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Il concetto di “Comorbidità”

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Con il termine di “comorbidità” si suole indicare la presenza, in uno stesso paziente, di almeno due diverse condizioni morbose, apparentemente non correlate, che possono sovrapporsi, ovvero manifestarsi in concomitanza cronologica (comorbidità current od

intra-episodica), oppure realizzarsi in periodi successivi e distinti della vita

(comorbidità life-time od inter-episodica). Tale concetto è stato successivamente esteso fino ai diversi membri di un medesimo pedigree genealogico, in quella che è definita

comorbidità familiare.

Se facciamo esclusivo riferimento alle comorbidità psichiatriche del Disturbo Bipolare, una seconda diagnosi, le cui manifestazioni tendono solitamente a precedere l‟esordio del disordine affettivo, può esser posta in circa il 16% dei pazienti. Questa stima di prevalenza, per la verità, è estremamente variabile, a seconda delle fonti consultate[1]. In realtà, nel corso della pratica clinica, ogni specialista si accorge ben presto che le comorbidità rappresentano la regola piuttosto che l‟eccezione, giungendo alla conclusione che tali dati sono probabilmente frutto di un‟ampia sottostima.

Dopo Abuso e Dipendenza da Sostanze, i più frequenti disordini psichiatrici in comorbidità col Disturbo Bipolare sono rappresentati dai Disturbi d‟Ansia (Disturbo di Panico, Fobia Sociale, Disturbo Ossessivo-Compulsivo). Presenti, anche se con minor frequenza, Disturbi dell‟Alimentazione (Bulimia od Anoressia Nervosa), Disturbi del Controllo degli Impulsi (ad es. Gioco d‟Azzardo Patologico, Cleptomania, Piromania, etc…), Disturbi Somatoformi, Disturbi Sessuali, Disturbo da Deficit di Attenzione con Iperattività (ADHD), Disturbi della Condotta e Disturbi di Personalità del cluster B (Antisociale, Borderline, Istrionico).

Vista nel suo complesso, la portata del fenomeno è tale da far sospettare la presenza di un concreto legame patogenetico. In effetti, le tendenze più recenti individuerebbero nella disregolazione dell‟umore l‟aspetto nucleare che tende a trascinare le diverse altre comorbidità; in questo senso, si può arrivare a supporre che le comorbidità rappresentino in realtà semplici sintomi accessori della malattia maniaco-depressiva. Nel caso della Fobia Sociale, ad es., è spesso evidente un‟esacerbazione sintomatologica in corrispondenza della fase depressiva del Disturbo Bipolare ed un‟opposta tendenza al miglioramento, talora spinta sino alla transitoria risoluzione,

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durante la fase espansiva. A tal proposito, possiamo ipotizzare che il disagio nelle situazioni sociali e la tendenza ad un‟ipervalutazione del giudizio altrui, siano sottese da una contrazione dell‟autostima su base depressiva. In questo senso, la Fobia Sociale potrebbe sostituire più chiare manifestazioni affettive, costituendo un “equivalente

depressivo” piuttosto che un disturbo dotato di propria identità[2]. Parallelamente, il

miglioramento notato durante gli episodi (ipo)maniacali, generalmente connotati da assertività e ricerca dei contatti sociali, sarebbe giustificato dalla generale disinibizione comportamentale che caratterizza la fase espansiva ed andrebbe pertanto considerato quale “equivalente eccitativo”.

Si potrebbero fare analoghe considerazioni nel caso del Disturbo Ossessivo- Compulsivo. Le ossessioni, di fatto più frequenti durante la fase depressiva del Disturbo Bipolare, “sostituirebbero” la vischiosa ruminazione pessimistica e sarebbero pertanto da considerare alla stregua di un equivalente depressivo. Allo stesso modo le compulsioni, spesso accentuate nel corso delle fasi di eccitamento, potrebbero verificarsi in luogo dell‟impulsività, per cui rappresenterebbero un equivalente maniacale.

Nel caso del Disturbo di Panico, è stata talora riscontrata una correlazione con la fase di eccitamento del Disturbo Bipolare; in particolare, in alcuni sottogruppi di pazienti, gli attacchi di panico sembrano intervenire all‟acme dell‟episodio (ipo)maniacale, spesso anticipandone la risoluzione e l‟eventuale esito in una successiva fase depressiva. Si potrebbe pertanto ipotizzare che l‟attacco di panico rappresenti il sintomo d‟ansia critico-parossistica proprio di una condizione di eccitamento psichico instabile, che si viene a realizzare in un particolare momento nel decorso del Disturbo Bipolare.

Una tale prospettiva non deve tuttavia sminuire l‟importanza di questi ipotetici “sintomi accessori” che, in determinate circostanze, possono divenire l‟elemento psicopatologico preminente, fino a condizionare il livello di gravità, la prognosi di malattia, nonché il grado di disadattamento sociale e lavorativo. Basti pensare ad es. alle implicazioni negative dell‟Abuso di Sostanze, del Gioco d‟Azzardo Patologico, di alcuni Disturbi Sessuali, etc… etc…

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poiché, quale che sia l‟interpretazione che vogliamo dare al fenomeno, è pacifico che l‟associazione di più disordini psichiatrici possa influire negativamente sulla prognosi di malattia. In effetti, sappiamo che la presenza di comorbidità implica una peggiore

adesione al regime terapeutico, una minore risposta ai trattamenti, un più elevato rischio di cronicizzazione, un maggior tasso di suicidalità, più pesanti ripercussioni sul piano relazionale e socio-lavorativo. Per tutte queste ragioni, il rilievo delle

comorbidità psichiatriche non può che condizionare le aspettative del clinico e la modalità dell‟approccio terapeutico.

A nostro parere, tuttavia, l‟interesse per il fenomeno della comorbidità non dovrebbe esaurirsi sulle pur importanti implicazioni prognostico-terapeutiche, in quanto è plausibile che queste manifestazioni sottendano un comune substrato etiopatogenetico. In ogni caso, la rilevanza statistica del fenomeno è tale da screditare la fondatezza degli attuali sistemi nosografici, imponendone un‟inevitabile profonda revisione.

In realtà, la questione è ancora più complessa: il riscontro di numerose associazioni fra disordini mentali e disturbi fisici – nel DSM complessivamente indicati come

Condizioni Mediche Generali o CMG – forse troppo semplicisticamente ritenuti criterio

di esclusione per le diagnosi psichiatriche, suggerisce l‟applicazione di un approccio olistico (nel senso scientifico del termine). Ad una visione riduttiva delle malattie mentali, divenuta oramai insoddisfacente e confutata sulla base di esperienze cliniche e dati della letteratura, sarebbe cioè da preferire l‟adozione di una prospettiva unitaria, la quale non escluda aprioristicamente la possibilità che i disordini affettivi – ed il Disturbo Bipolare in particolare – siano da considerare alla stregua di malattie “sistemiche”, piuttosto che in qualità di meri Disturbi dell‟Umore.

Fra l‟altro, riteniamo che lo studio delle comorbidità psichiatriche e di quelle somatiche in particolare, permettendo di svelare eventuali raggruppamenti diagnostici ipoteticamente riconducibili a meccanismi fisiopatogenetici condivisi, rappresenterebbe un irrinunciabile strumento di ricerca, preliminare all‟indagine etiopatogenetica.

D‟altronde, vorremmo ricordare che una sindrome resta “primitiva”, “idiopatica” e “funzionale” (nell‟obsoleta contrapposizione con le forme “secondarie od organiche”), solo fintantoché non se ne scopre la causa.

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