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Capitolo 3 Vittime della giustizia e diritti uman

3.3 Il concetto di vittima per la Corte

“La Corte può essere investita di un ricorso da parte di una persona fisica, un’organizzazione non governativa o un gruppo di privati che sostenga d’essere vittima di una violazione da parte di una delle Alte Parti contraenti dei diritti riconosciuti nella Convenzione o nei suoi protocolli. Le Alte Parti contraenti si impegnano a non ostacolare con alcuna misura l’esercizio effettivo di tale diritto.”23

Questa disposizione fonda il diritto di ricorso individuale che spetta ad ogni cittadino (e non solo, come vedremo) di ogni Stato aderente al Consiglio d'Europa24, diventando di fatto il perno del sistema di protezione dei diritti umani in Europa. È grazie a questo articolo che ogni persona che si sente vittima di un abuso o di una violazione dei suoi diritti da parte del suo Stato di appartenenza o di stanziamento, può adire la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, affinché vengano stabilite le responsabilità e possa essere messo in atto il sistema di compensazione per esse.

Il testo dell'articolo 34 è basato su quello del vecchio articolo 25 della Convenzione. Con il sistema precedente, i casi originati da application da parte di privati o di organizzazioni non governative non potevano essere dichiarati ricevibili se lo Stato convenuto aveva dichiarato di non accettare la competenza della Commissione, che non aveva ancora

23 Cfr articolo 34 CEDU

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una giurisdizione obbligatoria. Va notato comunque come tutti i Paesi membri avessero accettato il diritto al ricorso individuale e che la piena accettazione del meccanismo di controllo predisposto dalla Convenzione è diventata, di fatto, una condizione per l'ammissione al Consiglio d’Europa. La regola è stata comunque formalizzata nella giurisdizione obbligatoria della Corte proprio dall'articolo 34.

La giurisprudenza in merito all’accesso alla Corte da parte degli individui ha, nel tempo25, cercato di estendere la tutela delle vittime di violazioni nella maniera più ampia possibile, affrancandosi dai principi tipici del diritto internazionale, in favore di una tutela dei diritti territoriale, non di cittadinanza. È stato quindi chiarito dalla stessa Commissione che hanno diritto a presentare ricorso anche individui non cittadini degli Stati aderenti, anche qualora non siano nemmeno ivi residenti, siano clandestini o siano apolidi. Il principio di fondo è che la Convenzione non tutela i diritti soggettivi dei cittadini degli Stati membri, ma tutela ogni individuo dalle violazioni dei suoi stessi Stati aderenti26. L’ampliamento del diritto di accesso al tribunale arriva all’apice quando la Commissione chiarisce, infine, che hanno diritto di adire la Corte anche i soggetti che normalmente hanno capacità giuridiche ridotte, come i minori e gli incapaci27, in maniera personale, senza che siano loro richiesti interventi di tutori o rappresentanti a titolo di validità legale della richiesta. Parimenti non vi è dubbio che l’ampiezza delle regole di accesso al tribunale sia dovuta anche in caso di ‘gruppi di privati’ o organizzazioni non governative, non foss’altro che per analogia con il diritto dell’apolide, stante l’assenza dell’obbligo di un

http://www.coe.int/t/dc/files/themes/pays_membres/index_it.asp 25

Sin da Commissione, dec. 288/57, in Annuaire de la Convention europèenne des droits de l’homme, Dordrecht, vol I, p 209

26 Commissione, dec 788/60, 30 marzo 1963,in Annuaire op cit, vol IV, p 141 27 Commissione, dec 2527/62, 4 ottobre 1962, in Annuaire op cit, vol V, p 239

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qualsivoglia riconoscimento legale del gruppo attore da parte della legge dello Stato convenuto.

