EGIDIO IVETIC CDU 255(497/5.Istria/Dalmazia) “15/18” Centro di ricerche storiche, Rovigno Sintesi
Università degli Studi Dicembre 2015 Padova
Riassunto: L’autore illustra il mondo delle confraternite nell’ambito dell’Adriatico
orientale durante l’età moderna soffermandosi sullo stato dell’arte della ricerca e sulle possibilità di ulteriori sviluppi negli studi. Si evidenzia la massiccia presenza delle confraternite soprattutto in Istria, una densità e capillarità probabilmente tra le più alte nel Mediterraneo.
Abstract: The author illustrates the world of confraternities in the Eastern Adriatic area
in the modern age, focusing especially on the art of researching and the opportunities of further studies development. The massive presence of confraternities, particularly in Istria, is pointed out revealing perhaps one of the highest density and capillarity in the Mediterranean area.
Parole chiave: confraternite, Istria, Dalmazia. Key words: confraternities, Istria, Dalmatia.
Nonostante il progredire in questi ultimi anni di studi, monogra-fie e saggi, sullo Stato da Mar veneziano, non si è ragionato abbastanza (o non quanto meriterebbe) sui legami che intercorrevano tra Venezia e i suoi domini adriatici. Una storia lunga un millennio1. Il nesso Venezia-Adriatico orientale, nella sua dimensione marittima e territoriale, ha
rap-1 Storia di Venezia, vol. rap-12, Il mare, a cura di A. Tenenti, U. Tucci, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana Treccani, 1991; A. TENENTI, Venezia e il senso del mare. Storia di un prisma culturale dal XIII al XVIII secolo, Milano, Guerrini, 1999; Venezia e la Dalmazia anno Mille. Secoli di vicende comuni, a cura di N. Fiorentin, Treviso Regione Veneto-Canova, 2002; J.-C. HOCQUET, Venise et la mer, 12.-18. siecle, Paris, Fayard, 2006; Balcani occidentali, Adriatico e Venezia fra XIII e XVIII secolo / Der westliche Balkan, der Adriaraum und Venedig (13.-18. Jahrhundert), a cura di G. Ortalli, O. J. Schmitt, Wien, Verlag der Österrei-chischen Akademie der Wissenschaften, 2009; Venise et la Méditerranée, a cura di S. G. Franchini, G. Ortalli, G. Toscano, Venezia, Istituto veneto di scienze lettere ed arti, 2011; Venezia e Dalmazia, a cura di U. Israel, O. J. Schmitt, Roma, Viella, 2013. Inoltre: O. CHALINE, L’Adriatique, de la guerre de Candie à la fin des Empires (1645-1918), in Histoire de l’Adriatique, sur la direction de P. Cabanes, Paris, Seuil, 2001, p. 313-505.
presentato una specie di compagine unitaria, una regione nella regione adriatica, fondata sul rapporto politico e istituzionale, militare, econo-mico e culturale tra la metropoli e le sue sponde orientali: l’Istria , la Dalmazia e l’Albania 2. La prima, l’Istria, assai vicina alla Dominante, fu la sua periferia marittima, una parte che integrava la corona lagunare del Dogado; la seconda, la Dalmazia, fu sempre la spina dorsale della Re-pubblica, la via marittima verso il Levante, quasi un piccolo regno, dopo gli acquisti nuovo e nuovissimo del 1699 e del 1718; la terza, l’Albania, fu il proseguimento della Dalmazia e durò un secolo circa (1390-1500), riducendosi dopo la perdita di Dulcigno e Antivari nel 1573 alle Bocche di Cattaro, un’Albania simbolica3. Tutto il litorale adriatico orientale fu una frontiera per Venezia, nel senso più letterale del termine fronte, oltre il quale c’erano, dal Quattrocento in poi, gli Asburgo nell’ambito istria-no e gli ottomani in quello dalmata, con i quali il confronto fu militare e diplomatico. Le città dell’Adriatico orientale, da Capodistria a Parenzo, Rovigno e Pola, da Zara a Spalato e Cattaro, furono i gangli vitali del sistema, delle piccole Venezie.
