CAPITOLO QUARTO CRITICITÀ E PROSPETTIVE
4.3 La Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza
piano della politica migratoria, solo con il ripristino, a date condizioni (il già richiamato percorso di integrazione sociale), del permesso per motivi umanitari.
Quanto infine al terzo aspetto disciplinato dal d.l. n. 53 del 2019, le misure per evitare che i richiedenti asilo soccorsi in mare da navi civili siano sbarcati e accolti in Italia, il dibattito verte sulla previsione normativa, che dà al Ministro dell’Interno il potere di bloccare l’accesso ai porti di tali navi per motivi di ordine e di sicurezza pubblica e sulle sanzioni in caso di violazione del blocco.
Già il Presidente della Repubblica, nella lettera, indirizzata ai Presidenti della Camera e del Senato e al Presidente del Consiglio, che aveva accompagnato la promulgazione della legge di conversione del decreto, aveva sottolineato il rischio di sanzioni sproporzionate rispetto alla gravità dei comportamenti di violazione dei blocchi, richiamando gli obblighi imposti dal diritto internazionale quanto al soccorso in mare e allo sbarco dei naufraghi nel primo porto sicuro.
Nel decreto, invero, è richiamata la necessità di un esercizio del potere nel rispetto del diritto internazionale, ma la sistematica chiusura dei porti alle navi di soccorso, nell’estate del 2019, che ha portato a drammatici scontri, come nel caso della Sea Watch, sembra essere dipesa più dall’uso sproporzionato in concreto di tale potere che dalla previsione in astratto di questo potete.
Deve essere sicuramente rivisto il sistema sanzionatorio, ove si consideri che, come il Presidente della Repubblica ha evidenziato nel citato messaggio, la sanzione pecuniaria può arrivare ad un milione di euro e la disciplina non indica i criterî per la sua definizione nei diversi casi, lasciando uno spazio forse eccessivo alla discrezionalità amministrativa.
4.3 La Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza
Il 30 ottobre 2019 viene istituita al Senato della Repubblica la Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza con compiti di osservazione, studio e iniziativa per l’indirizzo e controllo sui fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza nei confronti di persone o gruppi sociali sulla base di alcune caratteristiche quali l’etnia, la religione, la provenienza, l’orientamento sessuale, l’identità di genere o di altre particolari condizioni fisiche o psichiche.
Essa controlla e indirizza la concreta attuazione delle convenzioni e degli accordi sovranazionali e internazionali e della legislazione nazionale relativi ai fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e di istigazione all'odio e alla violenza, nelle loro diverse manifestazioni di tipo razziale, etnico-nazionale, religioso, politico e sessuale.
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La Commissione svolge anche una funzione propositiva, di stimolo e di impulso, nell’elaborazione e nell’attuazione delle proposte legislative, ma promuove anche ogni altra iniziativa utile a livello nazionale, sovranazionale e internazionale.
L’istituzione della Commissione ha ricevuto molta attenzione dagli organi di informazione.
Corre l’obbligo di sottolineare che purtroppo (il più delle volte si ipotizza per esigenze di efficacia comunicativa) il tema ampio sul quale la Commissione sarà chiamata a produrre i propri lavori è stato sinteticamente riassunto e presentato attraverso la parola “antisemitismo”, che se da un lato è più che vero, dall’altro rischia di sminuire l’intera portata dei temi sui quali i lavori dovranno concentrarsi.
Nel dibattito pubblico che ha preceduto e seguito il voto dell’Assemblea del Senato, il tema dell’hate speech (in quanto modalità discriminatoria pervasiva e pericolosa) e delle altre forme di discriminazione appartenenti al campo di azione della Commissione sono stati completamente evasi portando a una “discriminazione tematica” che non rende giustizia all’importanza della proposta che invece ha inteso abbracciare tutti i campi delle discriminazioni sui quali appare giustamente inopportuno stilare classifiche di gravità. Il cuore dei lavori che verranno effettuati e del dispositivo stesso che li descrive abbraccia invece le discriminazioni di cui gli individui o i gruppi sociali sono oggi vittime anche nel nostro Paese.
Oltre al collegamento con altri Paesi e con le istituzioni di altre nazioni per produrre un livello di cooperazione anche a livello politico del contrasto alle discriminazioni appare più che auspicabile un collegamento stabile e continuativo con gli uffici dello Stato già preposti alla collezione dei dati, alla presentazione degli stessi e al contrasto delle discriminazioni al fine di facilitare i lavori della Commissione e ottimizzare la loro efficacia.
