, le quali potevano risultare chiare al momento della stipulazione, ma che col tempo avrebbero potuto assumere contorni meno definiti. Ovvero, con imbarcazione ragusea non è chiaro se si intenda la proprietà oppure la conduzione, inoltre era piuttosto comune che questa avesse più proprietari, quindi si potevano
88 Š.LJUBIĆ, Listine o odnošajih izmedju Južnoga Slaventsva Mletačke Republike, Vol. 1, pp. 53-55; Codex
diplomaticus regni Croatiae, Dalmatiae et Slavoniae, Vol. 4, pp. 8-11; J.RADONIĆ, Dubrovačka akta i povelje, Vol. I/1, pp. 28-32. (Giugno 1236).
89 Š.LJUBIĆ, Listine o odnošajih izmedju Južnoga Slaventsva Mletačke Republike, Vol. 1, pp. 82-85. (Marzo 1252). 90 B. KREKIĆ, La relazioni fra Venezia, Ragusa e le popolazioni serbo-croate, in Venezia e il Levante fino al secolo
XV, vol. 1, Firenze 1973, p. 393. [Anche in Krekić 1980]. B. KREKIĆ, Unequal Rivals, p. 12.
91 Nei trattati si specifica quanto segue: Et tantummodo cum quatuor navigiolis a septuaginta miliariis infra
debeant Ragusini Venecias venire per annum. Et si aliter Ragusini Venecias venerint, solvent quintum de omnibus mercibus Romanie, quas Venecias apportabunt. Š. LJUBIĆ, Listine o odnošajih izmedju Južnoga Slaventsva
Mletačke Republike, Vol. 1, p. 48.
92 J.LUČIĆ, Pomorsko-trgovačke veze Dubrovnika i Venecije u XIII. stoljeću, p. 419.
93 J. TADIĆ, L’economia di Ragusa e i paesi Serbi nella prima metà del secolo XV, in «Rivista Storica del Mezzogiorno», 3 (1968), pp. 51–80.
35
registrare casi di proprietà mista tra Veneziani e Ragusei. Come avremo modo di precisare meglio, le autorità ragusee vietavano e limitavano la cessione di imbarcazioni a forestieri, ma i Veneziani ne erano esclusi.
Dopo il trattato del 1252 non vi furono altri atti simili durante il periodo del dominio veneziano ed è impossibile verificare le modalità della sua applicazione nel corso dei decenni. Il ricorso allo strumento pattizio per Venezia e Ragusa si concentrò proprio nella prima metà del XIII secolo - lo si può rilevare anche per altre località come la Puglia e il Levante – successivamente si preferì ricorrere ad una periodica contrattazione tra le parti, la quale si sviluppava all’interno di una cornice già “codificata” nei suoi tratti essenziali. Si deve anche considerare che durante il dominio veneziano le istituzioni ragusee subirono una progressiva maturazione, la loro solidità e l’azione incisiva da loro svolta portò ad una migliore tutela degli interessi cittadini94. Solo con lo statuto cittadino del 1272 si possono ritrovare altre informazioni sulla posizione dei Veneziani a Ragusa, come la già citata possibilità per i mercanti ragusei di poter noleggiare solo imbarcazioni lagunari tra quelle straniere95. Eppure la più importante testimonianza del loro essere assimilati ai Ragusei in quanto a diritti goduti è proprio rappresentata dall’assenza di ogni riferimento a Venezia in diversi importanti parti dello statuto96. Ad esempio, in uno dei primi capitoli si stabilisce da chi fosse dovuto il pagamento dell’arboratico: si specificano i mercanti provenienti da diverse regioni (Regno di Sicilia, Marca d’Ancona, Romagna, da Arta fino a Durazzo), ma anche le città esenti97 senza che tra queste venga citata Venezia98. Di pochi anni successivo è lo statuto della Dogana (1277), questo prevedeva che in occasione della vendita agli stranieri di alcune merci destinate all’esportazione da parte di un Raguseo (drapariam, setam, cambium uel aliquas res que non sunt specificate)99
il pagamento della Dogana fosse a carico del venditore e non dell’acquirente100. Se però un Raguseo esportava beni stranieri verso le coste dalmate e albanesi era sempre quest’ultimo a pagare, ma da questo obbligo erano esclusi i Veneziani101. Ulteriore elemento che ci porta a ritenere come i regolamenti commerciali a cui erano sottoposti i Ragusei valessero anche per i