L’articolo 34 introduce nel sistema il concetto di ‘vittima’, in quanto il soggetto che agisce contro uno Stato membro deve allegare di essere stato vittima di una violazione, dimostrando un interesse ad agire come soggetto che ha direttamente subito le conseguenze dell’azione o dell’omissione costituenti la presunta violazione dello Stato convenuto. È cruciale, nella definizione del concetto di ‘vittima’, la considerazione delle conseguenze, grazie alla quale si allarga il campo di tutela dal soggetto che ha direttamente subito l’azione o l’omissione a tutti coloro che ne hanno vissuto le conseguenze, aprendo così alla nozione di ‘vittima indiretta’, che ha un interesse personale nei confronti della cessazione della violazionee/o alla condanna dello Stato convenuto. È esemplare, in questo, il caso Assenov vs Bulgaria28 in cui la violazione di maltrattamenti e mancanza di inchiesta è considerata subita anche dai genitori del detenuto, gli Assenov, che avevano ricevuto la visita di alcuni poliziotti con l’intento di ‘raccomandare’ che fossero fatte pressioni sul figlio affinché ritirasse l’applicazione presso la Corte. Peraltro va segnalato come la nozione di vittima non si riferisca necessariamente ad un pregiudizio sofferto, che semmai incide sulla concessione dell’equa soddisfazione, ma è sufficiente dimostrare di essere stati oggetto di una violazione delle norme della Convenzione.

Lo status di vittima, a dimostrazione del fatto che esso non fa riferimento alle sole condizioni “fisiche” del soggetto, può essere perso durante lo svolgimento del procedimento: qualora ciò avvenga, il ricorso può subire un rigetto. La perdita dello status di vittima avviene qualora le autorità dello Stato convenuto abbiano riconosciuto sostanzialmente o

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anche solo formalmente la violazione e si siano adoperati per ripararla. Questa possibilità viene spesso evocata nei procedimenti a carico dell’Italia, riguardanti la violazione dell’articolo 6.1, relativamente all’eccessiva durata dei processi, in quanto lo Stato dichiara che la vittima ha ricevuto riparazione tramite il ricorso al giudice ordinario, con riferimento alla così detta Legge Pinto29. La Corte ha spesso avuto modo di sottolineare come in genere il risarcimento economico (tra l’altro spesso ritenuto ‘risibile’ ed ottenuto a seguito di un altro lungo processo che ha richiesto altre spese) non possa essere considerato come equa riparazione a processi dalla durata davvero eccessiva, oltre al fatto che la costante e mai attivamente evitata violazione è indice di mancata dimostrazione di intenti, di prevenzione e di adeguate risposte alle costanti dichiarazioni dello stesso Comitato dei Ministri30.

Quanto detto fino ad ora mostra chiaramente come con la parola ‘vittima’ non si faccia riferimento al concetto di vittima di reato, ma si metta in relazione il termine con la violazione dei diritti sanciti dalla Convenzione. Anzi, in via principale, nel settore penale, la vittima è spesso l’imputato del processo e solo in via residuale la vittima di un fatto criminale; ma siccome gli Stati contraenti si sono impegnati ad assicurare i diritti in maniera “pratica ed effettiva”31 e non in maniera teorica, essi devono predisporre legislazioni nazionali che portino rimedi effettivi alle violazioni dei diritti. In questo quadro si apre la possibilità per la vittima di reato di ricorrere alla Corte per la violazione di un proprio diritto affinché

28 Cfr application number 24760/94

29 Legge 24 marzo 2001, n. 89, “Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell'articolo 375 del codice di procedura civile.”

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Cfr fra le molte sentenze che hanno portato alla Legge Pinto: Bottazzi c. Italie [GC], no 34884/97, par. 22, CEDH 1999-V, Ferrari c. Italie [GC], no 33440/96, par. 21, 28 juillet 1999, A.P. c. Italie [GC], no 35265/97, par. 18, 28 juillet 1999, Di Mauro c. Italie [GC], no 34256/96, par. 23, CEDH 1999-V 31 Cfr Artico vs Italy 1981, par. 33

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lo Stato compia una precisa investigazione sul suo caso, processandone efficacemente il reale responsabile.

Occorre quindi verificare se esiste in capo alla vittima del reato un effettivo diritto al processo tramite un riconosciuto potere di iniziativa, analizzando la giurisprudenza creata da Strasburgo per capire se l’equo processo, come inteso dalla Corte, si possa estendere anche alla posizione della vittima di reato.

