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Le competenze nel mare territoriale e sulla piattaforma continentale

PROFILI GIURIDICI DELLE PIATTAFORME MARINE E DELLE OPERAZIONI OFFSHORE

2. LE OPERAZIONI OFFSHORE

2.1. Le competenze nel mare territoriale e sulla piattaforma continentale

Prima di procede allo studio delle operazioni offshore vale la pena verificare se e come la pe- culiare collocazione geografica delle piattaforme marine, su cui, e in relazione alle quali, si svolgono le dette attività, influenza il riparto delle competenze legislative nel nostro Paese, soprattutto alla luce della riforma del Titolo V della Costituzione, realizzata mediante l’entrata in vigore della l. cost. 18 ottobre 2001, n. 3, che ha rivoluzionato l’esercizio della potestà legislativa da parte dello Stato e delle Regioni.

Come già evidenziato nel corso della trattazione in Italia vi sono all’incirca 138 piattaforme marine e strutture assimilabili, per la ricerca e produzione di idrocarburi liquidi e gassosi (gas natu- rale ed olio), di cui 94 posizionate entro le 12 miglia marine e 44 fuori dal mare territoriale.

A ben vedere, oltre alla dislocazione marina delle installazioni, vi sono altri elementi che concorrono a delineare il tema d’indagine, come la particolare attività svolta da tali strutture, inti- mamente connessa all’approvvigionamento energetico nazionale, e da cui deriva la necessità di oc- cuparsi del trasporto e della distribuzione dell’energia, l’esigenza di tutelare l’ambiente marino dalle operazioni offshore, così come la necessità di uniformarsi alla legislazione europea appositamente dedicata al settore e la cura dei rapporti con gli altri Paesi del Mediterraneo.

Dall’elencazione appena tentata, che di certo non può considerarsi esaustiva dei profili che investono il settore, emerge chiaramente come in essa vengono in rilievo sia materie per le quali l’art. 117, comma 2, Cost. prevede la potestà legislativa esclusiva dello Stato centrale, e sia materie che il comma successivo della stessa norma ricomprende tra quelle di legislazione concorrente.

L’eterogeneità degli interessi in rilievo, e il loro differente “peso” costituzionale, hanno pro- dotto una giurisprudenza costituzionale, pre e post riforma del 2001, in cui si ravvisa la difficoltà di individuare in maniera inequivoca il soggetto competente a legiferare.

Le sentenze cui si fa riferimento sono molteplici e per la particolarità della questione vale la pena analizzarne un considerevole gruppo.

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In particolare, nella sentenza C. cost. 21 gennaio 1957, n. 23 (135), che a quanto consta è la

prima in cui si discorre delle potestà regionali sul mare territoriale, la Consulta, adita dallo Stato sotto la vigenza dell’originario art. 117 Cost. (136), si è pronunciata nel giudizio in cui si contestava

la competenza legislativa della Regione Sardegna in materia di pesca nel mare territoriale (137).

La vicenda trae origine dall’approvazione di una legge da parte del Consiglio regionale sardo contenente disposizioni relative all’esercizio di funzioni amministrative in tema di pesca, sulla base dell’art. 3, lett. i) dello Statuto speciale che assegna la materia della pesca alla competenza legislativa regionale (138).

Di diverso avviso la difesa statale secondo cui il mare territoriale farebbe parte del demanio marittimo (139) «e poiché questo è esplicitamente escluso dai beni demaniali e patrimoniali, che dallo

Stato sono passati alla Regione ai sensi dell’art. 14 dello Statuto, alla Regione non competerebbe potestà legislativa relativamente alla disciplina della pesca nel mare territoriale, in quanto la pesca altro non sarebbe che un modo d’uso del mare territoriale, cioè del demanio marittimo. Perciò la

(135) C. cost., 26 gennaio 1957, n. 23, in Giur. cost., 1957, 364 s., con nota di M.S.GIANNINI, ivi, 365 ss.

