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Grafico 1.6: Gli elementi di contesto del PPP

II. La concessione di costruzione e gestione di opere pubbliche

2.1: Origini dell’istituto di concessione di costruzione e gestione

L’istituto della concessione di opera pubblica è una tipologia contrattuale che ha per oggetto la costruzione dell’opera e quanto è necessario per compierla: studi preliminari, progettazioni, attività amministrative, collaudi, ecc nonché la sua gestione funzionale ed economica per un determinato periodo di tempo. Il concessionario, attraverso lo sfruttamento economico dell’opera realizzata, percepisce dei proventi a titolo di controprestazione i quali gli permettono la remunerazione totale o parziale dei costi sostenuti per la realizzazione delle opere [Carullo, 1990: p. 459].

L’istituto della concessione ha origini antichissime; nel nostro Paese è presente già nel diritto romano. Già allora i soggetti privati realizzavano alcune opere portuali e venivano ricompensati dai capitani delle navi per l’utilizzo delle stesse [Carullo, 1993: p. 332].

Successivamente, l’istituto della concessione e gestione di opera pubblica fu ripreso durante il XVII e XVIII secolo anche in altri Paesi tra cui Francia e Inghilterra, per la costruzione di vie di comunicazione e acquedotti.

In Italia, a partire dal XIX secolo, vennero realizzate numerose opere pubbliche tra cui opere ferroviarie, marittime e idrauliche. In questo periodo, le difficoltà economico- finanziarie dei poteri pubblici imposero alle amministrazioni l’utilizzo di nuove modalità di finanziamento delle opere [Pallottino, 1990: p. 348].

L’istituto concessorio diede soluzione a un’esigenza di trasferimento dei compiti ritenuti troppo gravosi e complessi per poter essere assunti direttamente dalla pubblica amministrazione [Rocca, 1993: p. 107]. Lo Stato, per non sopportare le spese dei lavori, affidava il progetto ad alcuni imprenditori che dopo aver realizzato l’opera avevano il compito di amministrarla per un periodo di tempo, potendo prelevare una tassa che coprisse, parzialmente o integralmente, l’investimento iniziale.

È bene ricordare che il fondamento dell’istituto della concessione di costruzione e gestione non è ascrivibile solamente alla carenza di risorse economiche, bensì, anche a un’insufficienza delle capacità tecniche ed organizzative dei soggetti operanti nel

settore. Le opere da realizzare presupponevano capacità elevate, spesso mancanti nella pubblica amministrazione. Proprio per questi motivi il settore pubblico trovava conveniente affidarsi a dei soggetti privati per la progettazione, realizzazione ed eventuale gestione dell’opera, sfruttando così la maggiore esperienza e le migliori attitudini dei privati ed evitando l’esborso di somme ingenti.

La ricerca storica delle fonti normative di questo strumento può essere ripartita in due fasi: la prima compresa fra l’emanazione della legge sui lavori pubblici (legge 20 marzo 1865), e la legge che disciplina la concessione di sola costruzione (legge 24 giugno 1929); la seconda caratterizzata da numerose leggi speciali e leggi-provvedimento, emanate per realizzare particolari opere pubbliche.

Troviamo il termine “concessione”, per la prima volta, nella legge del 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, come regola generale per la realizzazione di strade ferrate. Gli articoli 242-300 di questa legge, contengono una normativa che venne successivamente definita “il prototipo dell’istituto” [Caianiello, 1987: p. 552].

Le disposizioni di legge, formulate successivamente nella seconda metà del XIX secolo, autorizzavano il governo a fare concessioni a favore di provincie, comuni e consorzi per la costruzione e gestione di strade ferrate pubbliche (legge 29 giugno 1873, n. 1475) e di opere marittime (legge 2 aprile 1885, n. 3095).

Abbiamo poi, in tema di opere idrauliche, l’art. 53 del r.d. 25 luglio 1904, n. 523, modificato successivamente dalla legge 774 del 1911 che concede a province, comuni e loro consorzi la facoltà di eseguire direttamente le opere idrauliche di seconda e terza categoria.