La Corte dei diritti dell’uomo ha escluso32 che l’articolo 6 possa rappresentare il fondamento per il riconoscimento del diritto di intentare di sua iniziativa un’azione penale, ma ha evidenziato che, qualora questa facoltà venga stabilita dal diritto interno sotto forma di pretesa risarcitoria nel processo penale, questo diventa sufficiente per rinvenire un diritto di carattere civile, che rientra così dal disposto del paragrafo 1 dell’articolo 6.33

Per contro si trovano, però, un gran numero di pronunce di irricevibilità di ricorsi, riferiti alla mancanza di accesso al tribunale penale, motivate dal fatto che, benché non risultasse la possibilità nel diritto nazionale di costituirsi parte civile, era comunque aperta alla persona offesa la possibilità di un giudizio civile senza attendere l’esito di quello penale.

La Convenzione, quindi, non garantisce il diritto di ottenere che uno Stato e/o un terzo venga perseguito penalmente o che sia condannato. È esemplare, in questo senso, la decisione del 14 ottobre 1996, presa dalla Commissione in seduta plenaria, sull’affare “Danini contre l’Italie”34, in cui il ricorrente chiedeva la condanna dell’Italia per violazione dell’articolo 2

32 Cfr Helmers vs Sweden 1991 par. 29 33 ibidem

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della Convenzione35 per non aver protetto la vita della propria figlia, uccisa dall’ex compagno a seguito di minacce debitamente segnalate alle quali non era stato dato seguito, in quanto la ragazza non aveva sporto denuncia in seguito alla sola segnalazione ai Carabinieri e alle loro indagini sommarie e il giudice istruttore36 aveva archiviato il caso. La Commissione riconosce lo status di vittima del ricorrente, riconosce che l’articolo 2 prevede un obbligo di protezione della vita da parte degli Stati non solo di tipo proattivo, ma anche di tipo omissivo. Ma sostiene anche che la ragazza aveva insistito su come fosse la prima e unica volta che queste minacce venivano pronunciate in sei anni, oltre al già citato fatto che alla segnalazione non era stato fatto seguito di denuncia formale: ciò basta per non permettere di sostenere che il pericolo di vita imminente fosse prevedibile. Il ricorrente si era lamentato anche del non luogo a procedere nei confronti dell’assassino della figlia, riconosciuto totalmente infermo di mente, eccependo una violazione del suo diritto ad un processo equo: la Commissione ha dichiarato come il diritto all’accesso ad un tribunale non significhi l’obbligo da parte dello Stato di perseguire penalmente qualcuno, né tanto meno di condannare un soggetto per il quale, per le leggi dello Stato, è previsto un diverso trattamento in virtù delle sue condizioni.

Il concetto di non identità sotto la vigenza dall’articolo 6 fra il diritto di accesso ad una corte e il diritto di intraprendere un processo penale contro un terzo per ottenerne la condanna è stato poi nuovamente ribadito dalla Corte a partire da Association of the victims of the terrorism vs Spain37, nel 2001: “La Corte accetta che l’associazione ricorrente possa

35 Articolo 2 - Diritto alla vita - Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nel caso in cui il delitto è punito dalla legge con tale pena.

36 Il caso era ancora sotto la vigenza del vecchio codice di procedura penale

37 L’associazione delle vittime e dei parenti delle vittime del terrorismo nasce nel 1980 a Madrid, in seguito agli attentati dell’ETA. Il ricorso in questo caso è stato giudicato inammissibile perché

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lamentare di essere stata direttamente colpita dalle circostanze dei fatti in discussione, considerando anche il rapporto diretto con le vittime delle attività dell’ETA. La Corte è cosciente della gravità di queste situazioni, ciononostante, alla luce dei presupposti citati, è d’obbligo constatare che il procedimento penale non riguarda né una disputa sui diritti civili dei ricorrenti, né la determinazione di alcuna accusa penale contro di essi, come invece nel significato dell’articolo 6 della Convenzione.” [mia traduzione].

Questa costante giurisprudenza mostra quindi come per la Corte europea i diritti delle vittime siano principalmente dei diritti di carattere civile, a cui dare spazio anche nell’ambito del processo penale, pur riconoscendo velatamente che qualcosa di più potrebbe essere fatto. Dimostrativa in tal senso è la decisione Sottani vs Italy del 24 febbraio 200538, in cui la Corte dichiara inammissibile la richiesta in quanto il ricorrente non aveva utilizzato a suo favore i mezzi previsti dall’ordinamento italiano in materia di costituzione di parte civile, ma ricorda il bisogno di tutelare i diritti delle vittime e quello di trovare posto nei procedimenti penali, in quanto è difficile ignorare la condizione di svantaggio delle vittime e la sottovalutazione dei loro diritti.

