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CONCLUSIONI ››

Le parole di Contini in merito alla lingua di Petrarca sono state per molti anni un modello da seguire, per cui si è continuato a pensare ad una lingua chiusa, equilibrata nei toni e aristocratica. Studi recenti hanno, però, moderato quella visione e anzi sono stati valorizzate diverse componenti del testo, come l’uso di figure foniche. Anche nel campo stilistico e metrico, gli studiosi coordinati da Marco Praloran hanno individuato a vari livelli quella sperimentazione e varietà che era stata da Contini attribuita al Dante comico e petroso (la sestina, ad esempio, subisce una vera trasformazione).58 Il contributo principale alla definizione della lingua dei Fragmenta è arrivata, come si è detto, da Maurizio Vitale, per il quale la lingua del Canzoniere è intrisa di variationes per evitare la ripetizione linguistica e stilistica, considerata quale imperfezione. Si tratta di una varietas già presente nei classici, ad esempio in Cicerone e Quintiliano, che consentiva loro di mescolare antico e moderno, sublime e quotidiano. Petrarca, sfruttando le innumerevoli letture e la sua vasta cultura,59 ha saputo esprimere l’esperienza d’amore con infinite sfumature psicologiche, attraverso modi del testo quali perifrasi, traslati, metafore e polisemia; su questo piano viene riscattato anche un lessico che i più ritengono limitato, ma che ha rivelato molte possibilità espressive, rivelando una notevole capacità di ricercatezza. È un lessico che racchiude tutta la tradizione classica, romanza e scritturale, e che contiene, infatti, latinismi, gallicismi, dantismi, neologismi e parole dello stile comico.60

Il modello ideale di linguaggio della poesia è descritto nell’epistola Fam. X, 4 ove fra l’altro Petrarca scrive:61

Theologie quidem minime adversa poetica est. Miraris? parum abest quin dicam theologiam poeticam esse de Deo: Cristum modo leonem modo agnum modo vermem dici, quid nisi poeticum est? mille talia in Soipturis Sacris invenies que persequi longum est. Quid vero aliud parabole Salvatoris in Evangelio sonant, nisi sermonem a sensibus alinem sive, ut uno verbo exprimam, alieniloquium, quam allegoriam usitatiori vocabulo nuncupamus? Atqui ex huiusce sermonis genere poetica omnis intexta est. Sed subiectum aliud. Quis negat? illic de Deo deque divinis, hic de diis hominibusque tractatur, unde et apud Aristotilem primos theologizantes poetas legimus. Quod ita esse, ipsum nomen indicio est. Quesitum enim est unde poete nomen descendat, et quanquam varia ferantur, illa tamen clarior sententia est, quia cum olim rudes homines, sed noscendi veri precipueque vestigande divinitatis studio - quod naturaliter inest homini - flagrantes, cogitare cepissent esse superiorem aliquam potestatem per quam mortalia regerentur, dignum rati sunt illam omni plusquam humano obsequio et cultu augustiore venerari. Itaque et edes amplissimas meditati sunt, que templa lerunt, et ministros sacros, quos sacerdotes dici placuit, et magnificas statuas et vasa aurea et marmoreas mensas et purpureos amictus; ac ne mutus honos fieret, visum est et verbis altisonis divinitatem

58 Cfr. La metrica dei «Fragmenta», a cura di M. Praloran, Roma-Padova, Antenore, 2003. 59 Vitale, La lingua del Canzoniere di Francesco Petrarca, pp. 3-6.

60 Ivi, p. 416.

29 placare et procul ab omni plebeio ac publico loquendi stilo sacras superis inferre blanditias, numeris insuper adhibitis quibus et amenitas inesset et tedia pellerentur. Id sane non vulgari forma sed artificiosa quadam et exquisita et nova fieri oportuit, que quoniam greco sermone 'poetes' dicta est, eos quoque qui hac utebantur, poetas dixerunt. [….] et Veteris Testamenti Patres heroyco atque aliis carminum generibus usi sunt: Moyses Iob David Salomon Ieremias; Psalterium ipsum daviticum, quod die noctuque canitis, apud Hebreos metro constat, ut non immerito neque ineleganter hunc Cristianorum poetam nuncupare ausim; quippe quod et res ipsa suggerit et, si nichil hodie michi sine teste crediturus es, idem video sensisse Ieronimum, quamvis sacrum illud poema quod beatum virum, scilicet Cristum, canit nascentem morientem descendentem ad inferos resurgentem ascendentem reversurum, in aliam linguam simul sententia numerisque servatis transire nequiverit. Itaque sententie inservitum est, et tamen adhuc nescio quid metrice legis inest et Psalmorum particulas ut sunt, sic versus vulgo dicimus. Et de antiquis hactenus. Novi autem Testamenti duces, Ambrosium Augustinum Ieronimum, carminibus ac rithmis usos ostendere non operosus labor est, ut Prudentium Prosperum atque Sedulium et ceteros pretermittam, quorum soluta oratione nichil omnino, metrica vero passim cernuntur opuscula.

