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Comprendere è un processo che impegna diverse facoltà dell’essere umano: la vista (disposizione grafica del testo, presenza di immagini, punteggiatura), l’udito (fonologia, ma anche intonazione), la memoria, le cosiddette “conoscenze del mondo” o “enciclopedia”, come definite da Balboni (2006).

La coscienza dell’intervento di tutti questi fattori, nelle loro specificità, dei tempi e dei modi della loro attivazione è di fondamentale importanza sia per l’insegnante (o il formatore), che mira a migliorare la competenza della comprensione dei suoi studenti, sia per gli studenti stessi, che si trovano a dover sostenere prove di vario genere, dalla risoluzione di un problema di matematica alle attività di comprensione, al riassunto o anche al commento di altri tipi di testi.

Come già visto, anche altri fattori che possiamo chiamare “esterni” al lettore, intervengono nel processo di comprensione: la tipologia di testo, con la tipologia di prova ad esso collegata; il contesto, sia del lettore che quello sociale.

Di massima importanza è la tipologia di testo, soprattutto se la somministrazione avviene in un contesto di valutazione standardizzata, come quella dell’ INVALSI.

4.1 – L’intervento in classe: constatazioni e risultati

L’intervento ha consentito di rilevare che la classe oggetto di studio:

 non ha mai svolto attività di tipo metacognitivo;

 confonde le inferenze con le conoscenze pregresse su un dato argomento;

 ha problemi di ricchezza lessicale, come dimostrato dalla quantità di errori commessi nelle attività di associazione parola-definizione.

Per quanto riguarda l’aspetto metacognitivo, attraverso il modello E – M – Q – A di Irwin, gli allievi sono stati guidati ad apprendere prima, poi ad utilizzare in modo autonomo, il self – questioning, con domande da porsi prima (Planning), durante (Checking) e dopo (Evaluating) la lettura.

Al di là della comprensione, la conoscenza e padronanza degli aspetti metacognitivi sono importanti anche in un’ottica di auto-valutazione: se non si riesce a raggiungere una cosciente auto-valutazione di ciò che si comprende e ciò che non si comprende, difficilmente si potranno attivare le strategie di aggiustamento e di remediazione. La scarsa padronanza di questi aspetti sta anche alla base della sensazione , che molti studenti hanno, di aver ben compreso ciò che hanno letto, salvo, poi, non riuscire a svolgere correttamente le attività che vengono loro proposte.

Gli allievi di questa classe, hanno però dimostrato come, attraverso l’uso di questa strategia, sia stato per loro più semplice affrontare un compito di lettura, anzi il fatto di porsi delle domande durante la lettura, ha fatto loro prendere coscienza che molto spesso tali domande coincidono con quelle che si trovano poi nelle attività da svolgere. Un’altra rilevazione da fare è quella che riguarda l’uso delle WH- Questions: nonostante gli studenti le abbiano studiate in Prima media, poi non le hanno più utilizzate, come se fosse argomento che, una volta trattato e sol perché è stato trattato, sia stato dato per assimilato e quindi relegato inopportunamente nel ripostiglio delle competenze ritenute (falsamente) acquisite. Non vi è stato da parte dell’insegnante il richiamo continuo di quelle pratiche didattiche, né l’insistenza sul loro uso, né il controllo costante sulla loro corretta applicazione. La stessa amara constatazione si è potuta fare anche nelle altre classi in occasione della preparazione degli studenti di terza media ad affrontare la prova di comprensione scritta di Lingua Straniera dell’Esame di Licenza. Gli studenti pur conoscendo queste tipologie di domande, non le prendono in considerazione se non esplicitamente invitati dall’insegnante: si verifica quindi uno spreco di possibilità di miglioramento della comprensione.

Per quanto riguarda la lettura, tecnicamente considerata, la classe ha dimostrato di non rispettare sempre correttamente la punteggiatura. Purtroppo, questo fattore finisce per influire non poco sulla comprensione di ciò che si legge. Le pause, oltre a dare respiro, servono a collegare correttamente le parole e gli enunciati tra loro: se non vengono osservate al momento giusto, si perde il senso di quello che si legge.

La confusione tra inferenze e conoscenze pregresse è stata molto evidente, infatti nel momento in cui si chiedeva loro cosa sapessero già dell’argomento che si poteva evincere dal titolo del testo da leggere, gli studenti facevano inferenze su cosa potesse contenere il testo.