Oltre a quelle appena citate, ci sono le concessioni di costruzione e manutenzione delle opere e l’esercizio di mezzi occorrenti per la navigazione, disciplinate dagli artt. 27 ss. del r.d. 11 luglio 1913, n. 959, che prevedevano il diritto esclusivo del concessionario di percepire proventi e tasse di navigazione. [Rocca, 1993: p. 84]

Tutte le leggi sopra menzionate autorizzavano le concessioni di costruzione e gestione a favore di province, comuni, camere di commercio, consorzi e privati, mentre era ancora

Solo nel 1912 (artt. 41-45 del r.d. 9 maggio 1912 n. 1447), fu prevista, per la prima volta, la possibilità di affidare la concessione di costruzione senza dover esercitare il diritto di gestione.

Il regio decreto, contenente disposizioni per la costruzione di strade ferrate, prevedeva tre tipologie di concessione:

1) le concessioni di sola costruzione; 2) le concessioni di solo esercizio;

3) le concessioni integrali, riguardanti sia la costruzione sia l’esercizio di strade pubbliche ferrate.

Successivamente la legge 24 giugno 1929, n. 1137, parzialmente modificata con la legge 15 gennaio 1951, n. 34, istituzionalizzò la concessione di sola costruzione che sino ad allora era stata considerata come uno strumento a carattere eccezionale.

La norma venne riconosciuta unanimemente come fondamentale, anche se scarna (composta da appena sei articoli), poiché conteneva disposizioni d’indubbia portata normativa.

Al primo comma dell’art. 1 si prevede la possibilità: “di concedere in esecuzione a province, comuni, consorzi e privati, opere pubbliche di qualunque natura, anche a prescindere dall’esercizio delle opere stesse”. Ai commi successivi vengono disciplinate le modalità di finanziamento dell’opera, precisando che la liquidazione del corrispettivo di concessione può avvenire in un’unica soluzione o con un pagamento ripartito in non più di trenta rate annuali costanti, comprensive di capitale e interessi.

All’art. 2 è stabilito che, nell’ipotesi in cui gli affidatari siano unicamente consorzi ed enti pubblici: “il pagamento dei contributi può avvenire a consuntivo, commisurandolo alla spesa effettiva incontrata per i lavori, aumentata da una percentuale fissa per spese di amministrazione”.

All’art. 3 si stabilisce che le norme dei precedenti articoli 1 e 2 si applicano a tutte le realizzazioni che si eseguono a spese o con il sussidio dello Stato.

Dalla legge in esame si ricava come la pubblica amministrazione gode della più ampia facoltà di scelta del concessionario che può essere sia un ente pubblico che un soggetto privato. Nel caso in cui la concessione sia accordata ad un soggetto privato, questo deve

essere identificabile con assoluta precisione; l’articolo 4 della legge citata vieta, infatti, la possibilità: “di fare contratti e concessioni a privati per persone od enti da nominarsi o per società da costituirsi”.

All’art. 5 si stabilisce che le concessioni siano accordate udito il parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, mentre l’art. 6 comunica l’abrogazione del r.d. 6 agosto 1926, n. 1675.

Il contenuto molto succinto della legge n. 1137 ha lasciato spazio alla discrezionalità della pubblica amministrazione, creando numerosi inconvenienti inerenti alla scelta del concessionario, alla determinazione del compenso e dei poteri di sorveglianza della pubblica amministrazione sull’operato del concessionario [Rocca, 1993: p. 138].

Le numerose carenze della legge appena esaminata costrinsero il legislatore ad emanare, nel corso degli anni, una serie di leggi speciali o leggi-provvedimento per realizzare particolari opere pubbliche [Rocca, 1993: p. 85].

Suddividendo queste leggi per settore abbiamo [Rocca, 1993: pp. 86-91, Pellizzer, 1990: pp. 85-115]:

- il settore dell’agricoltura; - il settore delle acque pubbliche;

- il settore dell’edilizia residenziale pubblica; - il settore dell’edilizia scolastica e universitaria; - il settore aeroportuale civile;

- il settore stradale ed autostradale; - il settore inerente la rete ferroviaria.

