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Alla luce di quanto è emerso dalle interviste e dall’analisi delle stesse, è possibile esporre qualche considerazione che possa aiutare a rispondere all’interrogativo di ricerca.

Alcuni elementi comuni permettono di tirare le somme su aspetti positivi e critici della relazione tutore e famiglia affidataria.

È importante prendere in considerazione, nel trarre le conclusioni, che sono state svolte sette interviste circoscritte ai tutori dell’UAP della sede di Mendrisio, ciò che viene riportato non ha dunque l’intento di fungere da manuale scientifico ma vuole essere uno spunto di riflessione.

Da tutte le interviste alle famiglie affidatarie traspare una adeguata costruzione della relazione di fiducia con il tutore che ha permesso negli anni una buona collaborazione. Cosa rivela questo indicatore? Che per poter nel tempo continuare a lavorare in sinergia, in condivisione e in co-costruzione della progettualità, è necessario porre le basi e costruire una relazione di fiducia. Dagli intervistati emerge che una buona relazione di fiducia tra queste due figure comporta un affidarsi reciproco al lavoro dell’altro, un rispetto personale e degli impegni presi e uno scambio continuo che permetta di ottenere punti di vista da differenti angolazioni al fine di intervenire e decidere al meglio quando necessario. Ciò che è altresì risultato interessante è l’importanza di essere presenti, come tutori, nella “giusta misura”, ma qual è? Dai dati raccolti si potrebbero identificare alcune soluzioni. Innanzitutto, sono quasi tutti concordi nell’affermare che per i primi anni di vita del minore non è necessaria una presenza “massiccia”, con il rischio di risultare quasi invadente, ma piuttosto presente ma a distanza. Presente nel senso di rispondere prontamente a domande puntuali di famiglia affidataria e, se del caso, minori, di evadere le pratiche burocratiche derivanti dall’autorità parentale, senza impiegare tempi biblici, e infine incontrarsi in quei momenti pianificati a priori e necessari (incontri a scuola, incontri annuali al domicilio, …). In questa prima fase iniziale, si individua di rilevanza notevole, lasciare che la famiglia affidataria si

gestisca quanto più possibile in maniera autonoma, in modo che anche il minore possa riuscire a crescere in un ambiente il più possibile protetto e privilegiato.

La maggior parte delle famiglie ipotizza la necessità di avere supporto e sostegno maggiore da parte del tutore nel periodo adolescenziale.

Da quanto raccolto è possibile inoltre stilare un bilancio circa l’interfacciarsi di questa figura con le famiglie affidatarie. La maggior parte vive con serenità la presenza del tutore, spesso viene percepita come un sostegno, un supporto, un aiuto nella gestione della quotidianità in contesto di affidamento.

Le criticità portate dagli intervistati, concernono prettamente gli iter burocratici imposti dal sistema-servizio e, in particolare, la fitta rete di figure professionali che ruotano attorno alla famiglia affidataria nonché al minore.

Seppur da una parte le famiglie capiscono perché il sistema richieda l’intervento di così tante figure, dall’altra l’interrogativo che si pongono è se non si possa trovare una modalità che permetta di andare incontro sia alle esigenze del servizio sia alle esigenze delle famiglie affidatarie. Non si ritiene utile, nel presente Lavoro di Tesi, offrire una risposta immediata a tale quesito ma ciò che risulta significativo è raccogliere tali osservazioni, farne tesoro e cominciare a vagliare eventuali alternative da mettere in atto.

I punti forti della presente ricerca sono rappresentati dai molteplici spunti di riflessione apportati dalle famiglie affidatarie. Raccogliere le esperienze di tali famiglie, in relazione alla figura del tutore, permette ai professionisti di riflettere sul proprio operato, sull’agire futuro e di vivere il proprio lavoro da un punto di vista differente. Angolazione che non è quella di un altro professionista ma è direttamente quella di un attore coinvolto nel progetto di affido e co- destinatario e co-operante del lavoro del tutore.