94 B. KREKIĆ, Unequal Rivals, p. 14.
95 Liber statutorum civitatis Ragusii, lib. 7, c. 36, p. 163.
96 B. KREKIĆ, Contributions of foreigners to Dubrovnik’s economic growth in the late Middle Ages, p. 384. 97 Ancona, Bari, Termoli, Barletta, Siponto, Ortona, Molfetta, Giovinazzo, Vieste, Senigallia e Fano. 98 Liber statutorum civitatis Ragusii, lib. 1, c. 13, p. 11.
99 Unica eccezione denariis grossis de Venetiis et de Brescoua.
100 A. V. SOLOV’EV – M. PETERKOVIC, Istorisko-pravni spomenitsi, c. 9, pp. 402-403. 101 A. V. SOLOV’EV – M. PETERKOVIC, Istorisko-pravni spomenitsi, c. 25, p. 409.
36
Veneziani, salvo diversa specificazione. Ulteriori benefici furono concessi ai Veneziani. Nel commercio degli schiavi, se un Raguseo o un forestiero avessero importato uno schiavo a Ragusa per venderlo avrebbero dovuto pagare 4 grossi a schiavo, ma se lo schiavo fosse stato importato da uno Slavo e venduto a un Raguseo o a un forestiero nulla sarebbe stato dovuto dal venditore. Il pagamento dei 4 grossi sarebbe ricaduto sul compratore ad eccezione dei Veneziani che erano esenti102, anche se tutti coloro (Ragusei, Veneziani o forestieri) che avessero voluto esportarlo da Ragusa dovevano pagare alla Dogana un perpero a schiavo103. Avevano inoltre alcuni benefici doganali nel commercio con Cattaro, in particolare non era previsto che pagassero dazi in occasione di acquisti di merci da Cattarini a Ragusa104. Anche per il commercio di uccelli (austures, terciolos, falcones et sparauarios)105 i Veneziani erano agevolati non dovendo corrispondere un grosso per capo come era dovuto da Ragusei e forestieri106. In generale le disposizioni doganali ragusee prevedevano il principio della mutualità del trattamento, come nel citato esempio dell’arboratico107. Negli anni successivi, durante tutto il XIV secolo, vi furono introdotti nuovi capitoli per la regolamentazione di determinate merci o per il commercio in determinate aree, ma non vi era un’applicazione nei confronti di coloro che godevano di accordi unilaterali con Ragusa108. Le autorità ragusee non avevano, salvo eccezioni, una particolare propensione protezionistica in questo ambito, cercavano di non creare uno squilibrio daziale tra merci forestiere e ragusee. Ciò non significa che tutte le merci potevano giungere in città senza barriere, ad esempio era generalmente limitata l’importazione di vino ed era vietata l’esportazione di diversi articoli dai cereali alle tegole, a meno di casi particolari autorizzati dal Minor Consiglio. Ma i mercanti ragusei non
102 A. V. SOLOV’EV – M. PETERKOVIC, Istorisko-pravni spomenitsi, c. 11, pp. 403-404.
103 A. V. SOLOV’EV – M. PETERKOVIC, Istorisko-pravni spomenitsi, c. 12, p. 404. Gli unici esenti erano gli Slavi, i quali avevano la funzione di importatori. Il perpero a schiavo sarebbe stato così ripartito: 4 grossi al Conte e 8 alla Dogana.
