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Il rapporto ha illustrato le caratteristiche strutturali del settore apistico internazionale, con un particolare focus sull’Unione Europea e l’Italia; per quanto concerne l’area regionale piemontese, e in particolare il territorio ALCOTRA, l’esigua quantità di dati disponibili relativi al settore non ha consentito di effettuare elaborazioni più dettagliate. Considerando tali limiti, le elaborazioni riportate hanno uno scopo illustrativo e il loro approfondimento sarà oggetto delle indagini in corso, soprattutto nei riguardi dei consumi.

L’UE si configura come una delle realtà con la maggiore domanda di miele e l’Italia ne rappresenta una buona percentuale. Gli elevati consumi di miele e le produzioni irregolari, seppur crescenti, non riescono a coprire tutta la domanda, rendendo indispensabile il ricorso strutturale all’import, prevalentemente dall’Asia o dal sud-America. Nella stessa posizione dell’Italia si ritrovano molte Nazioni UE, lasciando supporre che il settore apistico possa ancora espandersi ulteriormente per far fronte a questo deficit produttivo (sempre che la disponibilità nettarifera sia sufficiente); negli ultimi anni, però, come si è osservato, il numero di apicoltori è apparso in diminuzione, in relazione agli elevati costi di produzione e alla concorrenza del miele estero. Le analisi del comportamento dei consumatori italiani, d’altro canto, sottolineano la loro propensione all’acquisto di miele locale attraverso una maggiore disponibilità a pagare (Cosmina et al., 2016), anche se il confronto con i dati di importazione di miele estero e con le rilevazioni effettuate da altri studi indicano che il consumatore acquista prevalentemente il prodotto presso la GDO, sia esso miele nazionale o estero (Naldi & Bergamaschini, 2012; Romeo, 2016) e che i comportamenti virtuosi riguardano pertanto una nicchia dei consumi, a fronte di un largo consumo regolato dalle tradizionali logiche di prezzo.

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Dal confronto di questi studi emerge comunque che l’origine del miele sta gradualmente acquisendo importanza e influenza la scelta del consumatore.

Al fine di garantire al produttore un più alto margine, e quindi di valorizzare il suo operato, appare fondamentale l’individuazione di caratteristiche del miele in grado di differenziarlo dagli altri prodotti presenti sul mercato: a tal proposito, in Italia, tra i diversi mezzi consentiti dalla legislazione attuale per la differenziazione qualitativa, l'uso delle denominazioni botaniche uniflorali è di gran lunga quello più utilizzato (EU, 2016b). Infatti si stima che circa il 60% del miele italiano venga commercializzato con denominazione uniflorale e il maggior valore sul mercato di tali mieli è un dato consolidato, nonostante le fluttuazioni annuali del prezzo medio del miele (EU, 2016b). Anche il miele da apicoltura biologica occupa uno spazio importante, mentre le denominazioni locali (regionali e topografiche), pur essendo ampiamente utilizzate sia da piccoli produttori sia dai maggiori marchi commerciali per completare la denominazione del miele, non possono ancora essere considerate stabilmente affermate e non determinano, in linea di massima, un diverso valore di mercato a seconda della provenienza (EU, 2016b), a differenza di quanto evidenziato da Cosmina et al. (2016).

Molti studi si sono occupati del declino degli impollinatori, sia selvatici che allevati, vista la loro importanza per il mantenimento delle comunità vegetali naturali e per la produttività degli agro-ecosistemi. La frammentazione degli habitat e l’intensificazione delle attività agricole possono in parte contribuire alla perdita delle comunità di pronubi naturali, inoltre la perdita di specie pronube è collegata alla perdita di biodiversità. Infatti, il loro declino potrebbe portare al

cambiamento nelle comunità vegetali che dipendono

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patogeni, parassiti e impollinatori possono cambiare gli equilibri presenti nelle comunità di pronubi. Per esempio, nel caso di introduzione di specie pronube aliene, la preoccupazione è dovuta alla possibilità che si verifichino ibridazioni con le popolazioni endemiche, inoltre le specie non native potrebbero agire come vettori di parassiti e patogeni (Potts et al., 2010b). Rispetto ai cambiamenti climatici è noto in letteratura che potrebbero influenzare la distribuzione delle specie, come è stato osservato da William et al., (2007) rispetto al declino dei bombi in Inghilterra. Anche la disponibilità di risorse nettarifere gioca un ruolo fondamentale per la conservazione dei pronubi, è stato infatti osservato nel caso delle api domestiche, qualora la carenza di nettare si verificasse in un momento di grande necessità, come all’uscita dell’inverno, la probabilità che le bottinatrici non tornino alla colonia aumenta (Naug, 2009). Tutti questi fattori agiscono simultaneamente e sinergicamente tra loro sulle comunità di pronubi. La necessità di garantire la conservazione delle specie impollinatrici, allevate e naturali, non può prescindere dal monitoraggio che può fornire utili informazioni, necessarie alle forze politiche per l’attuazione di programmi in favore degli impollinatori (Potts et al., 2010b).

Una valutazione corretta del settore apistico, infatti, non può prescindere dalla valutazione, o quanto meno dal tenere in considerazione il ruolo delle api nell’ecosistema: infatti non bisogna dimenticare il fondamentale servizio di impollinazione reso dalle api (Kluser & Peduzzi, 2007); si stima a tal proposito che il 35% delle produzioni derivanti da piante coltivate a fini alimentari (Klein et al., 2007) sia dipendente, in diversa misura, dall’attività degli insetti impollinatori, domestici o selvatici per un valore a livello mondiale di circa 153 miliardi di dollari all’anno (Gallai et al., 2009), che riportati al 2018 equivalgono a oltre 165,8 miliardi di euro.

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I valori di riferimento per l’Europa e l’Italia rispetto il servizio di impollinazione sono stati forniti da Leonhardt et al. (2013), che attualizzati al 2018 equivalgono rispettivamente a 16,5 e 2,89 miliardi di euro.

A ciò si aggiunge anche il servizio svolto nei confronti delle specie vegetali selvatiche (Kearns et al., 1998) e, quindi, della biodiversità. Se, come indicato in diverse ricerche, si assiste ad un declino degli insetti impollinatori (Kluser & Peduzzi, 2007; Potts et al., 2010a), appare fondamentale il ruolo delle api domestiche nel garantire questo servizio.

In relazione all’importanza delle api nella produzione agricola, si sta diffondendo la pratica dell’acquisto, da parte dell’agricoltore, del servizio di impollinazione, che può costituire un’ottima forma di integrazione al reddito per l’apicoltore. Ad esempio, l’ONM riporta, a luglio 2017, un prezzo del servizio di impollinazione in Emilia-Romagna pari 25 €/alveare, IVA esclusa.

Chiaramente una valutazione sulla possibilità di espansione del settore deve tener conto delle reali potenzialità del territorio: a tal proposito, la diffusione su larga scala di studi in merito alla Land Suitability, ovvero la capacità del territorio e dell’agroecosistema di poter sostenere i fabbisogni degli alveari dislocati nell’area, di cui si intravedono le prime elaborazioni (Zoccali et al., 2017), e alla sua valutazione economica (Breeze et al., 2016), appare fondamentale per una corretta pianificazione del settore a livello territoriale.

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