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Conclusioni alla luce della corretta definizione delle nozioni di minaccia penalmente rilevante e di danno patrimoniale

L’ESTORSIONE CONTRATTUALE E LE PERDURANTI INCERTEZZE INTERPRETATIVE

5. Conclusioni alla luce della corretta definizione delle nozioni di minaccia penalmente rilevante e di danno patrimoniale

e di apprezzamento sociale»79 o di «una generalità di soggetti»80, o di «un sentimento diffuso o apprezzato dai consociati»81 o, persino, del fantomatico

“uomo medio”82. Orbene, non occorre un particolare accanimento critico per rilevare l’assoluta vaghezza di tutte le suddette formule, il cui unico, preve-dibile effetto sarebbe, se prese alla lettera, quello di sostituire, al paventato capriccio dell’interessato, l’arbitraria valutazione dell’interprete. In realtà, non può essere impedito ad un soggetto di attribuire una certa utilità per sé a determinate cose, né, per quanto questa valutazione possa essere eccentrica (si pensi al collezionista di cose prive di valore monetario, per es. di tappi di bottiglie), tali cose possono legittimamente essere escluse dal novero dei beni economici: valore economico non vuol dire necessariamente valore mo-netario, e mentre quest’ultimo dipende dal valore di scambio e si determina sul mercato secondo la legge della domanda e dell’offerta, il primo si fonda sul valore d’uso, che, per sua natura, è del tutto soggettivo83.

5. Conclusioni alla luce della corretta definizione delle nozioni di

termini molto più precisi la fattispecie dell’estorsione e il relativo ambito di operatività. Si è già visto che le incertezze definitorie in tema di minaccia85 ne hanno alimentato un’indebita e incerta elefantiasi, tale da mettere a rischio valori fondanti come il principio di legalità e la stessa concezione analiti-ca del reato. Al contrario, la qualifianaliti-cazione della minaccia come minaccia di commettere un reato assicura un immediato e limpido criterio operativo per l’interprete (in primo luogo, il giudice), che potrà ravvisarne la sussistenza – come fatto delittuoso punito ex se ovvero come elemento di una più ampia fattispecie complessa – tutte le volte in cui l’agente prospetta alla vittima di commettere un reato ai suoi danni. In questo modo, l’accertamento giudi-ziale del reato non è ancorato a generiche formule, che ossequiano il princi-pio di legalità solo formalisticamente, ma alla verifica se il male prospettato dall’agente corrisponda o meno ad una qualche fattispecie di reato delineata da una determinata norma incriminatrice, in ciò consistendo molto semplice-mente il necessario requisito dell’ingiustizia.

Ma non meno importante appare il contributo che una più chiara nozio-ne di danno patrimoniale può arrecare non solo sul piano teorico ma anche dal punto di vista pratico, ad oggi segnato da una giurisprudenza non poco ondivaga nel tracciare in concreto la distinzione tra ipotesi di estorsione con-trattuale e ipotesi di violenza privata86. Così, ad esempio, in una pronuncia del 2013, il S.C., richiamandosi al filone interpretativo del danno implicito, addirittura qualificandolo espressamente come ius receptum, censurava il giudice di merito, su ricorso del Procuratore Generale, annullando con rin-vio la sentenza impugnata per aver riqualificato come mera minaccia l’inti-midazione volta ad ottenere l’assunzione di un dipendente originariamente contestata all’imputato come tentata estorsione87. Esattamente al contrario, in altro e più recente arresto, la Cassazione accoglieva la doglianza dell’impu-tato sul presupposto che le sentenze di condanna a suo carico (di primo e di secondo grado) non avevano adeguatamente dato conto della natura even-tualmente “non necessaria” dell’assunzione imposta al soggetto passivo88.

85 V. retro parag. 2. Per le analoghe difficoltà relative al concetto di violenza, v. nesso, La condot-ta tipica nel delitto di estorsione, in Dirittifondamencondot-tali.it, fasc. 2/2020, 955 s.

86 Sul pianto teorico, il distinguo tra estorsione e violenza privata è pacificamente fondato sul danno patrimoniale e sull’ingiusto profitto, che evidentemente caratterizzano, come elementi specializzanti, la prima fattispecie rispetto alla seconda, posta più genericamente a tutela della libertà di autodeterminazione del soggetto passivo (in questi termini, Cass. 22 aprile 1993, n.

1683, Rv. 194418). Cf. anche Cass. 28 settembre 2011, n. 38661, Rv. 251052, Cass. 17 maggio 2019, n. 27555, Rv. 276118. e. con specifico riferimento all’ingiusto profitto, Cass. 6 dicembre 2019, n.

