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condannati Amministratori e Dirigenti comunali

Nel documento Servizi pubblici Locali (pagine 113-116)

Oggetto

Condanna di Amministratori e Dirigenti comunali per aver rimborsato alla Società “in house” del Comune gli interessi di un mutuo contratto per l’acquisto di terreni edificabili da negoziare: conferma Sentenza territoriale per la Lombardia n. 210/18.

Fatto

Nel gennaio 2011 la Procura contabile riceve un esposto, per cui affida alla Guardia di Finanza l’attività istruttoria, da cui emerge che questo Comune (5.460 abitanti al 31 dicembre 2019) nel 2008, “trovandosi a fronteggiare una grave carenza di liquidità anche determinata da alcune scelte gestionali operate dalle precedenti Amministrazioni, aveva posto in essere una serie di operazioni immobiliari e finanziarie, con l’interposizione della Società ‘in house’, finalizzate ad acquistare una temporanea liquidità di cassa (da utilizzare per il pagamento di spese correnti) il cui costo, in termini di interessi passivi, sarebbe stato interamente sostenuto dalla stessa Società ‘in house’, senza alcuna utilità e vantaggio per la stessa”.

La Procura contesta un danno di oltre Euro 300.000 ad Amministratori e Dirigenti, perché gli oneri degli interessi passivi del mutuo contratto dovevano essere a carico del Comune e non della Società “in house”. La Procura ricorda che nel settembre 2003 e nel febbraio 2004 il Comune aveva operato una trasformazione urbanistica di un’area agricola appena acquistata, decidendo di procedere alla sua urbanizzazione e alla successiva vendita a lotti edificabili. La Procura sottolinea come una parte dell’area urbanizzata fu ceduta dal Comune alla propria Società, la quale aveva contratto un prestito per poter pagare il Comune stesso (per un importo di circa Euro 2.000.000).

Il danno erariale a carico del Comune consiste quindi nel

pagamento degli interessi.

Al termine dell’istruttoria, la Procura cita in giudizio (per un danno complessivo di Euro 304.000), nell’ordine: l’allora Sindaco, l’Assessore al Bilancio e l’Amministratore della Società per un importo di oltre Euro 60.000 cadauno; 11, tra Assessori e Consiglieri (che hanno, di volta in volta, approvato atti relativi alla vicenda) per un importo da Euro 14.000 a Euro 2.800; i 2 Responsabili del Servizio

“Finanziario” ed i 2 Segretari comunali (che si sono alternati negli incarichi), per un importo da oltre Euro 20.000 ad Euro 5.000.

La Sezione territoriale della Corte dei conti per la Lombardia (Sentenza n. 210/18) riconosce “il nesso eziologico tra il danno verificato e la condotta posta in essere da ciascuno degli odierni convenuti risulta accertato, stante il ruolo, seppure con un differente contributo causale, svolto da ognuno di essi, in ragione delle rispettive competenze”. Infatti - continuano i Giudici territoriali - “dalla documentazione versata in atti risulta palese il contributo fondamentale svolto dal Sindaco, dall’Assessore al Bilancio e dall’Amministratore unico della XX Srl, nel proporre e portare a termine la complessa operazione, per quanto attiene quest’ultimo, ha consentito con il suo indispensabile avallo, l’interposizione fittizia dalla Società di cui era Amministratore Unico della quale, invece, ove avesse correttamente svolto le proprie funzioni, avrebbe dovuto tutelare gli interessi”. I Giudici territoriali concludono affermando che “per tutti i convenuti l’elemento psicologico è quella della colpa gravissima, considerata la piena consapevolezza, rilevata dall’ampio dibattito che ha proceduto tutte le Deliberazioni, dalla manifesta elusione del divieto di indebitamento dagli stessi posta in essere, come più volte rappresentato ed Corte dei conti - Sezione Seconda giurisdizionale centrale d’Appello - Sentenza n. 127 del 15 maggio 2020

del Rag. Antonio Tirelli - Consulente e Revisore di Enti Pubblici ed Enti Locali, Ragioniere Commercialista e Revisore Contabile

i Giudici - “a ciò va altresì aggiunto che, valutate le singole condotte dei convenuti alla luce di tutto quanto innanzi evidenziato, non appaiano sussistere i presupposti per poter esercitare il potere di ridurre l’addebito”.

Viene però accolta la richiesta di prescrizione, per cui il danno contestato viene ridotto, circa, al 40%

(complessivamente Euro 128.000).

Gli interessati presentano ricorso, che viene respinto.