In realtà la prior knowledge può influire sulla formazione delle inferenze, ma sono due cose diverse, motivo per cui spesso si sono dovute ripetere le domande sulle conoscenze pregresse che pure gli allievi possedevano. E’ stato quindi importante ripetere le domande e spiegare la differenza tra le due.

Il patrimonio lessicale è un altro punto debole di questa classe, strettamente collegato alla difficoltà di comprensione. E’ vero che da ragazzi di seconda media non si può pretendere che conoscano le sfumature di significato, oppure i significati secondari di molti termini, ma c’è da dire che il lavoro sull’arricchimento lessicale dell’italiano LM non è molto praticato nella quotidianità didattica. Ciò si evince, anche, dallo spazio riservato al lessico nei testi antologici in adozione. Avendo cura di consultarne alcuni, anche non adozione nella scuola dove si è svolta la sperimentazione, si è constatato che la proprietà e il potenziamento del lessico vengono trattati in modi a dir poco “demotivanti”: liste di parole infinite collegate all’argomento trattato, oppure qualche attività minima di scarsa rilevanza didattica e di poca efficacia apprenditiva, oppure l’esplicito rimando al volume della grammatica (!!!), dove, in verità, l’attenzione al lessico è limitata solo alla spiegazione della formazione delle parole, con una tabella esplicativa del significato di tale o talaltro suffisso, prefisso, infisso.

Nella pratica didattica non è stato rilevato un lavoro sistematico sull’ampliamento lessicale, se non quando vi è stata qualche piccola attività suggerita dal testo in adozione. In generale i docenti si limitano a spiegare il significato delle parole che creano difficoltà di comprensione agli allievi; il lavoro più approfondito sul lessico

viene fatto solo in occasione dell’ unità di apprendimento di grammatica ad esso dedicata.

Sono in realtà delle occasioni perse, in quanto l’ampliamento lessicale collegato all’argomento che si tratta, come si è cercato di fare durante questo intervento, anche se in modo necessariamente limitato, porterebbe molti benefici alla comprensione. Inoltre si dovrebbe sempre fare riferimento alla costruzione delle parole, anche attraverso la segmentazione delle stesse, riconoscendo prefissi, suffissi (Serragiotto, 2004)

Ma il lavoro sul lessico andrebbe svolto in tutte le discipline; non si può certo delegare tutto questo lavoro all’insegnante di Italiano. Ogni disciplina possiede, infatti, un proprio lessico specifico, ed uno stesso termine che in un contesto ha un dato significato, in un altro contesto viene ad assumerne un altro, che talvolta non ha attinenza alcuna con il suo primo significato. E’ il caso, ad esempio, dell’avverbio “sensibilmente” nel primo testo letto in classe, in cui gli allievi non riuscivano a dedurre il significato che la parola assumeva in quel particolare contesto.

Si potrebbe obbiettare che il lessico s’impara leggendo molto, ma lì si entra in un’altra casistica riguardante la motivazione alla lettura, l’amore per essa da trasmettere agli allievi, le occasioni di lettura anche extrascolastica, quindi il contesto socio-culturale.

4.2 – I testi

Un altro fondamentale elemento, che può favorire o meno la comprensione, è il testo, intendendo qui non solo la tipologia di testo, se narrativo, espositivo, informativo, di cui pure la conoscenza delle caratteristiche specifiche può molto aiutarne l’intelligenza , ma anche altre caratteristiche.

In primo luogo è importante “didattizzare” un testo, soprattutto se non è stato scritto a fini educativi, ad esempio aggiungendovi delle immagini, adattando l’organizzazione del testo, ad esempio, in paragrafi, valutandone il lessico (Serragiotto, 2004).

Riguardo all’insegnamento dell’Italiano, Balboni (2006) suggerisce che i testi siano brevi, che diano l’idea della “fattibilità” del compito, che siano leggibili secondo una logica di tipo qualitativo, oltre che rilevanti per l’età e gli interessi degli studenti.

Molto spesso però questi suggerimenti vengono disattesi, forse perché si pensa, erroneamente, che essendo la lingua materna, non si dovrebbero incontrare grandi difficoltà; ma, come dimostrano i risultati degli studenti italiani nelle prove standardizzate, ciò non risponde a verità.