50733, Rv. 277718. Per la dottrina, v. per tutti, trattandosi di questione assolutamente pacifica, mantoVani, Estorsione, in Enc. giur. Treccani, 1989, 7, Barillà, Estremi del danno e del profitto, 2003, 1537 s.

87 Cass. 28 novembre 2013, n. 48461, Rv. 258168.

88 Cass. 20 gennaio 2016, n. 8639, Rv. 266079.

Ebbene, siffatte incertezze, dismessi gli evanescenti concetti di assun-zione non necessaria e di squilibrio sinallagmatico89, appaiono facilmente superabili alla luce del criterio dell’utilità soggettiva, per effetto del quale l’accertamento giudiziale della sussistenza dell’estorsione contrattuale risul-terebbe del tutto semplificata dal punto di vista concettuale e probatorio, dovendo il giudice verificare semplicemente se la controprestazione ottenu-ta dal soggetto passivo corrisponda o meno a quanto avrebbe potuto indif-ferentemente conseguire, in cambio della propria prestazione, da chiunque altro. Ovviamente, solo in caso di accertata indifferenza, il giudicante potrà escludere la configurabilità di un effettivo danno patrimoniale (inteso come perdita di utilità soggettiva) e, quindi, del reato di estorsione contrattuale, a vantaggio della più lieve ipotesi delittuosa di cui all’art. 610 c.p.90.

In conclusione, non pare superfluo osservare che una più precisa fisio-nomia del reato di estorsione, se, per un verso, assicura le imprescindibili esigenze garantistiche più volte richiamate in questo lavoro, dall’altra non va a pregiudicare le legittime istanze repressive. Anzi, i chiarimenti proposti restituiscono l’estorsione contrattuale come figura finalmente dai contorni sufficientemente perspicui, così da potersi proporre come efficace ed affi-dabile strumento di lotta alla criminalità economica, spesso anche di matrice mafiosa91.

89 Per la critica al criterio, proposto in dottrina, dello squilibrio sinallagmatico, si è già detto so-pra al parag. 4. Quanto alla diffusa formula giurisprudenziale dell’assunzione non necessaria, non appare superfluo evidenziare l’inaffidabilità del concetto. Ci si deve chiedere, infatti, come possa stabilirsi se una data assunzione sia o non sia “necessaria”, se essa presupponga o meno l’intui-tus personae ed in relazione a quali aspetti, ad es. in relazione soltanto alle qualità strettamente professionali ovvero anche all’aspetto fisico. Ancora una volta, il rischio è quello di sostituire, nell’apprezzamento del danno economico, i genuini criteri soggettivi e il conseguente giudizio che solo il diretto interessato può legittimamente esprimere con arbitrarie valutazioni da parte di terzi (il giudice o l’interprete in generale) asseritamente “oggettivi”. Un problema analogo si è posto in tema di assunzioni carpite con l’inganno allorché l’agente sia comunque adeguatamente qualificato rispetto alle mansioni che gli sono affidate (v. heinitz, Il danno patrimoniale nella truffa, in Arch. pen., 1953, 360-361).

90 Non è fuori di luogo osservare che, in tal modo, si realizza (ma in maniera concettualmente corretta) quella «semplificazione probatoria» che talvolta la dottrina (Barillà, Estremi del danno e del profitto, 2003, 1537) ha contestato alla giurisprudenza come una sorta di ratio occulta del criterio interpretativo del danno in re ipsa.

91 La casistica giurisprudenziale, infatti, registra numerose ipotesi nelle quali l’intimidazione ai danni dell’imprenditore, in genere al fine di imporre determinate assunzioni, era connotata dal metodo mafioso (v. Cass. 5 febbraio 2001, n. 10463, Rv. 218433, Cass. 3 nov. 2005, n. 5639, Rv.

233837, Cass. 28 novembre 2013, n. 48461, Rv. 258168 e, più di recente, Cass. 20 gennaio 2016, n. 8639, Rv. 266079), ma, come si è visto, le decisioni adottate scontano le difficoltà concet-tuali ravvisabili a fondamento dei due cennati orientamenti interpretativi (del danno implicito e dell’assunzione non necessaria)

Marco Naddeo**

Sommario: 1. Il diritto penale nell’era degli ‘invisibili’: Blockchain e cryptocur-rencies. – 2. Criptovalute e dogmatica delle categorie nel diritto penale del sospetto. – 3. Utilizzo illecito delle criptovalute. – 4. Prevenzione e repressio-ne del riciclaggio mediante criptovalute. – 4.1. Criptoattività e autoriciclag-gio: il cyber self-laundering. – 5. ‘231’ e criptovalute: la responsabilità da reato dell’ente nel riciclaggio mediante monete virtuali.

CRIPTOVALUTE: PROFILI DI RILEVANZA