Per quanto riguarda il settore dell’agricoltura, i provvedimenti normativi più importanti sono stati presi nell’ambito degli interventi di bonifica. Nello specifico, con il r.d.l. 13 febbraio 1933, n. 215, sono state dettate le norme per l’esecuzione dei lavori di bonifica, in parte tramite la disciplina della concessione, in parte ispirati a criteri diversi. L’articolo 13 prevede la possibilità, per l’amministrazione, di eseguire le opere pubbliche di bonifica sia direttamente che per concessione, alternando, in questo modo, soggetti pubblici e privati. Tra i concessionari erano ricompresi anche i soggetti pubblici

(province, comuni e consorzi), ma solamente in via secondaria e, cioè, “in difetto di iniziativa dei proprietari”.

Il settore relativo alle acque pubbliche fu soggetto ad una notevole produzione normativa, tanto da risultare il settore più completo di disciplina dei rapporti di concessione. L’esempio più significativo in materia è rappresentato dal r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775 che regola ogni fase del rapporto tra amministrazioni e privati, precisando le regole attinenti sia alla costruzione degli impianti necessari sia all’utilizzazione del bene.

Nel campo dell’edilizia residenziale pubblica, la norma più rilevante è rappresentata dal d.l. 19 marzo 1981, n.75, convertito nella legge 14 maggio 1981, n. 219, concernente gli interventi nell’area metropolitana di Napoli colpita dal terremoto. Questa legge merita di essere analizzata poiché ha introdotto nuovi principi in materia di concessione. L’articolo 16 individua nella concessione lo strumento esclusivo per la realizzazione dei lavori e attribuisce ai soggetti privati l’incarico di gestire il programma di ricostruzione dei territori colpiti dalla catastrofe.

La legge n. 219 è di fondamentale importanza per l’istituto concessorio in quanto completa la disciplina della concessione introducendo un’ipotesi tipica che ha per oggetto non soltanto la realizzazione delle opere, bensì tutto ciò che è necessario all’esecuzione dei lavori, compresa la progettazione e l’acquisizione delle aree. Un altro aspetto importante riguarda il fatto che la norma stabilisce criteri e principi relativi sia alla scelta dei soggetti affidatari sia alle forme e ai contenuti della convenzione [Pallottino, 1982: p. 138].

Per quanto riguarda il settore dell’edilizia scolastica e universitaria è interessante analizzare il d.l. 24 ottobre 1969, n. 701, convertito con modifiche nella legge 22 dicembre 1969, n. 952. Tale norma dispone che, nell’esecuzione delle opere di edilizia scolastica e universitaria, province, comuni e consorzi operino anche mediante l’utilizzo della concessione. Nella legge vengono inoltre disciplinati, in maniera particolarmente dettagliata il contenuto della convenzione e i meccanismi di affidamento della concessione.

Analizzando il settore aeroportuale civile troviamo la legge 5 maggio 1956, n. 524 che disciplina la possibilità di affidare in concessione ad un ente pubblico la costruzione degli aeroporti di Palermo e Venezia, e la legge 5 maggio 1956, n. 524 che prevede la concessione per la gestione degli aeroporti di Roma.

Considerando i restanti settori abbiamo diversi provvedimenti normativi concernenti la realizzazione della rete stradale e di quella ferroviaria. Nel primo caso il d.l.17 aprile 1948 n. 547, autorizza l’ANAS a costruire nuove strade direttamente o in concessione; nel caso della concessione gli affidamenti possono riguardare, anche disgiuntamente, la costruzione e la gestione. Anche la legge 24 luglio 1961, n. 729 prevede la concessione di costruzione ed esercizio delle autostrade ad enti pubblici e privati. Nel secondo caso appaiono, invece, significative le leggi 24 dicembre 1959, n. 1145 e 29 dicembre 1969, n. 1042: l’una relativa all’affidamento in concessione della seconda linea metropolitana di Roma, l’altra contenente disposizioni per la costruzione e l’esercizio di ferrovie metropolitane.