A questo proposito di seguito sono presentati i testi di due tipi di prove: uno dei due testi della prova INVALSI PQM, svolta alla fine del secondo anno dagli studenti della 2D (testo espositivo) e un testo propinato dall’OCSE ai quindicenni.

TESTO ESPOSITIVO INVALSI PQM

FIABA (tratto da wikipedia)

La fiaba è una narrazione originaria della tradizione popolare, caratterizzata da racconti medio-brevi e centrati su avvenimenti e personaggi fantastici (fate, orchi, giganti e così via) coinvolti in storie con a volte un sottinteso intento formativo o di crescita morale.

Nonostante la tendenza generalizzata a considerare la fiaba e la favola come la stessa cosa ed i due termini sinonimi, si tratta invece di generi ben distinti: la favola è un componimento estremamente corto (della durata di poche righe) con protagonisti in genere animali dal comportamento antropomorfizzato o esseri inanimati, la trama è condensata in avvenimenti semplici e veloci, ed infine l'intento allegorico e morale è molto esplicito, a volte indicato dall'autore stesso come postilla al testo; ma ancor più importante di tutto ciò, la discriminante principale fra favola e fiaba è la presenza o meno dell'elemento fantastico e magico, caratteristica peculiare della fiaba e completamente assente nella favola, basata invece su canoni realistici. È diffusa l'opinione per cui le fiabe siano tradizionalmente pensate per intrattenere i bambini, ma non è del tutto corretto: esse venivano narrate anche mentre si svolgevano lavori comuni, per esempio filatura, lavori fatti di gesti sapienti, ma in qualche modo automatici, che non impegnavano particolarmente la mente. Erano per lo più lavori femminili, ed è anche per questo che la maggior parte dei narratori è femminile; oltre al fatto che alle donne era attribuito il compito di cura e intrattenimento dei bambini. Le fiabe tutto sommato erano un piacevole intrattenimento per chiunque, e "davanti al fuoco" erano gradite ad adulti e bambini di entrambi i sessi.

Le fiabe sono state tramandate a voce di generazione in generazione per lunghi secoli e chi narrava le fiabe spesso le modificava o mescolava gli episodi di una fiaba con quelli di un'altra, dando a volte origine ad un'altra fiaba.

Esse hanno un’origine popolare: descrivono la vita della povera gente, le sue credenze, le sue paure, il suo modo di immaginarsi i re e i potenti e venivano raccontate da contadini, pescatori, pastori e montanari attorno al focolare, nelle aie o nelle stalle;

Il linguaggio della fiaba è quello dei narratori del popolo, in genere molto semplice e a volte un po' sgrammaticato, ma ricco di modi di dire e di formule popolari. Viene solitamente utilizzato il discorso diretto perché le battute del dialogo permettevano al narratore di cambiare la voce e di tener viva l'attenzione di chi ascoltava.

Sono frequenti e quasi obbligatorie le ripetizioni («Cammina, cammina...», «Cerca, cerca...», «Tanto, tanto tempo fa...», «C'era una volta...») e le triplicazioni, perché raccontare tre volte lo stesso fatto aveva lo scopo di allungare la storia, di renderla più chiara e di prolungare la sensazione di mistero. Le formule d'inizio e le formule di chiusura sono quasi sempre le stesse («C'era una volta...», «In un paese lontano...», «... così vissero felici e contenti»), numerose le formule magiche e le filastrocche.

Come nella pubblicità, la ripetizione e la ridondanza permettono una migliore penetrazione dei contenuti ed una più persistente memorizzazione, ma, prima di questo, corrispondono ad un'esigenza propria della didattica infantile

Il tempo della fiaba ha caratteristiche proprie particolari, che presentano analogie con il sogno. In primo luogo il tempo della fiaba è astorico, cioè non si può posizionare in un periodo storico preciso. In secondo luogo il suo fluire è solitamente irregolare, non assimilabile al tempo scandito dall'orologio; a volte sono presenti dei flash back, dove si parla di cose o persone "perdute", o, comunque, avvenimenti spiacevoli avvenuti nel passato.