104 A. V. SOLOV’EV – M. PETERKOVIC, Istorisko-pravni spomenitsi, c. 40, p. 416.
105 Si tratta di un commercio che ha lasciato poche tracce nella documentazione. Nel 1321 Ylia Ivigrovich risulta in possesso di una nidata falconibus (DAD, Diversa Cancellariae, Vol. 6, f. 112). Nel 1345 il falconaro Corrado si impegna a pagare diversi falconi 33 grossi cadauno ad alcuni Ragusei, i quali, a loro volta, li avrebbero acquistati tra le coste della Romania e dell’Albania. Acta et diplomata res Albaniae mediae aetatis illustrantia, Vol. 2, doc. 15, pp. 3-4. (27/04/1345). Gli autori dell’edizione sottolineano (riportando da Karl Hopf) come l’addestramento di falconi fosse diffuso nell’isola di Corfù. Nel 1302 il capitano angioino dell’Isola inviò al principe di Taranto Filippo I d’Angiò plures falcones. Nel 1336 il mercante veneziano Nicoletto Baldella acquistò a Ragusa due falconi. B. KREKIĆ, La famiglia veneziana Baldella a Ragusa nel Trecento, in «Rivista Dalmatica», Vol. 91 (2008), p. 12.
106 A. V. SOLOV’EV – M. PETERKOVIC, Istorisko-pravni spomenitsi, c. 14, p. 405.
107 B. KREKIĆ, Contributions of foreigners to Dubrovnik’s economic growth in the late Middle Ages, p. 383. 108 A. V. SOLOV’EV – M. PETERKOVIC, Istorisko-pravni spomenitsi, cc. 52-53, pp. 421-422.
37
avevano significativi benefici rispetto agli stranieri e questi ultimi ricevevano specifici vantaggi quando erano funzionali all’importazione o esportazione di beni di particolare importanza per l’economia cittadina. Ad esempio l’esenzione per i mercanti slavi del pagamento della Dogana nella tratta degli schivi, rifletteva la necessità di incentivare quest’ultimi a convogliarli in città data l’alta richiesta in diverse località mediterranee. Questo è probabilmente il motivo principale - insieme alla mancanza di una proibizione al commercio tra stranieri - per cui mercanti residenti per molti anni a Ragusa (habitatores) non fossero interessati a ricevere la cittadinanza ragusea. L’attenzione degli organi politici della città mirava all’evitare frodi e abusi da parte dei mercanti attivi e tutti i Ragusei che acquistavano o vendevano merci di provenienza forestiera dovevano fornire - lo stesso giorno - una lista delle transazioni agli ufficiali della Dogana. Stessa regola era applicata ai forestieri quando commerciavano tra loro109; anche gli scribi delle navi ragusee e forestiere erano obbligati a presentare una lista delle merci imbarcate110. Nello specifico quindi i privilegi doganali concessi ai Veneziani non devono essere intesi solo come il frutto di una sorta di estorsione da parte del potere dominante, ma anche come il risultato di una precisa volontà da parte dei regolatori ragusei. Secondo il Krekić i privilegi veneziani contrastavano very sharply con i controlli e le limitazioni imposti ai Ragusei a Venezia111, il quale è assolutamente corretto, ma la ragione non è tanto da attribuire all’obbligo di conformarsi agli interessi di Venezia, ma quanto alla presenza di due politiche in materia commerciale in parte divergenti. Credo che la prova migliore di quanto sostenuto la si ritrovi nel Capitolare della doana grande, ovvero nel nuovo codice doganale compilato dalle autorità ragusee nel 1413, nel quale furono trascritti e aggiornati i capitoli del vecchio statuto della Dogana. Dalla lettura del manoscritto - attualmente conservato nella biblioteca del monastero dei Francescani della città – si nota come ben 50 anni dopo la fine del dominio veneziano i sopracitati benefici goduti dai mercanti lagunari erano ancora validi e rispettati, con la sola eccezione di quello riguardante il commercio degli uccelli112. Ciò non significa che non vi fossero tensioni tra le due città per quelli che Ragusa considerava casi di ingerenza nella vita della città, ma questo non comportava mettere in discussione i benefici goduti dai Veneziani.
109 A. V. SOLOV’EV – M. PETERKOVIC, Istorisko-pravni spomenitsi, c. 48, p. 421. Nella medesima occasione si stabilì che i Ragusei che avessero voluto esportare verso la Romania, Ungheria, Traù, Spalato e Sebenico dovevano pagare alla Dogana il 2%. Ivi, c. 46, p. 420.
110 B. KREKIĆ, Contributions of foreigners to Dubrovnik’s economic growth in the late Middle Ages, p. 383. 111 Ibid, p. 385.