(136) Il testo originario dell’art. 117 Cost. recitava che «La Regione emana per le seguenti materie norme legisla-

tive nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, sempreché le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale e con quello di altre Regioni: ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi dipendenti dalla Regione; circoscrizioni comunali; polizia locale urbana e rurale; fiere e mercati; beneficenza pubblica ed assistenza sanitaria ed ospedaliera; istruzione artigiana e professionale e assistenza scolastica; musei e biblioteche di enti locali; urbanistica; turismo ed industria alberghiera; tranvie e linee automobilistiche di interesse regionale; viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale; navigazione e porti lacuali; acque minerali e termali; cave e torbiere; caccia; pesca nelle acque interne; agricoltura e foreste; artigianato; altre materie indicate da leggi costituzionali. Le leggi della Repub- blica possono demandare alla Regione il potere di emanare norme per la loro attuazione».

(137) Non essendo in questa sede possibile ripercorrere compiutamente le importanti tappe storiche che hanno

portato alla regola, dapprima consuetudinaria, poi positivizzata, con cui gli Stati affermano la loro sovranità sul mare territoriale, si rimanda ai contributi enciclopedici di B.CONFORTI, Mare territoriale, cit., 651 ss.; T.SCOVAZZI, Acque

territoriali, cit., 1 ss.; ID., Mare nel diritto internazionale pubblico, cit., 306 ss.; F.FLORIO, Mare, cit., 1 ss.; A.DEL VECCHIO, Mare, cit., 509 ss.; G.CATALDI, Mare, cit., 3587 ss.

(138) Cfr. Parte centrale del «Ritenuto in fatto» della sentenza in esame. Per quanto di rilievo si riporta il testo

originario dell’art. 3, lett. i) dello Statuto speciale per la Sardegna, approvato con l. cost. 26 febbraio 1948, n. 3, in G. U. del 9 marzo 1948, n. 58, secondo cui «In armonia con la Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico dello Stato e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica, la Regione ha potestà legislativa nelle seguenti materie: (…) i) caccia e pesca. Con la l. cost. 31 gennaio 2001, n. 2 le parole «della Repubblica» hanno sostituito le parole «dello Stato».

(139) In argomento cfr. F.M.DOMINEDÒ, Principi del diritto della navigazione, Padova, 1963, 11 ss. e G.RIGHETTI,

Trattato di diritto marittimo, cit., 697 ss., che negano la natura demaniale del mare territoriale, mentre sono a favore della natura demaniale: G.ROMANELLI, Problemi giuridici della difesa del mare, in Dir. trasp., 1-1988, 76 ss.; ID., Poteri dello Stato in materia di pesca e di tutela del mare, in Pesca e tutela dell‟ambiente marino, a cura di C. Angelone, G. Di Giandomenico, Milano, 1988, 15 ss. e M.L.CORBINO, Il demanio marittimo. Nuovi profili funzionali, Milano, 1990, 36 ss. Nel senso del superamento delle precedenti tesi v. F.MORANDI, La tutela del mare come bene pubblico, Milano, 1998, secondo cui «costi- tuiscono elementi fondamentali di valutazione e configurano altrettanti momenti necessari di confronto il deciso ri- pensamento della collocazione teorica della categoria dei cosiddetti “beni comuni” nell’attuale sistema normativo, il definitivo superamento delle tipologie di raggruppamento sistematico operate a livello codicistico, la proposta di ab- bandono del “dogma” della demanialità, la valorizzazione in termini sostanziali del regime al quale risultino in concreto sottoposti i beni pubblici, il riconoscimento della strumentalità funzionale a soddisfare interessi collettivi come tratto che ne caratterizza la relativa condizione giuridica, l’attribuzione ai pubblici poteri della potestà di disciplina delle diverse utilità che i beni stessi siano idonei a rendere secondo la loro particolare natura», ivi, 172.

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competenza legislativa riconosciuta alla Regione in materia di pesca dall’art. 3 lettera i) dello Statuto dovrebbe intendersi limitata alle acque interne; tenuto conto dell’art. 14 dello Statuto e, anche, dell’art. 117 della Costituzione» (140).

Il procedimento interpretativo utilizzato dai giudici costituzionali prende le mosse dall’analisi dell’allora vigente art. 117 Cost., per il quale le regioni potevano emanare norme nei limiti dei prin- cipi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato in materia di «pesca nelle acque interne», mentre lo Statuto speciale per la Sardegna all’art. 3 lett. i) afferma, più genericamente, la competenza regionale su «caccia e pesca» (141).