2.2: Dalla concessione di sola costruzione alla disciplina attuale

A partire dal 1912 (anno in cui, come sopra ricordato, con il r.d. 9 maggio 1912, n. 1447 è stata prevista la possibilità di affidare la concessione di costruzione senza il diritto di gestione), le concessioni di lavori pubblici sono state oggetto di una bipartizione tra la concessione di sola costruzione e la concessione di costruzione e gestione.

La prima tipologia, generalizzata con l’entrata in vigore della legge n. 1137 del 1929, ha per oggetto la costruzione dell’opera e tutto ciò che è necessario per compierla come studi preliminari, progettazione di massima ed esecutiva, espropriazioni delle aree necessarie, autorizzazioni e pareri occorrenti, sorveglianza, contabilizzazione e collaudo dei lavori. Questa tipologia normativa si caratterizza per un dato negativo e cioè per il mancato esercizio delle opere realizzate.

La seconda tipologia prevede, oltre alla costruzione e alle altre attività correlate, la gestione funzionale ed economica dell’opera per un determinato periodo di tempo [Carullo, 1990: p. 463].

La ratio dell’istituto della concessione di sola costruzione è quella di accelerare la realizzazione delle opere pubbliche. Per conseguire tale obiettivo le amministrazioni sfruttavano il carattere fiduciario della concessione di sola costruzione e il legislatore metteva in atto determinati comportamenti per raggiungere gli scopi prefissati: trasferiva le potestà pubbliche dall’amministrazione al concessionario e svincolava i soggetti privati dai controlli che normalmente il settore pubblico svolge nell’ambito della disciplina dell’appalto [Rocca, 1993: p. 119].

Il carattere fiduciario di questa tipologia di concessione rappresenta la ragione principale della diffusione dell’istituto. La scelta del contraente era presa sulla base di una valutazione fiduciaria circa la convenienza economica e le capacità tecniche necessarie per la realizzazione del progetto. La concessione di sola costruzione permetteva alla pubblica amministrazione di affidare i lavori tramite contrattazione diretta, senza ricorrere alla procedura dell’evidenza pubblica, evitando così le lungaggini derivanti dalla necessità di esperire le gare pubbliche [Livieri, 1990: p. 114]. La direttiva comunitaria n. 305 del 1971, successivamente confermata dalle direttive 1989/440 e 1993/37, ha fatto venir meno la possibilità di applicare nel nostro Paese

l’istituto della concessione di sola costruzione.

Le normative comunitarie hanno ribadito più volte l’identità tra le concessioni di lavori pubblici e gli appalti. In particolare l’articolo 3 della direttiva n. 305 del 1971 ha definito il “contratto di concessione” come: “un contratto analogo a quelli di cui all’art. 1, lettera a)6, ma in cui la controprestazione dei lavori da eseguire consiste unicamente nel diritto di gestire l’opera, oppure in questo diritto accompagnato da un prezzo”. Il legislatore italiano, a seguito di questa direttiva e della necessità di adeguamento ai principi imposti dalle normative europee, ha ricondotto l’istituto della concessione di sola costruzione nella disciplina ad evidenza pubblica, parificando la disciplina della concessione a quella del contratto d’appalto, con un’unica differenza: nel caso della concessione il corrispettivo è rappresentato dalla gestione dell’opera o dalla gestione accompagnata da un prezzo.

La legge 8 agosto 1977, n. 584, in recepimento della direttiva 71/305/CE, ha equiparato l’istituto della concessione di sola costruzione al contratto d’appalto.

La direttiva stabilisce, in maniera esplicita, che la concessione di costruzione e gestione non fa parte dell’ambito di applicazione di tale norma. L’art. 3 specifica che: “quando le amministrazioni aggiudicatrici concludono un contratto analogo a quello di cui all’art. 1 lettera a, ma in cui la controprestazione consiste nel diritto di gestire l’opera, oppure in questo diritto accompagnato da un prezzo, le disposizioni della presente direttiva non sono applicabili a tale contratto detto di concessione”.

