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6. CONCLUSIONI

6.1. Conclusioni sul contenuto dell’indagine

Per mezzo dell’approfondimento teorico sono riuscita a circoscrivere e a farmi un’idea più chiara di quale fosse l’ipotesi di partenza, ovvero se ci fosse una relazione tra disabilità e invecchiamento, più precisamente se l’invecchiamento andasse ad amplificare le problematiche legate alla disabilità. Al termine di questo lavoro mi trovo a dover confutare tale affermazione, gli utenti del foyer sembrano infatti non percepire questo legame. Ho ritenuto importante dare voce anche ai dati inesistenti, mi spiego meglio: se si leggono con particolare attenzione le interviste, ci si accorge che non emerge mai la parola “disabilità”, “handicap”, oppure un elemento che faccia pensare ad una differenza con persone normodotate. Si rileva che il legame tra disabilità e invecchiamento, seppur teoricamente fondato, non è corroborato dai dati ottenuti dall’utenza. Si può supporre che vi sia un ottimo lavoro da parte degli operatori sociali del foyer per ciò che concerne il concetto di normalizzazione. Per normalizzazione intendo, in questo caso, la capacità degli operatori di far percepire l’invecchiamento come un ciclo naturale della vita comune a tutte le persone indipendentemente dalla presenza o meno di fattori disabilitanti. L’invecchiamento delle persone intervistate sembra non essere influenzato o condizionato da quelle che sono le rappresentazioni, spesso negative, che le persone hanno sull’anzianità, come ad esempio la paura della morte, la solitudine, l’isolamento sociale, la perdita di un ruolo sociale, l’intervento di malattie, ecc. Ci si potrebbe interrogare su cosa emergerebbe facendo un’indagine simile a questa con persone normodotate. Abbiamo già definito come spesso l’invecchiamento venga accostato alla solitudine, all’inoccupazione e alla regressione e perdita di funzioni. Da quest’indagine però nessuno di questi termini emerge, ciò potrebbe significare che questi aspetti non sono percepiti o comunque non in maniera svantaggiosa. Nessuno inoltre parla della morte; non la sentono vicina? Non hanno sviluppato la paura nei confronti di questo evento? In generale, al termine del lavoro di tesi, evinco che l’utenza interessata viva l’avvinarsi della senilità in maniera positiva, questo si deduce dalla motivazione intrinseca nei confronti della vita, nella voglia di avere ancora delle relazioni, dei progetti per il futuro, ma forse anche per una scemata consapevolezza. Per quattro persone su cinque la pensione è vista come un obbiettivo non tanto come fine dell’attività lavorativa, quanto come inizio della possibilità di riposo e di dedicarsi a se stessi e ai propri progetti.

Dai feedback ottenuti dai membri dell’équipe si constata come l’utilizzo dello strumento dell’intervista è risultato essere efficace nella validazione dei dati nella misura in cui hanno permesso di constatare come le risposte dell’utenza fossero

coerenti con le osservazioni della quotidianità e con gli elementi della conoscenza interpersonale tra educatore ed utente.

I dati ottenuti dalle interviste con la sorella di Irma e con Marta, l’amica di Maria, non sono stati particolarmente significativi nella prospettiva di fungere da complemento chiarificatore dei dati raccolti dalle interviste somministrate agli utenti; hanno però senz’altro avuto la bontà di dimostrare come, per questi famigliari, il futuro del parente sia già prestabilito. Cito l’esempio della sorella di Irma per comprendere quanto appena affermato; alla domanda “Le parla dei suoi progetti per il futuro”52, la sorella risponde: “Sì però con mia sorella l’abbiamo già un po’ preparata: le abbiamo

detto che quando non sarà più in grado di stare in foyer dovrà andare in una casa per anziani. Per questo è importante che non si lascia andare, quando entri in casa per anziani poi non hai più la libertà che hai quando sei a casa tua”. Questo dato, pur

non essendo generalizzabile a tutti i famigliari di ogni persona in situazione di handicap, è comunque significativo rispetto alla progettazione del futuro (eterodeterminata) di Irma e Maria. È stato tuttavia fondamentale coinvolgere le famiglie e gli operatori sociali del foyer, questo perché il modo che ha l’utenza di vivere l’avvicinarsi dell’anzianità è senz’altro influenzato dalle persone che stanno loro vicine e per poter rispondere alla domanda di ricerca bisogna tenere in considerazione tutti gli elementi in gioco, non solo l’opinione dell’utenza che resta comunque centrale in questo lavoro.

La situazione di Irma mostra come le modifiche della quotidianità avvenute a seguito del suo pensionamento siano minime; quando alla domanda numero 12 le si chiede in che modo sia cambiata la sua vita dopo il pensionamento lei stessa afferma: “è

cambiata poco e niente perché devo andare al centro diurno”. Dal punto di vista dei

dati raccolti si osserva che non vi è una reale modifica della percezione di quotidianità, va forse chiarito che in questo caso, pur essendo in pensione, è stato creato un aggancio per l’utente in questione con un centro diurno del territorio, garantendo così la possibilità di continuare a usufruire del servizio abitativo offerto dal foyer. Si rende necessario interrogarsi su quanto sia corretto operare una forzatura di questo tipo, che al momento appare come inevitabile, per permettere all’utente di continuare a vivere in foyer. Credo bisognerebbe lavorare nell’ottica di garantire alle persone un pensionamento adeguato nel rispetto dei bisogni e dei desideri, prestando comunque attenzione a garantire un apporto di stimoli che permettano di intervenire sul mantenimento delle competenze residue.

Fin dall’inizio della ricerca ero consapevole che l’andare ad indagare nel campo della percezione non mi avrebbe fornito dati oggettivi in quantità significativa. Ho però mantenuto questa direzione nella prospettiva di mettere al centro dell’indagine l’utenza

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