Enfatizzando il tenore letterale di questa ultima disposizione la Corte costituzionale ha affer- mato che «la lettera della norma statutaria non lascia dubbi interpretativi perché la pesca, nel signi- ficato comune del termine, si riferisce tanto alle acque interne quanto alle acque del mare» (142), per

poi negare la rilevanza della nozione di mare territoriale perché «Anche se il mare territoriale non facesse parte del territorio della Regione a tutti gli effetti della competenza regionale, l’attribuzione alla Regione dei poteri legislativi ed amministrativi relativi alla pesca marittima importa che la di- sciplina regionale in materia debba estendere la propria efficacia fino all’estremo margine dello spazio marittimo che circonda il territorio e sul quale, sia pure a titolo accessorio, si esercita il potere dello Stato» (143).

Sulla falsariga di questa prima interessante decisione anche la successiva sentenza C. cost. 8 luglio 1958, n. 49 (144), che, originata dal provvedimento del Consiglio regionale sardo con cui si

disciplinava l’abolizione dei diritti esclusivi perpetui di pesca e l’esercizio della pesca nelle acque interne e lagunari della Sardegna, conferma la titolarità della competenza legislativa in capo alla regione.

In questo caso il ricorso statale lamentava l’incostituzionalità del precetto regionale «limita- tamente alle acque lagunari, perché queste fanno parte del demanio marittimo che ai sensi dell’art. 14 dello Statuto per la Sardegna non è stato trasferito dallo Stato alla Regione: perciò spetterebbe allo Stato disciplinare la pesca in quanto si afferma che questa è un uso delle acque lagunari» (145).

(140) Ai sensi dell’art. 14 dello Statuto speciale per la Sardegna «La Regione, nell’ambito del suo territorio, suc-

cede nei beni e diritti patrimoniali dello Stato di natura immobiliare e in quelli demaniali, escluso il demanio marittimo. I beni e diritti connessi a servizi di competenza statale ed a monopoli fiscali restano allo Stato, finché duri tale condi- zione. I beni immobili situati nella Regione, che non sono di proprietà di alcuno, spettano al patrimonio della Regione».

(141) Cfr. art. 3, lett. i) dello Statuto speciale per la Sardegna.

(142) Cfr. parte iniziale del «Considerato in diritto» della sentenza in parola.

(143) Cfr. parte centrale del «Considerato in diritto» della pronuncia in commento.

(144) C. cost., 8 luglio 1958, n. 49, in Giur cost., 1958, 577 ss.

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Alla menzionata contestazione si aggiunge quella relativa alle argomentazioni già espresse dalla consulta nel giudizio più sopra analizzato, ove si evidenzia che «anche ad ammettere, secondo un precedente giurisprudenziale della Corte costituzionale, che la pesca nelle acque pubbliche non costituisca uso del demanio idrico interno e marittimo, i diritti esclusivi perpetui di pesca nelle acque del demanio marittimo sarebbero diritti patrimoniali di singoli e come tali si concreterebbero in un vero e proprio uso delle acque, sì che la loro abolizione non potrebbe essere compresa nella materia della pesca» (146).

Gli esposti ragionamenti non riescono a scalfire il convincimento della Corte che «non può che confermare la propria giurisprudenza e quindi è da ritenersi infondata la censura del ricorrente che nega alla Regione il potere di legiferare in materia di diritti di pesca nelle acque lagunari in quanto le lagune fanno parte del demanio marittimo ed il demanio marittimo appartiene allo Stato e non alla Regione, per espressa disposizione dell’art. 14 dello Statuto speciale per la Sardegna» (147).

Sul secondo profilo, quello inerente alla qualificazione dei diritti esclusivi di pesca come diritti d’uso delle lagune, la consulta rileva come «tanto che il diritto di pesca spetti al titolare uti singulus piuttosto che uti civis, quanto che sia esclusivo o meno, perpetuo o temporaneo, l’attività mediante la quale questo diritto potrà essere esercitato sarà sempre la pesca. Perciò se il legislatore regionale prende in considerazione questi diritti per le esigenze di disciplina di quei pubblici interessi di rile- vanza economica e sociale, che servono a determinare la materia della pesca, le limitazioni acces- sorie che i diritti stessi, sorti o riconosciuti in periodo di competenza legislativa esclusiva dello Stato sia in materia di pesca, sia in materia di disciplina delle acque pubbliche, importavano all’uso del bene demaniale, non possono costituire ostacolo alla competenza legislativa regionale, qualora le limitazioni stesse, lungi dall’essere aggravate o anche soltanto modificate, vengano di fatto a scom- parire come conseguenza della nuova disciplina della pesca» (148).

