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Conclusioni

Se è vero che i motivi per cui un proprietario abbandona il proprio immobile non possono essere sindacati dall’ordinamento, nulla vieta, però, di valutare gli effetti complessivi sul sistema di un simile comportamento. Come si diceva all'inizio, infatti, un nodo da sciogliere nella materia proprietaria consiste nell'opportunità di inserire delle limitazioni all’esercizio del diritto.

In questo senso, l'istituto dominicale o, per meglio dire, i privilegi e le immunità tradizionalmente riconosciuti al proprietario devono essere valutati e riconsiderati al contesto socio economico in cui si esplicano: come ben scrive Rodotà, infatti, “l’astrazione proprietaria si scioglie nella concretezza dei bisogni, ai quali viene data evidenza collegando i diritti fondamentali ai beni indispensabili per la loro soddisfazione”319. Per questo, non va dimenticato che le regole proprietarie hanno lo scopo di garantire al proprietario la stabilità necessaria per svolgere le proprie attività, anche pianificando gli investimenti futuri, e per questo gli consentono di esercitare il potere di escludere i terzi da quella porzione di realtà che soggiace sotto il suo controllo. Lo ius excludendi è un mezzo e non il fine del diritto di proprietà e, inoltre, esso non rappresenta un valore.

Per questo motivo, non è infondato ritenere che il non uso del bene faccia venir meno il diritto di escludere quando il suo esercizio civilistico si manifesta come abusivo e antisociale. Dell’affievolimento dello ius excludendi beneficia il diritto di accesso, da elaborare come dissociato dalla titolarità della proprietà. In questo modo, la funzione sociale della proprietà diventa la clausola attraverso cui garantire l’uso di un bene a chi non sia proprietario.

 319

In alternativa, tutelare il proprietario assenteista solo per il mantenimento del valore dell’immobile consente soltanto l’accumulazione di rendita fondiaria e la riduzione del diritto di proprietà a mero esercizio dello ius excludendi. In questo senso, emblematica è la sentenza del Tribunale di Trento analizzata sopra: è necessario preservare il valore di mercato dell’immobile, l’interesse del proprietario è ravvisabile nella mera apposizione di lamiere e lucchetti contro le intrusioni arbitrarie e ciò indipendentemente dall’interesse concreto del proprietario al suo bene e dalla tutela costituzionale dell’accesso alla proprietà. Questi elementi devono essere considerati nel momento in cui si valuta il potere di non uso del proprietario, il quale varia a seconda del bene che interessa.

Nel caso di immobili abbandonati, il diritto di proprietà si manifesta unicamente nella prerogativa dell’esclusione, che consente sì il perseguimento di un’utilità individuale (la rendita fondiaria), ma che scarica contemporaneamente sui terzi i costi dell’esercizio di tali atteggiamenti idiosincratici. La condotta del proprietario assenteista rappresenta un’ipotesi di abuso del diritto che, in una dimensione sociale e relazionale della proprietà, non può essere tollerato320: in questa direzione va il ripensamento di quali condotte possano qualificarsi contra ius e quali, viceversa, rimediano ad una situazione lesiva di diritti costituzionalmente tutelati, ponendo le basi per la costituzione di una nuova forma di appartenenza basata sull’accesso al bene.

Se si osservano le questioni penali attraverso questa lente, appare naturale ritenere fondamentale, specialmente per quelle fattispecie che più risentono delle origini fasciste del codice penale, un’interpretazione giurisprudenziale che sappia cogliere i mutamenti delle concezioni socio – culturali ed istituzionali intervenuti dagli anni ’30 ad oggi. In questo quadro, interviene il principio di offensività e la teoria dell’adeguatezza sociale

 320

dell’azione: che interesse giuridicamente rilevante per il diritto penale può mai avere un proprietario assente? Se la lesione del bene giuridico tutelato deve essere valutata alla luce del principio di offensività, come può ritenersi aggressiva la condotta degli occupanti di immobili abbandonati? Sostenere che il diritto penale debba essere l’extrema ratio, in fondo, è una delle conseguenze di questo ragionamento, soprattutto quando è possibile ricorrere ad altri strumenti di tutela.