Sintesi della Sentenza

La difesa del Sindaco e di altri appellanti, oltre a sostenere la prescrizione completa del danno, sostiene “l’illegittimità della Sentenza, per mancata valutazione dell’utilitas.

Erroneamente la Sentenza non avrebbe riconosciuto l’utilitas, derivata al Comune dalla concessione del diritto di superficie e dagli altri introiti connessi a tale operazione, argomentando che gli asseriti vantaggi non costituirebbero conseguenze della condotta illecita ascritta agli appellanti. Tale affermazione sarebbe in contraddizione con quanto detto nella stessa Sentenza, per sostenerne le finalità elusive, in ordine alla unitarietà dell’operazione. Illegittimità della Sentenza in punto di ripartizione del danno per genericità della motivazione. La Sentenza non consentirebbe di comprendere le ragioni del calcolo effettuato, in particolar modo per quanto riguarda l’attribuzione al Sindaco B. di una percentuale del 60%, da ripartire in misura eguale con R. e D.P. Tale vizio si ripercuoterebbe sulla posizione di tutti gli altri appellanti perché la parte di danno ad essi addebitata altro non sarebbe che la cifra rimanente da quella illegittimamente attribuita a coloro che sono stati individuati come maggiori responsabili. Gli appellanti hanno concluso con la richiesta di declaratoria della prescrizione totale del diritto, di nullità della citazione e riforma della Sentenza stante l’assenza di responsabilità”.

La difesa di alcuni Dirigenti sostiene “il mancato accoglimento dell’eccezione di valutazione dell’utilitas di cui sarebbe stata fornita ampia dimostrazione, dati contabili alla mano. Non solo l’operazione dovrebbe essere considerata pienamente legittima, considerato che la Società aveva proprio il compito della rivalutazione del patrimonio immobiliare, ma avrebbe anche dato risultati utili; infatti il Comune una volta scaduta la concessione del diritto di superficie riacquisterebbe la piena proprietà dell’area e, nel frattempo, avrebbe realizzato una plusvalenza pari a Euro 1.452.639,14 al netto degli interessi pagati. Contrariamente a quanto affermato dalla Sentenza, non vi sarebbe stata alcuna elusione del divieto di contrazione di mutui per spese diverse dall’investimento poiché la Società XX Srl avrebbe contratto il mutuo per

restituiti dal Comune alla Società sarebbe stato inferiore a quello che avrebbe dovuto sostenere a titolo di interessi passivi per tardivi pagamenti pari ad Euro 1.103.236.23”.

Anche la difesa del Presidente della Società “in house” ha sostenuto che “non avrebbe goduto di alcuna autonomia gestionale rispetto alle direttive del socio; la scelta di ricorrere all’alienazione sarebbe stata assunta dagli Amministratori comunali; inoltre non sarebbe stato tenuto a conoscere i limiti alla capacità di indebitamento del Comune; inesistenza di un nesso di causalità tra la condotta e il danno. Ha sostenuto che non corrisponderebbe al vero che, con il suo indispensabile avallo, avrebbe consentito l’interposizione fittizia della Società. Premesso che la colpa grave dovrebbe essere valutata in relazione alla violazione dei propri compiti, da non confondersi con quelli degli Organi del Comune, andrebbe considerato che dopo la cessione dell’area alla Società di cui era Presidente, si sarebbe attivato per tutelare gli interessi del Comune e della medesima Società”.

I Giudici sostengono che, “in coerenza con la giurisprudenza consolidata ivi richiamata, la Sentenza impugnata, individuato il danno nel rimborso da parte del Comune degli interessi passivi corrisposti dalla Società come corrispettivo per il mutuo, abbia correttamente fatto coincidere il dies a quo nelle date in cui sono stati emessi i relativi mandati di pagamento. Erronee sono le diverse prospettazioni degli appellanti secondo le quali rispettivamente (appellanti principali) dovrebbe farsi riferimento alla stipulazione del mutuo o al suo rinnovo con la motivazione che in tale momento si sarebbe realizzata l’obiettiva conoscibilità, ovvero al piano di ammortamento del mutuo; entrambe le argomentazioni non tengono conto del fatto che la richiesta risarcitoria si riferisce al danno subito dall’Amministrazione comunale a seguito dei rimborsi alla Società degli interessi pagati e non agli esborsi che sarebbero stati sostenuti da quest’ultima, non onerata neanche delle spese relative al pagamento del capitale”.

