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L’auspicabile diffusione del verde urbano, suggerita anche dalla Carta di Aalborg (ICLEI, 1994) e da Agenda21, assume grande importanza ai fini del miglioramento della qualità di vita nelle città. Perché si realizzi è necessario, innanzitutto pianificare in modo razionale l’estensione del verde nel tessuto urbano, per poi valutare attentamente le sue caratteristiche qualitative e programmare di conseguenza gli interventi necessari che ne garantiscano una gestione ottimale.

La gestione delle aree verdi urbane si esprime su tre livelli:

1. organizzativo --> con il censimento e monitoraggio fitosanitario del verde, e con la redazione di un piano del verde. La base per la corretta gestione del verde è, infatti, la conoscenza quantitativa e qualitativa del patrimonio esistente e la conseguente elaborazione di un piano del verde pubblico che individui e tuteli gli spazi urbani con piante, indichi le regole generali di monitoraggio e manutenzione, permetta la programmazione degli interventi.

2. tecnico --> con il perfezionamento delle conoscenze tecniche e/o collaborazioni con istituzioni, enti di ricerca, arboricoltori e fitopatologi per sperimentare e applicare nuove tipologie di intervento, finalizzate ad ottimizzare e rendere funzionali le azioni in termini economici e organizzativi.

3. sociale --> con il coinvolgimento dei portatori di interesse (cittadini). Nelle nuove forme di democrazia, un’ampia e più diretta partecipazione alla vita delle istituzioni pubbliche, contribuisce a determinare le trasformazioni delle relazioni tra pubblico e privato, ad incrementare nei cittadini il senso di "proprietà" del bene pubblico, e di conseguenza di tutela, vigilanza e protezione. In tal senso appare utile valutare le conoscenze dei cittadini sulla gestione del verde, le criticità che emergono agli occhi dei primi fruitori del verde urbano, raccogliere i suggerimenti, fornire alla pubblica amministrazione una base di partenza per lo studio di nuove forme gestionali che tengano conto anche delle necessità emerse, sperimentare nuove forme di comunicazione per favorire il dialogo tra pubblico e privato e pervenire a decisioni condivise (Twigger-Ross e Uzzell, 1996; Bobbio e Pomato, 2007; Nali e Lorenzini, 2009; Rollero e De Piccoli, 2010).

Il presente lavoro di ricerca si è sviluppato nell’ambito dei primi due livelli, organizzativo e tecnico, precisamente attraverso il censimento del verde esistente in alcune vie della città di Nuoro, il monitoraggio sanitario di piante di Quercus ilex, la specie arborea più diffusa nelle alberate cittadine, e la sperimentazione dell’ormone metil-jasmonato per valutarne gli effetti nella prevenzione e cura della carie del legno.

La fase di censimento e soprattutto quella successiva di monitoraggio sanitario basato sulla metodologia VTA possono essere considerate le applicazioni in campo di una programmazione ragionata di monitoraggio più ampio, da estendere dalle alberate di leccio a quelle di tutte le piante presenti in città, per arrivare al documento progettuale completo di cui sopra. Sarebbe auspicabile che il comune di Nuoro affiancasse al piano urbanistico comunale (PUC) anche il Piano del verde urbano, documento progettuale in generale ancora poco utilizzato in Italia, ma la cui presenza potrebbe produrre un rilevante risparmio di denaro pubblico e una migliore organizzazione delle attività tecniche comunali.

A tale proposito, la metodologia utilizzata in queste indagini con restituzione su mappa della distribuzione delle piante per classe di rischio, può costituire un utile riferimento per i tecnici comunali sia per estendere con criteri uniformi il monitoraggio sanitario a tutti gli alberi delle altre specie vegetali presenti nella alberate cittadine, sia per programmare correttamente gli eventuali interventi necessari per il recupero vegetativo delle piante monitorate.

Nello specifico, dai risultati del monitoraggio sanitario delle piante di leccio distribuite nelle diverse vie della città è emersa l’incidenza, intesa come diffusione e intensità, dei casi di carie del legno. Ebbene, sulla base della mappa del rischio che è stata prodotta sarà possibile seguire l’evoluzione di tali casi, facendo eventualmente ricorso anche ad accertamenti strumentali, e intervenire di conseguenza per prevenire sia l’ulteriore sviluppo delle carie e dei danni conseguenti, sia eventuali nuove insorgenze. Infatti, oggigiorno grazie all’affinamento delle tecniche di monitoraggio, visive e strumentali, delle piante colpite da carie del legno è possibile individuare e caratterizzare i processi cariogeni in atto, senza ricorrere necessariamente a indagini

La normativa nazionale individua i “custodi degli alberi” come gli attori principali del monitoraggio dei fattori di rischio di sbrancamenti e/o caduta di alberi interi, e attribuisce loro la responsabilità civile e penale di eventuali danni che potrebbero derivare a persone o cose in seguito al verificarsi di tali eventi. Le amministrazioni locali custodi del verde pubblico, hanno quindi il dovere di monitorare i fattori di rischio connessi, e operare di conseguenza per ridurre al minimo le situazioni di pericolo (Sani e Marasco, 2007).

La ricerca fitopatologica in ambito urbano, da parte sua, oltre ad affinare le tecniche di monitoraggio sanitario delle piante è impegnata a chiarire gli aspetti eziologici ed epidemiologici delle malattie che colpiscono le piante in questi ambienti. Tra le affezioni più gravi, le carie del legno sono senza dubbio quelle più studiate sia per chiarire i diversi aspetti che caratterizzano il patosistema fungo cariogeno/ospite vegetale, sia per risolvere le difficoltà legate alla lotta diretta verso questi patogeni, o indirizzata a incrementare le reazioni di difesa delle piante ospiti.

Le ricerche svolte in questo lavoro di tesi per valutare l'efficacia di sostanze di facile ed economico reperimento, come il metil-jasmonato, nel coadiuvare le difese delle piante di leccio contro i patogeni agenti di carie del legno, costituiscono un primo approccio sperimentale, mai eseguito finora su una latifoglia, il leccio appunto, in ambito urbano. La scelta di operare in alberate cittadine, valutando l'attività dell’ormone metil-jasmonato direttamente sugli alberi, ha permesso di superare le limitazioni di applicabilità pratica dovute alla sperimentazione in siti diversi dal reale luogo di crescita delle piante. Tuttavia, proprio la mancanza di esperienze di riferimento, ha reso spesso problematica l’esecuzione delle prove e l’interpretazione dei risultati, tanto che è stato possibile dimostrare un incremento dell’attività difensiva delle piante solo su piante sane in seguito a trattamenti preventivi con l'ormone.

In ogni caso sono state tracciate le premesse per ulteriori ricerche più approfondite, utilizzando un maggior numero di campioni e perfezionando la messa a punto delle tecniche di indagine, per esempio per analizzare i tessuti trattati e rilevare i cambiamenti istologici anche da un punto di vista temporale. Risposte in tale senso avrebbero infatti importanti risvolti applicativi perché permetterebbero di pianificare gli interventi preventivi con metil-jasmonato in funzione del tempo di decadenza dell'effetto provocato.

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