Nel solco di queste prime pronunce è stata decisa, con la sentenza C. cost. 29 ottobre 2008, n. 102 (149), anche la più attuale vicenda in cui, questa volta dopo la riforma del 2001, lo Stato ricorre

promuove la questione di costituzionali nei confronti della norma regionale sarda con cui si istituiva un’imposta regionale sulle unità da diporto, per lo scalo nei porti, negli approdi e nei punti di or- meggio «perché, con riferimento alle unità da diporto che effettuino lo scalo “in zona non attrez- zata, in uno specchio di mare ridossato, dove l’ormeggio sia effettuato a terra, utilizzando la strut- tura naturale della spiaggia”, la Regione ha individuato “come presupposto di imposta l’utilizzo di

(146) Cfr. parte centrale del «Ritenuto in fatto» della sentenza in esame.

(147) Cfr. parte iniziale del «Considerato in diritto» della decisione in parola.

(148) Cfr. Cfr. parte centrale del «Considerato in diritto» della sentenza in esame.

(149) C. cost., 13 febbraio 2008, n. 102, in Giur. cost., II, 2008, 1194 ss., con nota di F.SORRENTINO, Svolta della

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un bene naturale, sul quale non può esercitare poteri”, quale il mare, “soggetto solo al potere statale entro i limiti del mare territoriale”» (150).

La consulta risolve la questione sollevata dallo Stato richiamando quanto già espresso nella sua precedente giurisprudenza evidenziando che, sebbene nel caso di specie i campi di ormeggio ubicati nel mare territoriale debbano essere considerati quali pertinenze del demanio marittimo (151),

la detta circostanza non sarebbe dirimente perché «“anche se il mare territoriale non facesse parte del territorio della Regione a tutti gli effetti della competenza regionale, l’attribuzione alla Regione dei poteri legislativi ed amministrativi” in una determinata materia “importa che la disciplina regio- nale (…) debba estendere la propria efficacia fino all’estremo margine dello spazio marittimo che circonda il territorio e sul quale, sia pure a titolo accessorio, si esercita il potere dello Stato”. Il mare territoriale, nel quale sono ubicati i suddetti campi di ormeggio, viene pertanto in rilievo come mero àmbito spaziale in relazione al quale la legge regionale è legittimata a prevedere fattispecie ed effetti giuridici, nei limiti in cui ciò sia consentito dalle attribuzioni legislative della Regione» (152).

Di segno diametralmente opposto, ossia orientate verso il riconoscimento delle prerogative statali, altre pronunce della Corte costituzionale, alcune delle quali particolarmente interessanti per questo studio.

La più lontana nel tempo è la C. cost. 3 aprile 1968, n. 21 (153) in cui sono due Regioni, e

segnatamente Sicilia e Sardegna, ad impugnare una legge dello Stato, ossia la spesso citata l. 21 luglio 1967, n. 613, concernente ricerche e coltivazioni degli idrocarburi liquidi e gassosi nel mare territoriale e nella piattaforma continentale, avanzando propri diritti sulle risorse del fondo e del sottofondo marino che circonda le rispettive isole (154).

(150) Cfr. punto 1.3 del «Ritenuto in fatto» della sentenza in commento.

(151) Cfr. in argomento gli artt. 28 e 29 c. nav. che si riferiscono ai beni e alle pertinenze del demanio marittimo,

prevedendo all’art. 28 c. nav. che «Fanno parte del demanio marittimo: a) il lido, la spiaggia, i porti, le rade; b) le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare, i bacini di acqua salsa o salmastra che almeno durante una parte dell’anno comunicano liberamente col mare; c) i canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo» e il successivo art. 29 c. nav. che «Le costruzioni e le altre opere appartenenti allo Stato, che esistono entro i limiti del demanio marittimo e del mare territoriale, sono considerate come pertinenze del demanio stesso».

(152) Cfr. parte centrale del punto 8.2.6. del «Considerato in diritto» della sentenza in esame.

(153) C. cost., 3 aprile 1968, n. 21, in Giur. cost., 1968, 396 ss., con nota di L.PALADIN, Territorio regionale e piatta-

forma continentale, ivi, 402 ss.

