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Comunicazione come “pratica della cura”

2.1 Introduzione alla comunicazione umana

2.1.1 Comunicazione come “pratica della cura”

A questo punto della riflessione può mostrarsi utile “un richiamo alla concezione heideggeriana della Cura, intesa come a priori esistenziale da cui dipendono le varie attività dell‟uomo, e in particolare la distinzione tra modo autentico e quello in autentico di aver-cura. Quello autentico rispetta e sollecita l‟originaria tendenza dell‟uomo ad aver cura dell‟altro uomo e a prendersi cura delle cose del mondo; quello in autentico consiste essenzialmente nel prendersi cura dell‟altro facendo le cose per lui, in qualche modo sostituendosi a lui”141

e, pertanto, non renderlo indipendente. Attraverso la prossimità, intesa come piena espressione dell‟intersoggettività, che il soggetto/persona esce “dal proprio orizzonte per comprendere altri mondi, altre possibilità di guardare le cose, di sentire, di sentirsi, di condividere. […] La prossimità è una nuova esperienza emotiva, affettiva, cognitiva e produce apertura alla molteplicità e alla pluralità”142.

Alberto Granese sottolinea il legame indissolubile tra la comunicazione e la categoria della prossimità intesa come «pratica della cura». La categoria pedagogica della cura è alla «base della formazione e della educazione», anzi essa ne è categoria fondante in quanto senza la cura “né educazione né formazione sarebbero possibili, né l‟uomo stesso sarebbe pensabile in quanto, sia la sua sopravvivenza biologica, nelle prime fasi della vita, sia la sua costituzione, la sua realizzazione come uomo, il suo darsi forma, forma umana e forma singola, individuale e unica, sono opera della cura, della dedizione, del sostegno, dell‟investimento affettivo […] che l‟altro o gli altri, che lo accolgono alla nascita o a cui viene affidato, costantemente gli prestano, ma anche della cura che ogni uomo rivolge a sé stesso e alle cose del mondo. La cura è legata strettamente alla originaria precarietà, fragilità, limitatezza dell‟uomo, alla sua finitudine, al suo essere perennemente esposto, all‟infondatezza stessa del suo essere. Ha bisogno di cura ciò che è a rischio,

141

R. FADDA, “Il processo formativo in pedagogia e in psichiatria”, in F. CAMBI,P. OREFICE (a cura di), Fondamenti teorici del processo formativo. Contributi per un’interpretazione, cit., p. 246.

142 V. B

URZA, “Comunicazione, relazione educativa e formazione: una prospettiva pedagogica”, in A.

COSTABILE (a cura di), La relazione educativa: prospettive interdisciplinari, Rubbettino, Soveria Mannelli 2008, p. 27.

40 ciò che è instabile e incerto, ciò che può perdersi, non certo ciò che è stabile, sicuro, eterno”143. Infatti, la comunicazione “fra soggetti-persone non può che

essere, al livello più alto, di tipo interpretativo, ed è resa possibile, oltre che caratterizzata, dall‟essere e dall‟avere in comune, sulla base di una conspecificità che è al tempo stesso una forma di „prossimità‟, sia in senso materiale e fisico, sia nel senso, […] della parabola evangelica che definisce la prossimità in termini di cura: è „prossimo‟ colui di cui si ha cura, e lo è colui che presta volontariamente e disinteressatamente la cura”144

. La cura, dunque, è “categoria fondamentale in pedagogia [… in quanto da essa] dipende la possibilità che quell‟essere umano, vulnerabile, indigente, transitorio, precario […] si salvi o si perda come uomo, sia in senso biologico che in senso esistenziale, che manchi o realizzi il suo „progetto di mondo‟. […] La cura si dispiega in tre direzioni fondamentali: cura di sé, cura degli

altri, cura delle cose del mondo. […] Tutte queste tre dimensioni della cura

sono fondamentali nei processi formativi […] La nostra formazione, è possibile a partire dalle cure che gli altri ci rivolgono [… La] prima fondamentale attività di cura, però, diventa presupposto perché possiamo diventare, a nostra volta, capaci di avere cura di noi stessi”145

. Alla categoria della cura, quindi, è riconducibile “ogni attività che abbia fini e validità educativi”146

e, dunque, in essa possiamo far rientrare anche la comunicazione intersoggettiva. Infatti, la categoria della cura è intesa non tanto “come intervento volto a neutralizzare il rischio e a scongiurare o a limitare il danno, quanto come applicazione pratica […] di un atteggiamento „creativo‟ nei confronti di persone dotate a loro volta di facoltà e capacità „creative‟”147

. Ciò detto con l‟espressione «salvare l‟umano» non si intende “semplicemente sottrarlo al rischio e „preservarlo‟, ma, appunto, porlo creativamente in essere”148. Tale possibilità è auspicabile anche attraverso la prassi comunicativa. All‟interno del contesto comunicativo, dunque, si invera ogni intervento educativo, formativo e di apprendimento. Infatti, “la letteratura pedagogica – scrive Viviana Burza – evidenzia che i diversi processi formativi, anche quelli che coinvolgono le dimensioni dello sviluppo e della crescita, si annodano ed intrecciano con i processi comunicativi e relazionali,

143 R.F

ADDA, Sentieri della formazione. La formatività umana tra azione ed evento, cit., p. 95. 144 A.G

RANESE, La conversazione educativa. Eclisse o rinnovamento della ragione pedagogica?, Armando, Roma 2008, p. 72.

145

R.FADDA, Sentieri della formazione. La formatività umana tra azione ed evento, cit., pp. 95-96. Il corsivo tra parentesi è mio.

146 A.G

RANESE, La conversazione educativa. Eclisse o rinnovamento della ragione pedagogica?, cit., p. 73. 147 Ibidem.

148

41 da considerarsi sia nelle loro specifiche e singolari connotazioni affettivo- relazionali che in quelle modalità linguistiche attraverso cui la cultura viene

mediata nei processi di trasmissione culturale”149.

Giuseppe Acone osserva che “i processi psichici di natura affettiva e relazionale sono la base strutturale e funzionale, su cui i processi formativo- educativi, con i loro attraversamenti socio-culturali, familiari, antropo-etici, comunicativi, costruiscono la base della personalità adulta”150

. Ed infatti, anche le più svariate e tradizionali problematiche della “ricerca pedagogica, quali i rapporti tra libertà ed autorità, maestro e scolaro, apprendimento e insegnamento, educazione e formazione”151

hanno trovato beneficio “dall‟apparato concettuale elaborato nell‟ambito degli studi sulla comunicazione”152

. Ciò che è opportuno sottolineare in questa sede è che non bisogna incorrere nell‟errore di ridurre, o vincolare, la ricchezza dell‟intervento pedagogico al semplice riconoscimento del nesso educazione- comunicazione. E‟, bensì, necessario scorgere in tale dimensione relazionale e comunicativa l‟indissolubile connessione tra “questa realtà e quella della formazione-educazione dell‟uomo”153, per poi rivolgere la riflessione “verso una prospettiva ermeneutica che può diventare quell‟orizzonte in grado di collegare il fenomeno formativo e quello comunicativo in modo non superficiale e banale ma critico e radicale”154

, capace di manifestare la potenza dell‟intervento formativo (che si appalesa nei processi comunicativi) anche nel progetto pedagogico dell‟integrazione. Infatti, va ampiamente ribadito agli insegnanti, e a tutti coloro che rivestono in maniera istituzionale e non il ruolo di formatori, di non sottovalutare la relazione intersoggettiva con i soggetti in formazione.