4.4 L’apolidia
Ai sensi dell'articolo 1 della Convenzione del 1954 relativa allo status degli apolidi, un apolide è definito come qualcuno che “non è considerato cittadino da alcuno Stato ai sensi della sua legge”. Oltre agli apolidi che rientrano nella definizione giuridica riconosciuta a livello internazionale (c.d. “apolidi de iure”), ci sono anche gruppi e individui che vengono definiti apolidi
“de facto”. Sebbene quest’ultimo termine sia stato utilizzato in una varietà di contesti, vi è un crescente consenso sul fatto che questo concetto includa persone che possiedono una nazionalità , ma si trovino al di fuori del loro paese di nazionalità e non siano in grado o, per validi motivi, non vogliano avvalersi della protezione di quel paese.
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Il problema dell’apolidia de facto è tornato nuovamente attuale a seguito del conflitto in ex Jugoslavia, che ha causato la situazione nella quale decine di migliaia di persone sono rimaste prive di cittadinanza o a rischio di apolidia; a seguito della nascita di nuovi Stati, alle persone che vivevano fuori dal loro paese di origine non è stata automaticamente concessa una “nuova”
cittadinanza, ad esempio perché non erano iscritte nell’anagrafe o perché hanno incontrato difficoltà nell’interazione con le loro autorità. Sebbene la comunità Rom dell’ex Jugoslavia (proveniente in particolare dalla Bosnia Erzegovina, Serbia, Macedonia del Nord e Kosovo) non sia l’unico gruppo ad affrontare sfide in tal senso, questa ha subito le conseguenze decisamente più gravi e durature.
Difatti, molti cittadini Rom provenienti dalla ex Jugoslavia hanno dovuto affrontare problemi significativi nella loro vita quotidiana, trovandosi, in quanto “privi di cittadinanza”, senza possibilità di regolarizzare la loro posizione in Italia. Se durante il conflitto molti rom ex jugoslavi godevano di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, negli ultimi anni è scomparsa ogni facilitazione riguardo la loro permanenza in Italia: infatti, gli altissimi livelli di disoccupazione, la mancanza di documenti validi e l’impossibilità di accedere ad una regolarizzazione che prevede un rapporto di lavoro subordinato per l’ottenimento del permesso di soggiorno, rendono alcuni rom ex jugoslavi come una fascia a rischio di espulsione, anche quando la loro residenza è da moltissimi anni in Italia, i propri figli sono ben inseriti nelle nostre scuole e la loro integrazione è positiva. Una situazione particolare riguarda i minori, figli (e sempre più spesso nipoti) di rom provenienti da quella che fu la Jugoslavia. Nati e cresciuti nel nostro paese, non hanno ottenuto la cittadinanza e si trovano in uno status giuridico molto particolare.
A tutt’oggi sono infatti numerose le persone di seconda o terza generazione che pur avendo trascorso tutta la loro vita nel nostro Paese, non hanno mai determinato il proprio status di apolide né hanno la possibilità di acquisire la cittadinanza italiana, per una serie di motivi quali la mancanza di regolare permesso di soggiorno. Secondo alcune stime, nonostante le loro famiglie vivessero per decenni in Italia (con possibilità di accedere alla scuola dell'obbligo e ai servizi sanitari di base e senza diritti fondamentali), sono circa 15.000 gli appartenenti alla popolazione Rom in Italia che tuttora vivono in condizione di invisibilità giuridica (fonte Commissione Diritti Umani del Senato Italiano, Rapporto sulla condizione dei Rom, Sinti e Camminanti, 2011, dati non aggiornati).
Al fine di esaminare le problematiche inerenti lo status giuridico dei Rom provenienti dalla ex Jugoslavia e di definire possibili percorsi e soluzioni di natura amministrativa e diplomatica atti a consentire il superamento della c.d. “apolidia di fatto”, nell’ambito della Strategia Nazionale d’inclusione dei Rom, dei Sinti e dei Camminanti, è stato costituito un apposito Tavolo Interistituzionale sullo Status Giuridico (coordinato dal Ministero dell’Interno che vede la
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partecipazione del Ministero degli Affari Esteri, dell’UNAR, dell’UNHCR e di altre realtà istituzionali), senza tuttavia giungere ad una soluzione definitiva del problema.