Scrivere poesie è considerato una continuazione della Bibbia, che dà al poeta la qualifica di cristiano anche quando non parla di argomenti sacri. C’è, infatti, un legame tra poeta e teologo: considerata la teologia come poesia sulla natura di Dio ed essendo la poesia nata come forma di lode a lui, il poeta può comunicare contenuti sacri.62 Petrarca si inserisce in una linea di scrittori spirituali, da S. Agostino a Dante, e accede alle stesse fonti bibliche di cui si era già servito quest’ultimo.63

Sulla base della presente ricerca, nel Canzoniere i libri scritturali maggiormente ripresi sono i

Salmi, il libro di Giobbe e le Lamentazioni di Geremia, considerati quelli più poetici e quindi più

adatti a un libro di versi. Nella scelta hanno probabilmente influito la liturgia e la recita del breviario, che appartenevano all’abitudine di ogni cristiano, nonché il ricordo della Passione di Cristo nella Settimana Santa. Sono quasi assenti i libri di Isaia e del Cantico dei Cantici e si nota, invece, una assidua presenza del Nuovo Testamento.64 Le aree del testo in cui c’è un maggior concentramento di lessico biblico-religioso, oltre alla canzone alla Vergine (Rvf 366), che segue una tradizione mariana ben precisa, sono quelle in cui l’amore per Laura si dimostra maggiore e dal quale il poeta tenta di distaccarsi: il sonetto 3 che racconta l’innamoramento; il 4 sulla nascita di Laura e il 16 sulla lontananza da lei; la sestina 22 sull’amore non ricambiato per l’amata; il sonetto 62 con una prima conversione nell’undicesimo anniversario dell’innamoramento; il sonetto 81 in cui, cosciente delle sue colpe, dimostra il desiderio di cambiar vita; la sestina 142, che prospetta di fronte alla crisi una via di salvezza; il sonetto 264 che racconta la mutatio vitae; infine il sonetto 365 in cui, ammettendo di aver dato troppo valore ad una “cosa mortale”, chiede perdono.

62 Cfr. G. Pozzi, Alternatim, Milano, Adelphi, 1996, pp. 173-74.

63 Il Canzoniere. Lettura micro e macrotestuale, a cura di M. Picone, Ravenna, Longo Editore, 2007, p. 35. 64 Pozzi, Alternatim, pp. 159-76.

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Forse nessuna opera di Petrarca merita l’accezione di opera cristiana al pari del Canzoniere, nei termini e nei limiti che abbiamo cercato di dimostrare con questo studio. I Rerum vulgarium

fragmenta mostrano interamente l’animo di Petrarca, pieno di dubbi e incertezze, desideri ed errori,

pianti e sofferenze. Il proposito, come rivela il Secretum, è eliminare il vizio dell’accidia e quello dell’amore per arrivare alla perfezione morale. Lo stile rispecchia i mutamenti dell’animo, il pentirsi da un lato, ma allo stesso tempo il ricadere nell’errore, e così il lessico, in gran parte moraleggiante. I 366 componimenti raccontano di una vita consumata nel peccato, in guerra contro l’amore prima, poi contro le proprie imperfezioni, per giungere infine a guardarsi allo specchio e, così com’è, arrendersi a Dio.65 La dualità che Petrarca combatte termina quando l’io si pone fuori da se stesso, quando non considera più sé stesso come fine ultimo della felicità, ma si affida alla Provvidenza. Alla fine del Canzoniere vediamo un uomo che ha conquistato piena consapevolezza di sé: sa che la ragione e i sentimenti sono doni dati da Dio e che per questo bisogna sfruttarli nel modo migliore. È una pienezza che deriva dalla coscienza: Petrarca, infatti, che conosce se stesso, non teme più l’amore passionale o la gloria terrena, vizi che gli rimproverava S. Agostino, perché ora sa collocarli in una giusta scala di valori.

Sembrerebbe una conclusione perfetta e circolare quella della preghiera alla Vergine, il pentimento iniziale che trova finalmente la pace in Dio, ma se guardiamo all’altra opera scritta negli stessi anni, i Trionfi, la loro conclusione è opposta rispetto al Canzoniere. Si può dedurre che chi scrive deve in qualche modo inventare o attenersi al già scritto. Egli, più che pentito, alla fine sembra rimasto fedele a se stesso, in quanto fedele tenace della letteratura.66

65 L. Marcozzi, Petrarca platonico, Roma, ERMES, 2012, pp. 238-40. 66 Santagata, I frammenti dell’anima, p. 326.

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