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«Oggi, 3 settembre 2015, la WHO dichiara la Liberia “free of Ebola virus transmission in the human population”. Quarantadue giorni sono passati da quando il secondo test fatto in laboratorio sull’ultimo caso confermato è risultato essere negativo. La Liberia adesso entra in un periodo di novanta giorni di massima sorveglianza» (WHO, 2015).

«7 novembre | Freetown – Oggi, la World Health Organization dichiara che la trasmissione da Ebola virus è stata fermata in Sierra Leone. Quarantadue giorni, cioè due cicli di incubazione del virus Ebola, sono passati da quando l’ultima persona confermata essere un caso di Ebola è risultata negativa al secondo test» (WHO, 2015).

«18 novembre 2015 – Questa settimana la Guinea non ha registrato nuovi casi di Ebola (al 15 novembre)» (WHO, 2015).

Dopo più di un anno dall’inizio dell’epidemia questa sembra essere giunta al suo termine, dopo un riaccendersi continuo di focolai. Un articolo su “Science” pubblicato da un gruppo di statistici dell’Università di Yale ha cercato di analizzare quali fossero le cause di questo continuo riaccendersi di focolai epidemici, che hanno “allungato” il decorso dell’epidemia stessa. La causa principale è stata attribuita alla cura dei pazienti sospetti e le cerimonie funerarie fatte in segreto. La strategia quindi più promettente per bloccare la trasmissione del virus e giungere alla conclusione dell’epidemia, è quella mirata alla comunicazione sociale, per educare a rendere noti i casi sospetti e a recarsi più rapidamente al centro di cura più vicino (agevolando anche il contact tracing, l’isolamento e il trattamento) ma soprattutto a seguire procedure di sepolture sicure e avere un controllo dei funerali, perché ogni morto funge da moltiplicatore della diffusione di Ebola (super-spreader è il termine tecnico). Se tutti i cadaveri fossero sepolti con le precauzioni sanitarie necessarie, evitando ogni contatto con i presenti, l’epidemia rallenterebbe fino a fermarsi in breve tempo. Certo, sono importanti anche l’isolamento dei malati, la quarantena dei contatti e la protezione

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degli operatori sanitari (anche perché la capacità di assistenza e intervento medico deve essere assicurata), ma da soli non basterebbero comunque a fermare il procedere del virus, poiché i trattamenti “medicali” possono essere validi ad arrestare l’epidemia all’interno del centro di cura stesso, ma il virus va arrestato primariamente all’esterno, per evitare il moltiplicarsi di susseguenti contagi.

Tutto questo è stato possibile grazie a un programma di marketing sanitario intensivo da parte delle varie organizzazioni e volontari operanti in loco che hanno sostenuto queste massicce campagne di comunicazione. Ovvio non è possibile stabile in che misura siano stati più importanti gli interventi medici da quelli di social marketing, chiaro è che l’effetto congiunto ha portato a esiti “positivi” rispetto a quanto preventivato in ipotesi di assenza completa di interventi.

La battaglia per la mitigazione e il controllo di Ebola quindi offre un esempio di marketing sanitario che si fonda sulla diffusione di conoscenza attraverso molteplici mezzi che un contesto come quello del West Africa può offrire, rispettando per quel che può le credenze locali ma allo stesso tempo indurre un cambiamento di atteggiamento e di comportamento per una condotta più consapevole.

Satolli e Strada (2015) sostengono che la comunicazione e il marketing sociale ha avuto lo stesso peso e la stessa importanza degli interventi medici «Diffondiamo

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