Le nuove scoperte sul convento dei Serviti sono etero- genee per ambito e contesto. Completano e in parte modificano il vecchio quadro sulla storia edilizia del luogo grazie a molti piccoli e inaspettati ritrovamenti, ampliano le nostre conoscenze in merito e anzi vanno anche oltre, offrendo alla comunità tecnica e scientifi- ca nuovi stimoli per la ricerca.
Tenendo conto delle scoperte del passato e del fatto che, oltre ai resti del mosaico ritrovati nello scavo nel cortile settentrionale del convento dei Serviti, altre nu- merose tessere musive di uguali dimensioni, inserite in blocchi di malta di calce, sono state scoperte anche nello scavo del cortile meridionale accanto ai resti di parti di colonne in mattoni e frammenti di malta, pos- siamo supporre che sotto il convento dei Serviti si trovi un esteso complesso architettonico di epoca romana, con ambienti mosaicati e colonnati, in una posizione esposta sulla costa occidentale dell’allora isola di Ca- podistria. In base ai resti ritrovati possiamo posizio- narlo tra la parte centrale e quella meridionale del convento, e in base alle informazioni più antiche pos- siamo supporre che si estenda anche sotto la strada a sud e a ovest del complesso conventuale.
La scoperta di una villa marittima romana è un’im- portante aggiunta alle conoscenze della storia della
colonizzazione dell’isola di Capodistria, soprattutto grazie alla ricchissima documentazione e alla com- prensione stratigrafica del contesto, che aumentano considerevolmente la conoscenza della prima età romana a Capodistria, per la quale finora disponeva- mo solamente di scarse informazioni dovute a vecchi ritrovamenti e in gran parte a singoli reperti rinvenuti in giacitura secondaria in diversi luoghi.
Le indagini sulla storia edilizia dell’architettura del convento hanno dato alcune importanti conferme alle antiche questioni storico-architettoniche, ma hanno lasciato anche numerose domande. Tra le principali novità ci sono sicuramente i muri della vecchia chie- sa medievale di S. Martino nel tratto centrale, e la scoperta della mensola murata e della colonna rin- forzata con capitello. Esse sono quasi certamente contemporanee alle altre colonne del chiostro, ossia probabilmente risalgono al XV secolo, e dimostrano che il cortile meridionale era dotato di un porticato a volte su tre lati. Nonostante queste scoperte non è ancora chiara la sequenza delle fasi di costruzione e soprattutto il loro numero. Gli scavi preliminari infat- ti mostrano che la storia dell’edificio è complessa e molto più intricata di quanto sostenuto dalle interpre- tazioni esistenti.
Tra le questioni specifiche una delle più enigmatiche riguarda il motivo per lo spostamento della nuova chiesa barocca: perché è stata costruita così lontana dal primo convento (se accettiamo l’ipotesi sempre più probabile che interpreta la parte meridionale del complesso come la più antica)? In che rapporti erano i Serviti capodistriani con i nobili cittadini che hanno contribuito alla costruzione della nuova chiesa? Qual era il ruolo effettivo, attivo, dei frati Serviti a Capo- distria? I motivi della posizione della nuova chiesa dell’ordine, costruita con i soldi dei nobili della città, che alla fine del XVI secolo sorgeva probabilmente isolata, in posizione defilata a nord del convento, sa- ranno chiariti dalle prossime indagini sulla struttura dell’edificio, ma soprattutto delle fonti archivistiche in diversi archivi. Un altro capitolo specifico, non ancora trattato, è la ricostruzione delle informazioni sul com- plesso benedettino offerte dalle fondazioni del con- vento dei Serviti.
Tenendo conto del valore complessivo del patrimo- nio, come dettato anche dalla metodologia ufficiale di preparazione dei piani di conservazione nella Re- pubblica di Slovenia, è interessante mettere in luce il significato sociale e l’eccezionale valore emoziona- le che comporta la funzione svolta dal complesso nel nostro recente passato. Duecento anni di storia come ospedale e reparto maternità hanno trasforma- to l’antico convento nella “casa natale comune” di una moltitudine di attuali abitanti della regione e di numerosi Istriani, che oggi vivono in Slovenia e in Cro- azia, come pure di due generazioni di Istriani prima di loro. L’edificio rappresenta perciò un eccezionale “luogo” in senso heideggeriano, in quanto portatore di un potente carico emotivo e incarnazione di uno straordinario sentimento di appartenenza all’edificio “della maternità”1. Proprio nel valore individuale che
la comunità locale riconosce agli edifici tutelati è pos-
sibile trovare la chiave e la spinta per diffondere la consapevolezza della storia complessiva dell’edificio e dunque garantire una duratura e premurosa atten- zione verso un monumento così importante.
Note
(1) Nel 2012, presso il Museo regionale di Capodistria, in collaborazione con l’Università del Litorale (Centro di Ricerche Scientifiche, Istituto per il Patrimonio del Medi- terraneo), si sono tenuti diversi eventi partecipativi riuniti sotto il nome “Racconto la storia della città”, dedicati a comprendere la percezione del patrimonio del Litorale da parte della comunità locale. Il terzo evento comprendeva una mostra fotografica dedicata all’antico ospedale ma- terno capodistriano, che i visitatori completavano con le proprie foto e storie, e scrivendo i propri commenti nel libro commemorativo della “casa natale comune”. Al termine dell’evento si è tenuta una serata di conversazione con me- dici e ostetriche dell’allora maternità, e in cui anche le don- ne che vi avevano partorito hanno raccontato le proprie storie. L’evento ha mostrato che gli abitanti del litorale rico- noscono l’antico convento principalmente come l’ospedale dove sono nati e da questo punto di vista gli assegnano un valore ancora superiore. DOLENC Ilona, Zgodbe iz hiše, v kateri so se vsak dan porajali čudeži, - ‘Primorske novice’, 9 novembre 2012, pag. 9; ČEBRON LIPOVEC Neža, ‘I’m Telling the Story of the Town’: Places in a Contested Space. – K. Hrobat Virloget C. Goussef, G. Corni (eds.): At Home but Foreigners, Population Transfers in 20th Century Istria. Koper, Annales, pp. 198-199.