Le fiabe popolari, soprattutto quelle di magia, sono quindi il ricordo di una antica cerimonia chiamata rito

d'iniziazione che veniva celebrata presso le comunità primitive. Durante questo rito veniva festeggiato in

modo solenne il passaggio dei ragazzi dall'infanzia all'età adulta. Essi venivano sottoposti a numerose prove con le quali dovevano dimostrare di saper affrontare da soli le avversità dell'ambiente e di essere pertanto maturi per iniziare a far parte della comunità degli adulti. Dopo le prove, i ragazzi e le ragazze, come in una rappresentazione teatrale guidata spesso da uno stregone, dovevano "morire" per celebrare la morte dell’infanzia.

Col passare del tempo il rito d’iniziazione non si celebrò più e ne rimase solamente il ricordo, ma gli anziani continuavano a ripeterlo nei loro racconti. Il racconto degli anziani venne tramandato per secoli e secoli, con trasformazioni continue, anche quando il ricordo del rito si era perso del tutto e nacque così la fiaba.

Ancora oggi, nelle opere degli scrittori moderni, possiamo riconoscere l'eredità della fiaba. Nei racconti fantastici, nelle storie di fantascienza, fantasy e horror e in altri generi di narrativa dove si incontrano esseri incredibili ed accadono fatti straordinari come nelle fiabe, ma è soprattutto nella narrativa per ragazzi ad essere evidente l'eredità della fiaba.

Tabella 7. Prova INVALSI PQM 2012.

Il testo era organizzato in 70 righe, con una diversa suddivisione in paragrafi rispetto a quella della tabella 7. Inoltre era corredato da 13 domande di vario genere: scelta multipla, risposte aperte, tabelle. Come si può notare, non vi sono indizi o immagini che facilitino la comprensione del testo. Alcune domande poste sono state formulate in maniera molto ambigua; ad esempio nella domanda B8, a cui gli studenti hanno trovato molta difficoltà a rispondere, non era affatto semplice inferire il significato della parola “ridondanza” e quindi trascrivere quelle parole che ne indicavano il significato.

Si ripropongono i problemi della pertinenza, della validità e dell’ affidabilità delle prove di verifica: cosa si vuole veramente verificare? Ed il tipo di testo, la sua struttura, il tipo di domande poste sono adeguate nel rapporto tra ciò che dicono di voler valutare e ciò che realmente valutano? La risposta non è sempre positiva, specialmente nel caso dei test INVALSI, come chi scrive ha avuto modo di rilevare in altre occasioni.

Le tabelle di seguito invece riportano uno dei testi di lettura contenuti nel test OCSE PISA del 2009.

Tabella 8. Prova OCSE PISA 2009.

Come si evince, il testo è di tipo discontinuo; vi sono infatti i grafici, da cui devono essere rilevate le informazioni richieste dalle domande. Al di là della difficoltà intrinseca che può rappresentare la lettura di un grafico, anche se dobbiamo ricordare che questo test è somministrato ai quindicenni, il testo risulta molto più motivante anche attraverso la presenza delle immagini grafiche. Inoltre è da notare che vi sono solo 5 quesiti relativi a questo testo.

L’OCSE quindi rispetta quelle che sono le indicazioni per ciò che concerne una prova che sia motivante e che dia quantomeno l’impressione di fattibilità. Rimane da chiedersi perché l’INVALSI non ne prenda esempio.

4.3 – Limiti della ricerca e prospettive

L’intervento descritto ha preso le mosse da una difficoltà rilevata anche dagli allievi: la difficoltà di comprensione di un testo. La consapevolezza della difficoltà è un primo passo importante, in quanto, di solito, gli studenti non hanno l’esatta percezione del proprio livello di (in)comprensione. Nell’ottica del “riconoscere l’esistenza di un problema segna l’inizio della sua soluzione” , si può dire che almeno in parte gli studenti abbiano voglia di “risolvere” tale problema.

In questo lavoro di ricerca si sono riscontrati dei limiti, che credo possano essere in qualche modo generalizzabili.

Per quel che riguarda i limiti di questo studio, è da rilevare che non vi è stata la possibilità, in termini di tempo, di intensificare il lavoro sul lessico, almeno per quanto riguarda il tempo del progetto di ricerca. Gli studenti avrebbero dovuto avere più occasioni per potenziare lessico.