Concludono che “le due operazioni, l’alienazione alla Società, produttiva del depauperamento, e la cessione del diritto di superficie per la realizzazione del parco fotovoltaico, da cui sarebbe derivato l’asserito vantaggio sono assolutamente indipendenti sul piano eziologico e cronologico. L’alienazione, si badi bene, di una sola parte dell’area non costituiva il presupposto necessario per la concessione del diritto di superficie finalizzata alla realizzazione del parco fotovoltaico sull’intero terreno;

la Società, in conformità alla previsione statutaria (art. 5), avrebbe ben potuto gestire la valorizzazione

Il Collegio osserva altresì che la cessione del diritto di superficie si è perfezionata tra il 2011 e il 2012, quando era da tempo scaduto il termine per la stipulazione del contratto definitivo che, come si è detto, non è mai stata formalizzata. Alle condivisibili argomentazioni del Giudice di I grado deve aggiungersi l’ulteriore elemento ostativo derivante dalla non compensabilità di utilità derivanti da condotte espressamente vietate, qual è nel caso di specie il ricorso all’indebitamento per spese diverse da quelle di investimento”. In particolare, per l’accusato Presidente della Società “in house”, i Giudici respingono l’affermazione “che la colpa grave dovrebbe essere accertata in relazione alla violazione di regole di condotta rientranti nei propri obblighi di servizio da non confondersi con quelli degli Organi del Comune; nella vicenda per cui è causa, non avrebbe violato alcun obbligo riconducibile alla qualità di Presidente della Società ‘in house’ avente una propria autonomia giuridica e patrimoniale rispetto al Comune-socio. Inoltre, nello svolgimento dei suoi compiti, avrebbe, comunque, curato gli interessi della Società e dello stesso Comune. I motivi non sono fondati Premesso che la Sentenza risulta congruamente motivata in ordine alla consapevolezza, presente in tutti i responsabili, dell’elusione del divieto di indebitamento, ritiene il collegio che per quel che riguarda la posizione specifica del Presidente D.P. sia stata puntualmente descritta la condotta causativa del danno e il contributo causale fornito attraverso l’indispensabile avallo all’interposizione fittizia della società. Non può essere riconosciuta efficacia scriminante alla dedotta circostanza del limitato margine di autonomia gestionale di cui godeva in base alle previsioni statutarie poiché la necessità, effettivamente prevista dallo statuto, dell’autorizzazione ai fini dell’acquisto e/o vendita di immobili non esclude che nella vicenda per cui è causa l’amministratore della società avesse il dovere di evidenziare l’estraneità all’oggetto sociale dell’operazione posta in essere che, tra

della medesima (oggetto di riserva di agire da parte della Procura); così non ha fatto; anzi per come risulta dal suo intervento ha sollecitato la definizione dell’operazione.

Egli, infatti, non si è limitato a chiedere l’autorizzazione all’acquisto, ma ne ha rappresentato l’utilità con varietà di argomentazioni (puntualmente richiamate in Sentenza) e ha espressamente dichiarato che l’obiettivo era quello di acquisire liquidità fino a quando non si fosse riusciti a vendere i lotti, operazione questa per la cui realizzazione era necessario prima variare la destinazione urbanistica dell’area (in relazione alla programmata realizzazione di una strada provinciale). Da tali elementi emerge, quindi, la sua consapevolezza dell’elusione del divieto della ‘golden rule’ e, correlativamente, la lesione degli interessi all’equilibrio economico finanziario dell’ente che, nella qualità rivestita di amministratore di una società in house, sostanziale longa manus del comune, era tenuto a tutelare. Il Collegio ritiene altresì che non possa attribuirsi alcun rilievo alla circostanza che l’appellante si sarebbe attivato per tutelare gli interessi dell’Ente e della Società con l’operazione di cessione del diritto di superficie trattandosi di condotte del tutto svincolate l’una dall’altra”.

Commento:

L’intreccio tra Comune e la sua Società “in house” è evidente: il Comune è in difficoltà, vende un terreno alla sua Società, la quale si indebita con un finanziamento a breve (poi rinnovato). Il Comune rimborsa alla Società gli interessi del finanziamento; di fatto questo finanziamento è servito per il pagamento di spese correnti (vecchi residui passivi) effettuate dal Comune stesso.

La Sentenza va inquadrata nell’originaria decisione (anno 2008) di acquistare e urbanizzare un’area agricola che, stando alle valutazioni iniziali, avrebbe dovuto portare enormi benefici al Comune.

Sono mancati tutti i controlli interni: in effetti tutto nasce da un esposto effettuato alla fine del 2010 dagli allora Consiglieri di minoranza.

Nel documento Servizi pubblici Locali (pagine 113-116)