Inoltre occorre tenere conto di come il diritto di accesso al giudice, seppur per far valere diritti di stampo civilistico, potrebbe essere limitato dalle legislazioni nazionali, che invece non devono restringerli o ridurli per non vanificare il diritto stesso. In quest’ottica la Corte si è pronunciata, ad esempio, condannando la Francia per la violazione dell’articolo 6.1 a causa

l’Associazione chiedeva direttamente la condanna di un quotidiano che aveva pubblicato, nel 1995, un manifesto politica dell’organizzazione separatista basca.

38 Caso 26775/02. La moglie del ricorrente è morta all’ospedale di Firenze in seguito alle complicanze di una leucemia acuta trattata con un farmaco sperimentale non autorizzato. Secondo il marito, che sosteneva fossero stati violati gli articoli 2 e 6.1, era stato il farmaco a causare il decesso, ma il rifiuto di

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di un’ingiustificata imposizione di una somma di denaro a titolo cauzionale come condizione per ammettere la costituzione di parte civile in un processo penale, in quanto il meccanismo non permetteva di proporzionare la cifra in relazione alle condizioni economiche del richiedente39.

Altra tutela prevista di riflesso per le vittime di reato è data dalla connessione fra azione di danno e iniziativa penale, che permette di ricorrere alla Corte lamentando la violazione della durata ragionevole dei procedimenti penali. In teoria questa previsione è stata recepita dall’Italia con la già citata Legge Pinto, che statuisce –confermata poi dalla Cassazione40- che la persona acquista il diritto all’equa riparazione solo se si sia costituita parte civile.

Poco incidente statisticamente, ma molto importante sostanzialmente è anche la già citata dichiarazione della violazione dell’articolo 2, sotto il profilo del diritto alla vita, all’integrità fisica e all’inadeguatezza delle indagini penali. Questa fattispecie si realizza in genere quando un soggetto era sotto la tutela dello Stato sia perché in carcere o perché in servizio di leva, oppure qualora venga dimostrato il nesso di causalità fra la morte di un soggetto e una mancanza di difesa o di inchiesta reale ed efficace da parte delle istituzioni statali41.

Altro importante aspetto è quello della relazione fra la Corte europea dei diritti dell’uomo e la definizione del trattamento giudiziario della vittima di reato, soprattutto qualora di tratti delle dichiarazioni della vittima ai fini dell’acquisizione delle prove, si tratti di testimonianza o di mezzi di prova come i confronti o di mezzo di ricerca della prova come

effettuare l’autopsia non aveva permesso di contestare la causa ufficiale dichiarata, ossia broncopolmonite acuta.

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Cfr Ait Mouhoub contre France 1998 par. 52

40 Tra le altre, cfr Cass Sez I n 996 del 23/172003 Amendola contro Ministero di Giustizia e n 13889 del 19/9/2003 Ministero di Giustizia contro Gasparini et al. Citate in E. Rosi, Tutela delle vittime dei reati

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perquisizioni o intercettazioni42. Ovviamente anche in questo caso la questione è affrontata in maniera indiretta, trattandosi del confronto fra le sue necessità e quelle del diritto dell’imputato al giusto processo.

La legislazione di riferimento è, come sempre, quella della Decisione quadro del 15 marzo 2001 e quella della Raccomandazione sull’assistenza alle vittime di reato del 2006, oltre ovviamente alla Convenzione. La Corte si trova così a dover mediare fra il riconoscimento, da un lato, dei diritti della vittima di rispetto della dignità personale, della privacy di protezione e di sostegno; e, dall’altro, il riconoscimento del diritto ad un processo equo e dalla ragionevole durata per i processati.