(154) A tale proposito si segnala anche la sentenza C. cost. 7 aprile 2011, n. 112 in cui è protagonista la Provincia

Autonoma di Bolzano che ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, commi 3, 4, 5, 6 e 7, d. lgs. legislativo 11 febbraio 2010, n. 22 per il «Riassetto della normativa in materia di ricerca e coltivazione delle risorse geotermiche, a norma dell’articolo 27, comma 28, della legge 23 luglio 2009, n. 99» evidenziando come la disciplina in parola, regolamentando le risorse geotermiche «assegna al patrimonio indisponibile dello Stato le risorse geotermiche di interesse nazionale ed al patrimonio indisponibile regionale quelle di interesse locale ed individua nelle Regioni o enti da esse delegati le autorità competenti per le funzioni amministrative riguardanti le risorse geotermiche d’interesse nazionale e locale, mentre individua organi statali come competenti nel caso di risorse geotermiche rinvenute nel mare territoriale e nella piattaforma continentale italiana» sottraendo la materia delle miniere, comprese le acque minerali e termali, cave e torbiere dalla competenza legislativa primaria delle provincie autonome. A tale proposito la Corte ha, tra l’altro, stabilito che «La disposizione impugnata, infatti, conferisce, in base al principio di sussidiarietà, le funzioni

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Sul punto i giudici della consulta negano la competenza regionale facendo rilevare che «al tempo della promulgazione dello Statuto siciliano e di quello sardo, l’esistenza a favore dello Stato del diritto inerente a tali risorse era internazionalmente oggetto di serie discussioni» per cui sarebbe impossibile ammettere che lo Stato centrale avesse attribuito alle regioni una potestà legislativa ed amministrativa «che nemmeno esso poteva ritenere certamente ed indiscutibilmente nella sua sfera, e che comunque internazionalmente, neanche entro un minimo di utilizzabilità, era geografica- mente e giuridicamente definita» (155).

Inoltre, il percorso argomentativo di questa sentenza si arricchisce di una interessante argo- mentazione nella parte in cui ricostruisce quello sulla piattaforma continentale come «un diritto che è condizionato dall’utilizzabilità economica del suo oggetto, tanto vero che l’art. 1 primo comma della legge impugnata, oltre i duecento metri di profondità, genericamente lo estende fino al limite della possibilità di sfruttamento; e lo Stato italiano fu in grado di esercitare quel diritto soltanto in tempo recente. La prima manifestazione di tale esercizio è infatti quella con cui fu affidato all’Ente nazionale idrocarburi il compito di eseguire ricerche su alcune zone marine dell’Adriatico, in base alla legge 10 febbraio 1953, n. 136, posteriore alla promulgazione degli Statuti delle regioni ricor- renti; solo dopo tale promulgazione perciò la piattaforma continentale assunse, nell’ordinamento interno, ma parzialmente, il carattere di bene giuridico, perché solo allora acquistò il requisito dell’appropriabilità, che è essenziale per la qualifica di una cosa come bene» (156).

In dottrina i poteri dello Stato sul fondo e sul sottofondo marino «di contenuto e di intensità uguali per tutta la fascia che va dalla linea della bassa marea fino al limite esterno della piattaforma», sono stati qualificati come «poteri che impegnano la responsabilità internazionale dello Stato, poteri di sovranità esterna, si potrebbe dire, e che segnano la differenza di trattamento giuridico del mare

amministrative in tema di ricerca e coltivazione delle risorse geotermiche alle Regioni, e, quindi, anche alla Provincia autonoma di Bolzano, e non risulta, pertanto, in alcun modo lesiva, delle attribuzioni costituzionali della ricorrente. Come, d’altronde, non lesiva risulta essere la attribuzione ad organi statali delle funzioni amministrative riguardanti le risorse geotermiche rinvenute nel mare aperto e nella piattaforma continentale italiana, posto che si tratta di ambiti di territorio sottratti alla competenza regionale e ricadenti pacificamente in quella dello Stato».

(155) Cfr. punto 2 del «Considerato in diritto» della pronuncia in esame, in cui non si manca di far riferimento al

panorama legislativo internazionale evidenziando che «Le manifestazioni che si erano avute ad opera di Stati stranieri non avevano prodotto una norma internazionale di valore generale; e fino ad oggi, del resto, nemmeno la convenzione