Sull’assimilazione delle figure di concessione di sola costruzione e degli appalti si sono formate opinioni diverse.

Alcuni autori sostengono che l’equiparazione fra gli istituti in considerazione si verifica quando lo strumento della concessione è adoperato in maniera impropria [Assini, Marrotta, 1981: p. 23]. Altri sostengono: “l’inadattabilità della legge 584 ad alcuni tipi di concessione di sola costruzione, laddove soprattutto l’oggetto principale dell’atto non è l’esecuzione dei lavori, bensì il trasferimento di funzioni” [Pallottino, 1978: p. 118]. Su posizioni analoghe si trova Torregrossa, che sostiene: “la direttiva comunitaria n. 305 del 26 luglio 1971 riguarda esclusivamente la fase esecutiva della realizzazione dell’opera pubblica, ma non disciplina l’ipotesi in cui detta fase si accompagni e sia

connessa all’affidamento di poteri pubblicistici”. Dello stesso avviso è Sanio che esclude l’applicabilità della legge n. 584 alle ipotesi di esecuzione di lavori pubblici accompagnata dallo svolgimento di compiti e funzioni di carattere pubblicistico. De Lise ritiene invece che l’equiparazione tra i due istituti esiste soltanto quando la concessione è adottata per mascherare l’appalto.

Al di là delle diverse opinioni sostenute in dottrina, è bene considerare che la normativa comunitaria ha parificato i due istituti per un motivo puramente strumentale e cioè per evitare che l’appalto, mascherandosi da concessione, eludesse la direttiva comunitaria. L’obiettivo del legislatore europeo era quello di sottoporre l’istituto dell’appalto a regole procedurali che garantissero il rispetto dei principi di trasparenza, concorrenza, non discriminazione e mutuo riconoscimento. Il legislatore si è preoccupato di evitare che gli Stati membri adottassero modelli di assegnazione di lavori pubblici che generassero gli stessi effetti dell’appalto, ma che fossero esclusi dalla regolamentazione [Ferrari, Garofoli, 2012: p. 1602].

Il modello della concessione di sola costruzione è stato escluso dal nostro ordinamento poiché il diritto comunitario ci suggerisce che un contratto o è di appalto o è di concessione di costruzione e gestione, a seconda che il rischio sia a totale carico dell’amministrazione oppure a carico del privato.

Successivamente la legge 17 febbraio 1987, n. 80, assume notevole importanza nell’ambito dell’istituto concessorio in quanto venne usata come strumento per l’accelerazione dell’esecuzione di opere pubbliche, ma anche per stimolare il settore delle piccole e medie imprese edili. La legge ebbe un periodo di applicazione molto limitato (3 anni), applicandosi soltanto ai lavori di importo stimato superiore ai 20 miliardi di lire. La legge ampliò l’oggetto della concessione di lavori, prevedendo all’art. 1 la facoltà per le amministrazioni aggiudicatrici di affidare in concessione, mediante una procedura ristretta: “la redazione dei progetti, le eventuali attività necessarie per l’acquisizione delle aree e degli immobili, l’esecuzione delle opere nonché la loro eventuale manutenzione”. Concessionario poteva essere solamente un’impresa di costruzione o un raggruppamento e/o consorzi d’imprese edili, mentre i soggetti concedenti erano le amministrazioni statali, le regioni, le aziende autonome e

gli enti pubblici. L’aspetto più rilevante della legge 80 è rappresentato dall’introduzione della gara a procedura ristretta. Per quanto riguarda i concessionari, tale modalità prevedeva l’istituzione di una commissione che aveva il compito di stabilire i requisiti minimi di carattere tecnico-organizzativo (le attrezzature ed i mezzi a disposizione), ed economico-finanziario (il fatturato ed il patrimonio netto).

La commissione doveva, inoltre, stabilire i criteri secondo i quali scegliere le imprese da invitare e formulare una convenzione per l’affidamento dei lavori di concessione.