Il Comitato europeo sui problemi criminali del Consiglio d’Europa, nella sessione plenaria dell’aprile 2006, ha predisposto un memorandum per la raccomandazione sopradetta in cui cita le vittime vulnerabili e ne chiarisce le previsioni relative all’assistenza. La vulnerabilità viene riferita sia a caratteristiche personali e soggettive come la minore età o le minorazioni psico-fisiche, sia a caratteristiche oggettive come l’essere vittima di reato che coinvolga la criminalità organizzata, l’essere vittima di una lesione ad un bene particolarmente sensibile come la libertà sessuale o l’intercorrere di una relazione di vicinanza emotiva fra la vittima e il suo aggressore.

Fatte queste premesse diventa cruciale per la Corte il succitato ruolo di perno fra diritti complementari.

L’articolo 6 della Convenzione ritiene garantito il diritto all’equo processo qualora il processo penale sia tenuto in pubblico e dia all’imputato la possibilità di controesaminare di persona il testimone. Per esempio in

41 Cfr ad esempio Angelova and Ilievvs Bulgaria 26 luglio 2007. 42 E. Rosi, op cit

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Bracci vs Italy43 la Corte ha dichiarato la violazione dell’Italia per una condanna per furto e abuso sessuale basata esclusivamente sulle dichiarazioni rese dalle vittime prima del processo, che hanno poi rifiutato di presentarsi in giudizio rendendosi irreperibili, in quanto la lettura del verbale delle dichiarazioni rese alla polizia44 non consente la contestazione da parte dell’accusato né ovviamente il controesame. Ciò nonostante le vittime fossero state ritenute credibili dagli accertamenti di polizia e non se la sentissero di presentarsi in udienza a causa del tipo di reato subito.

Resta quindi un problema di bilanciamento tra il diritto di controesaminare e il diritto all’anonimato e alla non ripetizione di dichiarazioni che possono far rivivere momenti traumatizzanti alla vittima. In realtà la Corte, in tempi risalenti a prima del Protocollo 11, aveva già stabilito cause di assoluta eccezionalità in cui può essere consentita la testimonianza anonima45, ossia quando risultino minacce di violenza più che fondate, quando i testimoni siano comunque già stati ascoltati in presenza dell’avvocato dell’imputato e quando vi sia un’altra identificazione della prova senza collegamento ai testimoni da assumere. Questa dichiarazione di intenti è stata poi confermata e al tempo stesso ampliata nel 200246 quando la Corte ha dichiarato, in un caso legato alla violenza sessuale su un minore in cui il bambino era stato sentito in videoconferenza, che “la Corte ha avuto riguardo alle caratteristiche speciali dei processi penali concernenti le offese sessuali. Questi processi vengono spesso svolti in modo da rappresentare un’esperienza difficile per la vittima, in particolare quando quest’ultima è posta a spiacevole confronto con l’imputato. Queste caratteristiche sono spesso preminenti

43

Caso 36822/02

44 Nel nostro ordinamento la pratica è resa possibile dall’articolo 512 cpp: Lettura di atti per

sopravvenuta impossibilità di ripetizione.

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nei casi che riguardano i minori. Nel valutare se una persona accusata riceva o meno in tale processi un trattamento di ‘giusto processo’, deve essere anche tenuto in considerazione il rispetto per la vita privata della presunta vittima. Quindi, la Corte accetta che, nei processi penali riguardanti gli abusi sessuali, certe misure per la protezione della vittima possano esser prese, garantendo che tali misure possano essere allineate con un adeguato ed effettivo esercizio dei diritti della difesa.”47 [mia traduzione].

In ogni caso la situazione sta cambiando, negli ultimi anni le dichiarazioni di violazione a favore del ricorrente vittima di reato sono aumentate e il dato reale mostra sì un aumento della commissione di violazioni, ma fondato su un aumento dell’apertura della Corte nei confronti delle esigenze di tutela della vittima del reato. Basti pensare alla crescita delle dichiarazioni di violazione dell’articolo 6.1 per l’eccessiva durata del processo riconosciute a coloro che si erano costituiti parte civile, oltre che le violazioni per la durata del procedimento di risarcimento della vittima da parte del suo aggressore e le violazioni in caso di mancanza di condanna per l’eccessiva durata di un processo che nel mentre è caduto in prescrizione e l’impossibilità quindi della vittima di chiedere un