38
Le attività commerciali di quest’ultimi e l’importanza del porto marciano erano imprescindibili. Non deve perciò sorprendere come nel 1366 il Comune raguseo, nel ribadire una delle regolamentazioni commerciali più stringenti per i propri cittadini, ovvero l’assoluto divieto di trasportare cereali caricati nel mar Adriatico verso altre località se non a Ragusa, deliberò una particolare eccezione: erano esclusi i cereali caricati a Venezia e trasportati fuori dal Golfo (a sud della linea Otranto-Valona), a patto che le imbarcazioni navigassero lungo la costa marchigiana e pugliese113.
Negli ultimi anni del XIII secolo, grazie all’aumento delle fonti notarili a disposizione, possediamo dati sufficienti per provare a tracciare un quadro delle relazioni economiche tra i due centri e le rispettive classi mercantili. Nei capitoli 39 e 40 dello statuto cittadino si prescrive che le merci trasportate da Ragusa a Venezia devono essere pesate e caricate a peso sulle imbarcazioni. Si fornisce un elenco molto dettagliato: cera, cuoio di capretto, di capra, di agnello, di ariete, di faina, di scoiattolo, di cervo, di bovino e di castrato, pelli di lepre e di volpe, lana, seta, tela114. Per avere già una prima idea della tipologia di merci trasportate da Ragusa in Laguna a queste merci si aggiungano quelle citate nei privilegi accordati ai mercanti Veneziani nello statuto della Dogana, in particolare quello sul commercio di schiavi. L’elemento da rimarcare è la loro provenienza, a parte la seta di probabile origine levantina o comunque extra balcanica, si trattava di prodotti dell’entroterra balcanico. Cuoio, pelli e cera erano convogliati in maniera costante in città, in quanto non erano soggetti a quegli “sbalzi produttivi” propri di merci la cui reperibilità era soggetta a maggiori variabili, mi riferisco in particolare ai metalli che proprio verso la fine di quel secolo iniziavano ad affluire verso Ragusa e da qui verso l’Occidente. Vi è, inoltre, il riflesso della precisa politica commerciale voluta da Venezia nei confronti di Ragusa illustrata nei trattati sottoscritti qualche decennio prima: utilizzare la città dalmata e la sua classe mercantile come strumento per far giungere merci dalla regione serbo-bosniaca attraverso l’esenzione dei dazi a Venezia per tutti i carichi provenienti dalla Slavonia. Venezia mantenne sempre il controllo su una ristretta fascia costiera e i suoi mercanti riuscirono a stabilire una presenza molto limitata nell’entroterra. In quei decenni, la situazione politica nei Balcani, endemicamente turbolenta, si segnalava per i conflitti che portarono al consolidamento della dinastia serba dei Nemanjić e per le lotte religiose in Bosnia.
113 A. V. SOLOV’EV – M. PETERKOVIC, Istorisko-pravni spomenitsi, pp. 81-82. (13/10/1366). Dal Liber omnium
reformationum.
39
A ciò si aggiunse la difficoltà di penetrare un mercato geograficamente e culturalmente inospitale in un’epoca in cui vi era già una presenza ramificata di una nazione concorrente come quella ragusea. I Veneziani erano riluttanti a stabilirvisi, anche se non mancano ovviamente attestazioni della loro attività nell’area nella seconda metà del XIII: il Maggior Consiglio di Venezia discusse nel 1271 l’invio di un’ambasciata al re serbo Stefan Uroš I a causa di alcune violenze compiute nel suo territorio a danno di Veneziani115, nel 1286 si proibì a Ragusei e Veneziani di raggiungere i territori serbi, mentre nel 1300 il Comune veneziano si attivò per la liberazione di circa una quarantina di nostrorum fidelium che si trovavano in territorio bosniaco116. Ancora durante il Trecento si ritrovano diversi mercanti veneziani nell’entroterra, spesso documentati in occasione di malversazioni subite, le quali provocavano l’intervento delle autorità lagunari. Krekić si è interrogato sulle ragioni del mancato sfruttamento di questo close and important market. Egli, oltre alle motivazioni già descritte, attribuisce ai Veneziani un’attenzione maggiore ai commerci di lunga distanza nel Levante, l’area balcanica poteva