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Obiettivo del mio lavoro non è stato solo quello di dare risposte certe, ma anche quello di portare l’attenzione su una tematica ancora poco conosciuta e di cui si parla poco: questo fenomeno esiste ed è presente sul nostro territorio, quindi non dobbiamo aver dubbi a parlarne. La mia idea iniziale era di poter andare a cercare e intervistare infermieri che utilizzassero alcol, droghe e farmaci.

Vorrei da subito sottolineare la difficoltà che è emersa nella redazione di questo lavoro, in quanto la tematica, come sottolineato nella parte iniziale della mia tesi, non era di facile accettazione da parte di tutto il personale e non mi ha permesso di approcciare direttamente gli infermieri con questi problemi. L’idea di parlare di questo argomento è risultata molto più complicata del previsto e le ragioni sono state molto ben descritte da chi, appartenente al gruppo degli infermieri curanti nei vari centri per le dipendenze, ho potuto intervistare in seguito; la disinformazione e la paura di parlare di questo argomento rimangono ben radicate nelle persone e per questo si trovano spesso, non delle porte chiuse ma delle mura erette per far sì che di questo argomento non si parli. Da un altro lato, la cosa che mi ha stupito e mi ha aiutato nella convinzione e nella motivazione a continuare nel mio lavoro è stato il fatto che ho trovato tantissimi infermieri che mi chiedevano su cosa facessi la tesi e che sentendo la mia risposta avrebbero voluto maggiori informazioni in merito e anche una copia del mio lavoro. Quanto avevo a disposizione per una tesi di Bachelor non ha permesso, dal mio punto di vista, un approfondimento e un’analisi più precisi del fenomeno nelle sue sfaccettature più nascoste, ma il mio intento è stato quello di far conoscere un fenomeno e poter dare la possibilità, magari in futuro, di andare a indagarlo in maniera più specifica, andando più a fondo sull’argomento per poter capire quali sono le cause

profonde di un fenomeno che sembrerebbe essere sempre più in aumento. L’utilizzo di questa tematica per tesi o ricerche future mi pare proponibile.

Le caratteristiche umane e professionali dell’infermiere sono una parte importante che emerge durante il lavoro: l’infermiere può accogliere e prendersi cura di una persona che sta male, allo stesso tempo, però, può succedere che stia male a sua volta. Spesso si parla solo di problematiche fisiche, ma ci sono anche altri aspetti da considerare, come ho potuto rilevare durante il mio lavoro di tesi. Bisognerebbe partire da questo presupposto: siamo tutti legati alla natura umana e di conseguenza possiamo ammalarci sia fisicamente che psichicamente. Nel momento in cui ci accorgeremo e prenderemo consapevolezza di questa intrinseca debolezza, allora potremo veramente renderci conto e aiutare quegli infermieri che ci stanno a fianco e che hanno bisogno di noi. È anche importante ricordare che fino a quando non saremo noi, che lavoriamo nell’ambito sanitario, a prendere coscienza del problema, non potremo mai pretendere che la pubblica opinione possa rendersi conto che non siamo dei supereroi indistruttibili. In futuro si potrebbe anche andare ad indagare l’ambito puramente emotivo di chi è curato; le emozioni sono causa di malessere e di patologie profonde e rendono vulnerabile la persona. Per questo bisognerebbe indagare da cosa scaturiscono emozioni negative che possano portare all’autocura o all’uso di sostanze psicoattive che facciano “star meglio”.

Per quanto riguarda le interviste vorrei partire da un’analisi più oggettiva possibile. Mi ero posto l’obiettivo di fare delle interviste a 3 infermieri che lavorano nell’ambito delle dipendenze, ma il mio lavoro mi ha portato a incontrare anche persone che vivono e lavorano al di fuori del nostro contesto territoriale. Penso che questo fattore abbia portato un miglioramento nel mio lavoro di tesi, in quanto sono riuscito ad entrare in realtà diverse da quella del nostro territorio e ho potuto vedere ed apprezzare come questo argomento non assume importanza solo agli occhi dei nostri curanti, nei centri per le dipendenze, ma è un argomento di grande importanza anche per gruppi di curanti di centri per le dipendenze che si trovano in un’altra realtà e addirittura in un altro stato.

Penso di aver scelto la metodologia comunque adatta per questo argomento in una tesi di Bachelor, anche se, come detto in precedenza, forse non la più esaustiva. La modalità qualitativa, non utilizzando modelli matematici o statistici mi ha comunque permesso di apprezzare appieno quello che avevano da dirmi gli intervistati. Come ho descritto nel capitolo della metodologia, non ero obbligato a seguire tutta la traccia delle domande che avevo formulato con il mio direttore di tesi, preparando le interviste. Ho visto come, solo presentando il tema da me scelto, gli intervistati iniziavano un discorso che diventava un fiume di parole, senza che potessi interromperli o dovessi stimolarli con le mie domande. In alcune interviste ho dovuto inserire le domande solo per poter mantenere gli intervistati lungo la strada della tematica da me scelta, avendo incontrato delle persone che mi avrebbero parlato per ore aggiungendo qualità e temi per il mio lavoro di Bachelor.

La durata delle interviste rispecchia proprio questo dato, essendo durate in media tutte circa sessanta minuti. Non mi sarei mai aspettato di aver davanti a me persone che condividessero appieno il tema da me scelto e che io potessi stupirle presentando questo argomento. Ho potuto ricevere dei veri e propri apprezzamenti sulla scelta della tematica e spero appunto di essere riuscito a presentare in questo mio lavoro la forza,

la determinazione, la passione che queste persone mi hanno trasmesso durante le interviste.

È necessario sapere (Mortari, 2015) che se non si dovesse raggiungere l’obiettivo atteso, si può trovare clemenza, si può essere “perdonati”; sapere che si può trovare comprensione: ciò basterebbe a trovare la forza per andare avanti nel proprio settore. Secondo me questo è un aspetto importantissimo da evidenziare nella tematica della mia tesi: una persona che sa di trovare solo porte chiuse o colpevolizzazione, in caso di “crisi”, non riuscirà mai ad aprirsi completamente andando a riferire a chi può aiutarla quelle che sono le proprie fragilità o le proprie difficoltà. L’alternativa potrebbe essere così la strada dell’autocura con tutte le problematiche identificate nei capitoli precedenti. Sentirsi perdonati e accolti è la caratteristica principale per permettere di ritrovare la forza per riprendere ad agire (Mortari, 2015). Quindi, come abbiamo visto in precedenza e in letteratura, il passaggio dal dover sottostare a un comportamento punitivo, a uno in cui la persona è aiutata (nel caso dei problemi suindicati), può portare ad un miglioramento della qualità del lavoro, in quanto chiunque dovesse avere problemi potrà esporli e cercare di risolverli prima di giungere a una situazione di crisi irreversibile.