I criteri predisposti per la scelta delle imprese erano: aggregazione con imprese regionali, salari e stipendi nell’ultimo triennio, portafoglio ordini, affidamento ad imprese locali. L’innovazione più importante di questa legge era data dal fatto che non tutte le imprese in possesso dei requisiti venivano invitate, ma solamente quelle che si collocavano utilmente nella graduatoria che la pubblica amministrazione redigeva secondo i criteri prestabiliti [Rocca, 1993: p. 145-147].

Piacentini sostiene che la legge n. 80 del 1987 ha segnato un momento importante nella vita del settore anche se viene definita una “legge malfatta” e, secondo Giannini: “non è in grado di raggiungere le finalità che il legislatore si proponeva”. Il sistema economico non è riuscito, infatti, a privilegiare gli operatori di piccole-medie dimensioni, scegliendo imprese di grandi dimensioni o, comunque, grossi concentramenti di operatori.

La legge in esame pone in evidenza le enormi carenze dell’amministrazione pubblica che si dimostra incapace di progettare e realizzare opere di rilevante importo, finendo così per cedere questi compiti ai soggetti privati.

Successivamente, la direttiva comunitaria 18 luglio 1989, n. 440, recepita con il d.lgs. n. 401 del 1991, sottopone, per la prima volta, la concessione di costruzione e gestione alle regole procedurali dettate dagli appalti.

La direttiva n. 440 del 1989 si ripropone le stesse finalità della direttiva n. 305 del 1971 cercando di ampliare le garanzie di trasparenza delle procedure di aggiudicazione degli appalti. Inoltre, la direttiva in esame amplia l’ambito dell’oggetto di applicazione delle concessioni, includendo anche la concessione di committenza. Questa forma prevede che il concessionario agisca come stazione appaltante affidando, a uno o più distinti contratti d’appalto, l’intera esecuzione dell’opera.

La legge 11 febbraio 1994, n. 109 (c. d. Merloni), dopo aver escluso l’autonomia delle concessioni di sola costruzione rispetto agli appalti ed aver confermato la definizione tradizionale delle concessioni di lavori come concessioni aventi ad oggetto la costruzione e gestione dell’opera stabilì, all’art. 19, comma 3: “le amministrazioni aggiudicatrici non possono affidare a soggetti pubblici o di diritto privato l’espletamento delle funzioni e delle attività di stazione appaltante di lavori pubblici” escludendo dal sistema giuridico le concessioni di mera committenza, introdotte pochi anni prima.

La legge n. 415 del 1998, c.d. legge Merloni-ter, ha previsto la concessione di costruzione e gestione come unica forma di concessione di lavori pubblici ammissibile nel nostro ordinamento, escludendo la possibilità di ricorrere alla concessione di sola costruzione. Le legge in esame riscrive la definizione di concessione di lavori pubblici ricomprendendovi: “la progettazione definitiva, la progettazione esecutiva e l’esecuzione dei lavori pubblici, o di pubblica utilità, e di lavori ad essi strutturalmente e direttamente collegati, nonché la loro gestione funzionale ed economica”.

La legge 1 agosto 2002, n. 166, si limitò a confermare la definizione dell’istituto introdotta dalla Merloni-ter, precisando all’art. 19, comma 3: “qualora il soggetto concedente disponga di progettazione definitiva o esecutiva, l’oggetto della concessione, quanto alle prestazioni progettuali, può essere circoscritto alla revisione della progettazione e al suo completamento da parte del concessionario”.

La successiva direttiva 2004/18/CE ha nuovamente sancito l’ambito di applicazione delle concessioni di lavori intese come concessioni di costruzione e gestione e introduce, tra le amministrazioni aggiudicatrici, anche la centrale di committenza. Secondo l’art. 1, paragrafo 10, della direttiva in esame: “un’amministrazione aggiudicatrice che acquista forniture e/o servizi destinati ad amministrazioni o aggiudica appalti pubblici o conclude accordi quadro di lavori, forniture o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici”. L’intento del legislatore è quello di legittimare tale modello, sempre più diffuso tra gli Stati membri. Le centrali di

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