I limiti individuati riflettono la difficoltà nel circoscrivere l’argomento che risulta ampio in letteratura e nell’esperienza. Diversi i possibili tagli che avrebbe potuto assumere tale lavoro ma la scelta di canalizzare i dati in base alle tematiche emerse dalle interviste ha reso più facile la selezione delle informazioni e l’impostazione del lavoro. Nondimeno i limiti previsti a livello di numerazione delle pagine hanno visto un grande lavoro di sintesi e scelta delle argomentazioni da esporre.

Il presente Lavoro di Tesi rappresenta la fine di un percorso accademico ed esperienziale che getta le basi per la futura professione di assistente sociale.

Ciò che lascia in eredità questa tesi è l’importanza di ascoltare le persone con cui lavoriamo e di offrire spazio di parola per raccogliere le esperienze. Esperienze che dicono qualcosa su come lavoriamo, su come potremmo lavorare e su come viene percepito il lavoro svolto. Non si arriva mai a una conoscenza completa di questa professione, nemmeno dopo anni e anni di esercizio, non si deve avere la pretesa di agire nel giusto ma si deve sempre mettere in discussione il proprio operato. Diversi punti di vista, come e soprattutto quelli della cosiddetta utenza, permettono di avere una più ampia visione di insieme.

Un altro aspetto che mi fa riflettere come futura assistente sociale è quello di considerare la nostra posizione rispetto all’utenza e al servizio. Siamo degli intermediari tra due estremità che necessitano l’una dell’altra per funzionare e il collante che permette a questo ingranaggio di muoversi è rappresentato da noi assistenti sociali. Questo significa che è nostro compito raccogliere le esperienze dell’utenza e riportarle all’istituzione con l’obiettivo di discutere sui servizi offerti, sulle modalità di lavoro e approccio, in un’ottica di miglioramento per le persone che necessitano del servizio. Dall’altro lato però bisogna cercare di agire al meglio nel rispetto del mandato, delle linee guida del servizio e del codice deontologico del lavoro sociale, mettendo in campo le competenze professionali e personali apprese e richieste. Il modo in cui lavoriamo dice qualcosa sul servizio per cui operiamo. Nell’immaginario delle persone coinvolte quali utenza e rete, sociale e professionale, prende forma una rappresentazione del funzionamento dell’istituzione proprio a partire dal nostro modo di affrontare il lavoro all’interno di un dato contesto. Questo aspetto potrebbe apparire limitante, quasi controllante e/o giudicante, da parte di coloro che esercitano la professione, ma è un dato di fatto. Ciò non significa, a parer mio, che bisogna lavorare come degli automi privi di personalità ma è necessario trovare il giusto equilibrio tra la propria funzione e gli aspetti di cui sopra, in modo da fungere da garanti di un servizio sociale, con un’organizzazione ben delineata, rivolto a delle persone, ma anche di essere dei portavoce dell’utenza. Tale equilibrio non è facile da trovare, l’esperienza è un fattore che probabilmente potrà accorciare le distanze tra l’assistente sociale che sono oggi e l’assistente sociale che auspico diventare.

Scrivere il presente lavoro mi ha permesso di raggiungere una maggiore consapevolezza della professione, soprattutto in qualità di tutore, delle competenze che sono ricercate dalle famiglie affidatarie, le loro aspettative e percezioni.

Ogni famiglia affidataria ha fatto emergere qualcosa di unico e diverso rispetto alle altre, questo va a sottolineare la singolarità delle persone con cui collaboriamo e ai quali il nostro ruolo è destinato. Ogni situazione e storia di vita è differente e unica, così come ogni vissuto ed esperienza. Per il rispetto di questo principio è importante non generalizzare sulle situazioni o le persone, anche se con caratteristiche simili tra loro. È fondamentale non partire prevenuti nell’affrontare un nuovo progetto immaginando già il destino dello stesso. Se anche questi aspetti sono stati largamente trattati nel percorso SUPSI e potrebbe sembrare banale volerli ritrattare, è grazie all’esperienza svolta, anche attraverso il Lavoro di Tesi, che sono diventate concrete, reali, tangibili.

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