Un altro limite è stata la totale mancanza di familiarità degli allievi con le strategie meta cognitive; infatti sarebbe opportuno iniziare gradualmente la messa in atto di tali strategie già nella scuola primaria, in modo da abituare gli allievi a svolgere il loro compito nel modo più cosciente possibile. Inoltre, anticipandone l’attuazione, le strategie diventerebbero automatiche ed automaticamente si attiverebbero.

Da questi limiti nascono le prospettive di ricerche future, sempre riguardo alla comprensione:

 lo studio dell’uso e della comprensione, da parte degli studenti, dei connettori logici;

 uno studio più approfondito sull’uso ed il significato della punteggiatura come elemento che aiuta alla costruzione di senso;

 la diffusione delle strategie metacognitve sia nella scuola primaria che nella scuola secondaria;

Per quanto riguarda i limiti di ordine più generale, invece, vi sono vari fattori.

Il primo fattore limitante è la mancanza di formazione “istituzionale” degli insegnanti, riguardo ai processi metacognitivi, alla loro attivazione e funzionamento, ma anche allo sviluppo della comprensione scritta dell’Italiano LM.

Purtroppo, l’Italia offre poche occasioni di formazione di questo tipo ed è limitante il fatto che, quando esse si presentano, debbano essere a spese dell’insegnante stesso. Bisogna che vi sia piena coscienza e conoscenza di tutti i meccanismi metacognitivi e cognitivi, dell’influsso che tali meccanismi hanno sulle performances degli studenti, in modo da portarli ad un sempre maggiore livello di auto – consapevolezza dei propri punti di forza e dei propri limiti. Solo se si ha coscienza di ciò che si sa, si può individuare ciò che non si sa.

Un altro limite è la mancanza di ricerca sistematica a livello universitario, ma anche da parte degli insegnanti, sia sulla Comprensione scritta, che sulla Valutazione, per cui molto spesso si attuano prove di verifica che non rispettano i tre criteri di validità, affidabilità e pertinenza.

Si tengono presenti modelli di valutazione provenienti dall’estero, si pensa di poterli riprodurre anche in Italia non considerando che in altri paesi vi è un back ground di ricerche, sia teoriche sia sul campo, che durano da decenni (Thorndike risale addirittura al 1917!): in mancanza di questo sostrato culturale la mera riproduzione in Italia di quei modelli risulta inevitabilmente coartata ed inefficace perché priva di fondamenta. Un altro limite è l’idea di molti insegnanti di essere vincolati alla “programmazione”iniziale: spesso sono ossessionati dalla necessità di svolgere tutte le Unità di Apprendimento programmate, poco importa se poi molti studenti non padroneggiano le competenze richieste per andare avanti!

C’è bisogno di creare percorsi formativi specifici per gli insegnanti, ma questa è un’altra storia.

Questionario POST TEST INVALSI

Alunno ……… Classe………. 1-Hai svolto la prove nazionale INVALSI di Italiano, come ti è sembrata ?

FACILE DIFFICILE

2- In quale tipo di prova hai trovato maggiori difficoltà? (più risposte possibili) d) Testo narrativo

e) Testo espositivo f) Grammatica

3- Perché hai trovato tali difficoltà? (più risposte possibili) a) I testi mi sono sembrati un po’ complessi

b) I testi avevano tante parole di cui non conoscevo il significato

c) Il tempo mi sembrava poco in rapporto al numero delle domande a cui rispondere

d) I testi erano troppo lunghi

e) Per rispondere alle domande dovevo sempre rileggere da capo il testo f) Quando arrivavo alla fine del testo avevo dimenticato l’inizio

g) Non sempre riuscivo a capire le domande

h) Non avevamo affrontato l’argomento in classe (GRAMMATICA)

i) Quando il Professore ha spiegato quell’ argomento io non l’ho capito bene (GRAMMATICA)

j) Non avevo studiato bene quell’argomento (GRAMMATICA)

k) Altro……… 4-Indica qual è stato il procedimento che hai utilizzato per rispondere alle domande:

a) Ho letto prima il testo, poi ho letto la domanda, sono ritornato sul testo, ho letto le possibili risposte ed ho scelto la risposta che secondo me era giusta.

b) Ho letto prima il testo, poi ho letto la domanda, ho letto le possibili risposte,

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