CAPITOLO III

L’ACCESSO: UN CONTRIBUTO ALLA DISCUSSIONE

SEZIONE I

QUESTIONI GENERALI

3.1. Accesso e proprietà – 3.2. Proprietà privata: accesso all’abitazione e attribuzione della rendita fondiaria - 3.3. Proprietà pubblica: l’accesso all’acqua – 3.4. Proprietà collettiva: l’accesso alla comunità

3.1 Accesso e proprietà

Il tentativo di dar corpo a un discorso sull’appartenenza di carattere inclusivo si propone due scopi: il superamento delle distorsioni che il paradigma moderno della proprietà privata non ha evitato; la creazione un assetto istituzionale che consideri l’accesso come facoltà autonoma e protagonista della materia proprietaria, affrontata – questa volta – “con gli occhi” dei non possidentes.

L’autonomia dell’accesso negli ultimi anni è stata oggetto di una particolare attenzione321, assumendo rilevanza al di fuori del diritto amministrativo (l’accesso ai

 321

Già J. Rifkin nel suo L’era dell’accesso aveva sostenuto la centralità di questo concetto, anche in forza dell’affermarsi di “un’economia delle reti” che, a suo dire, avrebbe disincentivato gli scambi della proprietà sul mercato, sostituendoli appunto con una negoziazione dell’accesso a una proprietà fisica o intellettuale.

documenti e ai dati personali) e configurandosi, secondo autorevole dottrina, come un vero e proprio diritto fondamentale della persona322.

Il dato certamente più rilevante è che l’accesso ha un contenuto esclusivamente relazionale, legato cioè al tipo di beni su cui esso insiste; si è detto nell’introduzione di questo lavoro, che l’importanza del tema è apparsa contestualmente all’emersione della categoria dei beni comuni, i quali, nella definizione della Commissione Rodotà, sono necessari alla soddisfazione di quei diritti inerenti alla costituzionalizzazione della persona e, pertanto, richiedono l’accesso come strumento per la loro immediata utilizzazione323.

Inoltre, all’interno dello spazio urbano, la possibilità di accedere e di godere di beni immobili sta sempre più diventando la condizione per sperimentare nuove forme di cooperazione e organizzazione, anche economica, alle quali evidentemente si fa ricorso in un periodo di crisi. Sul piano giuridico, quindi, l’accesso va coniugato anche rispetto alla proprietà immobiliare la quale, sebbene avesse rappresentato all’epoca delle codificazioni ottocentesche la forma di ricchezza più consistente, era stata poi marginalizzata dal trionfo della proprietà dematerializzata324.

Il discorso non ha quindi un profilo solo teorico: la mancata previsione di una “teoria dell’accesso” in materia proprietaria ha infatti concorso alla determinazione di sperequazioni sociali a cui, però, occorre rimediare. In questo, vi è la presunzione di ritenere che il paradigma della proprietà possa tornare ad essere la leva con la quale invertire la rotta, a patto di ripensarne la struttura e di ancorarlo saldamente al dettato costituzionale.

 322

S.RODOTÀ, Il diritto di avere diritti, op. cit., p. 112. 323

IBIDEM. 324

M. R. MARELLA, Oltre il pubblico e il privato: gli spazi sociali al tempo della crisi in AA. VV., Rebelpainting, op. cit., p. 14.

Nei paragrafi che seguono saranno illustrate, senza alcuna pretesa di esaustività, le criticità che emergono tra la prerogativa dell’accesso e gli istituti della proprietà privata – con particolare riferimento alla proprietà immobiliare -, della proprietà pubblica e di quella collettiva; successivamente, saranno esposte le ipotesi in cui la nozione di accesso compare nel nostro ordinamento e verificate le soluzioni adottate negli altri ordinamenti nelle medesime fattispecie.

Anticipando le conclusioni, da questa disamina emerge che, a fronte di un istituto dominicale pur centrato sul requisito dell’esclusività, vi sono spazi per la prerogativa dell’accesso, la quale quindi – dove presente – non svuota il diritto di proprietà, che può essere ancora esercitato nelle sua altre facoltà basilari. Questo consente di non considerare il diritto di esclusione come un diritto assoluto, ma come una prerogativa elastica, che è altresì data dalle caratteristiche ontologiche del bene, su cui esso insiste, e dalle utilità da questo prodotte.

Ammettendo questa nuova definizione dello ius excludendi, sarà possibile concepire la facoltà dell’accesso in modo autonomo dal diritto di proprietà, specificandone di volta in volta le caratteristiche e le regole, alla luce della risorsa rispetto alla quale verrà esercitato. In questa operazione interpretativa, accanto al ricorso a norme del diritto positivo, occorre altresì valorizzare le consuetudini eventualmente esistenti, le quali rappresentano “una mediazione spontanea fra gli interessi del proprietario e del non proprietario”325.

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