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Oltre ai valori patrimoniali sopra indicati deve essere considerato e valutato anche l’avviamento, secondo il suo valore effettivo.

La situazione patrimoniale è un bilancio straordinario nella redazione del quale si dovrà tener conto del valore di funzionamento dell’azienda sociale e quindi anche dell’avviamento115.

La necessità di comprendere l’avviamento dipende sia dal fatto che esso di regola si è formato grazie al lavoro comune dei soci, sia dal fatto che, abbandonando ai soci rimasti la propria quota di partecipazione a un’impresa produttiva, il socio recedente cede anche le future prospettive di lucro collegate all’avviamento dell’impresa stessa, sarebbe pertanto ingiusto privare di questo valore il socio receduto116.

Significativa al riguardo è una pronuncia giurisprudenziale che ha affermato la necessità di considerare il valore di avviamento nella quota di liquidazione di pertinenza del socio recedente ‘’ al fine di evitare l’ingiusta locupletazione, che altrimenti ne conseguirebbe, di colui il quale continua ad avvalersi dell’organizzazione alla quale l’avviamento inerisce e giova’’117.

L’avviamento deriva da molteplici fattori, che convenzionalmente si classificano in soggettivi e oggettivi.

I fattori soggettivi scaturiscono dalle qualità personali di coloro che operano nell’azienda, come per esempio l’elevata capacità nello svolgere le proprie mansioni lavorative, l’attitudine a trattare con la clientela, la fiducia ingenerata nei terzi, e quindi anche dei soci. Sono autonome dall’azienda.

I fattori oggettivi invece sono quelli che contribuiscono alla redditività dell’azienda ma sono indipendenti dalle persone, come per esempio l’ubicazione, la positiva immagine e notorietà presso il pubblico, le licenze per l’esercizio dell’attività, il Know how.

I fattori oggettivi sono trasferibili, in quanto, seguono l’azienda.

115 DI SABATO, Manuale delle società, Torino, Utet.

116 GHIDINI, Società personali, Cedam, Padova, 1972, p.605.

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Correttamente, il valore di avviamento andrebbe determinato considerando unicamente solo la sua parte trasferibile, in quanto è questa che rimane ai restanti soci.

Di conseguenza, l’avviamento soggettivo dato all’azienda dalle qualità personali del socio recedente non va considerato, in quanto per sua natura non trasferibile; infatti il recesso del socio priva l’azienda di questa qualità.

Nella determinazione dell’avviamento assume rilevanza negativa il ruolo importante nei contatti con la clientela rivestito durante la sua partecipazione societaria dal socio receduto; questo perché il recesso del socio, tenuto conto della qualità del suo lavoro con la clientela, ragionevolmente dovrebbe ridurre la redditività dell’azienda118.

Allo stesso modo, l’avviamento soggettivo dipendente dalle qualità dei restanti soci, non va considerato nella determinazione del valore di liquidazione della quota del receduto, in quanto quest’ultimo non può avvantaggiarsi di un valore che non ha creato. Per la determinazione dell’avviamento si potrà tener conto anzitutto dell’ultimo, o degli ultimi, redditi societari, senza che tuttavia tale parametro reddituale, per quanto significativo, sia l’unico cui far riferimento119.

Infatti il reddito conseguito negli anni passati, che pure costituisce un significativo dato di partenza, non necessariamente potrà essere lo stesso negli anni successivi, e quindi occorrerà considerare soprattutto le prospettive reddituali future per la valutazione dell’avviamento.

Sembra pertanto condivisibile l’affermazione secondo cui l’avviamento, che si manifesta attraverso la redditività aziendale,” si traduce nella probabilità, fondata su elementi presenti o passati, ma proiettata eminentemente nel futuro, di maggiori profitti per i soci superstiti’’120.

Da ciò consegue anche che manca un valore di avviamento quando, subito dopo il recesso, la società cessa in concreto l’attività e ciascuno dei soci ne intraprende singolarmente una analoga121.

118 Trib. Verona, 25 ottobre 1995; Trib. Milano, 18 gennaio 1998.

119 Cassaz. Civ, Sez I, 6 aprile 1992, n. 4210.

120 Cassaz. Civ., Sez. I, 11 febbraio 1998, n. 1403; Cassaz. Civ., Sez. I, 3 aprile 1973, n. 896;

Cassaz. Civ., Sez. I, 23 luglio 1969, n. 2772.

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Operativamente il calcolo del valore di avviamento avviene sia sulla base di procedimenti piuttosto articolati e più attendibili, sia sulla base di criteri empirici di facile applicazione ma di minore attendibilità.

Normalmente i criteri empirici di determinazione dell’avviamento applicano un coefficiente moltiplicativo dell’ultimo reddito di esercizio o ad una media dei redditi degli ultimi esercizi.

In proposito la giurisprudenza122 ha riconosciuto la validità di una determinazione del valore di avviamento sulla base dell’ultimo reddito societario risultante dalla dichiarazione redditi, considerata un procedimento di computo basato su elementi presuntivi.

Si può riscontrare anche il caso di avviamento negativo, che esprime l’incapacità dell’azienda di fornire una remunerazione almeno pari a quella normalmente ottenibile dalla sommatoria del rendimento del capitale investito in essa, e del compenso figurativo ordinario per l’apporto lavorativo prestato dall’imprenditore.

Un avviamento negativo dipende dagli stessi fattori visti a proposito dell’avviamento positivo; per la valutazione si rende necessario anche in questo caso l’esame degli elementi soggettivi ed oggettivi che concorrono alla sua determinazione, riscontrandone l’incidenza. L’avviamento negativo è riscontrabile in maniera evidente nel caso di aziende in perdita, soprattutto se la perdita si è manifestata continuamente e consistentemente in più esercizi. Esso determina sostanzialmente una diminuzione del valore dell’azienda, rispetto a quello risultante dalla sommatoria dei valori di mercato dei singoli beni, in conseguenza dell’inefficienza del coordinamento dei fattori produttivi. In altri termini, chi rileva un’azienda con un avviamento negativo dovrà sostenere dei costi aggiuntivi, o comunque, svolgere un impegnativo lavoro di riorganizzazione prima di riportarla ad un livello di redditività accettabile. Una volta determinato il valore complessivo del patrimonio aziendale, occorrerà stabilire in che misura esso spetta al socio receduto. In particolare, nel silenzio del legislatore, è dubbio se la spettanza debba essere commisurata all’entità dei conferimenti o alla misura della partecipazione agli utili e alle perdite, nel caso in cui queste ultime non siano proporzionali a tali conferimenti.

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Per evitare gli evidenti problemi al riguardo, è opportuno che l’atto costitutivo disciplini questo aspetto nel caso in cui prevede che la partecipazione agli utili, e alle perdite, non sia proporzionale ai conferimenti.

Nel caso di proporzionalità, si è affermato che la quota di pertinenza del receduto si presume coincidente con il complessivo valore dei conferimenti indicato nell’atto costitutivo, ed in sue successive modifiche, salva dimostrazione di un diverso valore maggiore o minore, da parte del creditore o debitore123.

Questa presunzione, semplice in quanto ammette una prova contraria, appare ragionevole nel caso di inattività, o al limite di brevissima durata della società, in quanto è difficile che si siano verificate in un ristretto intervallo temporale significative variazioni della consistenza patrimoniale.

Negli altri casi la presunzione non è fondata in quanto, le operazioni di gestione determinano sempre una variazione della situazione patrimoniale della società, rispetto a quella iniziale al momento della sua costituzione.

Quando il receduto ha conferito un bene in godimento per tutta la durata della società, tale apporto va valutato, ai fini della liquidazione della quota, considerando l’utilità che la società ottiene dall’essere titolare del diritto di godimento, e non il valore della proprietà del bene stesso, proprietà del resto che non è della società124.

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