Si è scritto molto in termini di istituzioni, storia politica e mi-litare, situazioni sociali. Meno, sicuramente non abbastanza, per quan-to riguarda la vita religiosa e civile, che fu espressione di una cultura popolare pressoché simile tra Venezia, metropoli, e le città dell’Istria e della Dalmazia. Molto c’è da fare ancora, in senso comparativo, su un
2 E. IVETIC, Venezia e l’Adriatico orientale: connotazioni di un rapporto (secoli XIV-XVIII), in Balcani occidentali, p. 239-260; B. ARBEL, Colonie d’oltremare, in Storia di Venezia, vol. 12, p. 947-985; IDEM, Venice’s maritime empire in the Early Modern period, in A companion to Venetian history 1400-1797, ed. by E.R. Dursteler, Leiden-Boston, Brill, 2013, p. 125-254.
3 Sull’Istria cfr. M. BERTOŠA, Mletačka Istra u XVI i XVII stoljeću [L’Istria veneziana nei secoli XVI e XVII], Pola, 1986; M. Bertoša, Istra: doba Venecije (XVI.-XVIII. stoljeće) [Istria: epoca veneta (XVI-XVIII secolo], Pola, 1995; E. IVETIC, Oltremare. L’Istria nell’ultimo dominio veneto, Venezia, Istituto ve-neto di scienze, lettere ed arti, 2000; IDEM, L’Istria moderna 1500-1797. Una regione confine, Sommacam-pagna Verona, Cierre, 2010. Sulla Dalmazia: M. BERENGO, “Problemi economico-sociali della Dalmazia alla fine del Settecento”, Rivista storica italiana, 66/4 (1954), p. 460-510; Š. PERIČIĆ, Dalmacija uoči pada Mletačke Republike [La Dalmazia nell’imminenza della caduta della repubblica di Venezia], Zagabria, 1980; M. JAČOV, Le guerre veneto-turche del XVII secolo in Dalmazia, Venezia, Società dalmata di Storia patria, 1990; I. PEDERIN, Mletačka uprava, privreda i politika u Dalmaciji (1409. - 1797.) [L’amministrazione, l’economia e la politica veneziana in Dalmazia (1409-1797)], Dubrovnik-Ragusa, 1990; F. VENTURI, Set-tecento riformatore, vol. V/2, Repubblica di Venezia, 1761-1797, Torino, Einaudi, 1990; F. M. Paladini, “Un caos che spaventa”. Poteri, territori e religioni di frontiera nella Dalmazia della tarda età veneta, Venezia, Marsilio, 2002; J. VRANDEČIĆ, M. BERTOŠA, Dalmacija, Dubrovnik i Istra u ranome novom vijeku [La Dalmazia, Ragusa e l’Istria nell’alto medioevo], Zagabria, 2007 (Hrvatska povijest u ranome novom vijeku /Storia della croazia nell’alto medioevo/, vol. 3); T. MAYHEW, Dalmatia between Ottoman and Venetian Rule: Contado di Zara 1645-1718, Roma, Viella, 2008; S. K. SANDER-FAES, Urban elites of Zadar. Dal-matia and the Venetian Commonwealth (1540-1569), Roma, Viella, 2013.
tema centrale, quello delle confraternite, le scuole laiche che, certo, ac-comunano un po’ tutto il mondo cattolico, soprattutto nel Mediterraneo, ma che, osservate secondo la prospettiva veneziana, istriana o dalmata, colpiscono per la loro forte diffusione sia in ambito urbano sia, nel caso istriano, nei contadi, e in quello dalmata, sulle isole4.
I secoli XIII-XV rappresentano un periodo centrale per ogni ri-flessione in merito allo sviluppo iniziale di queste istituzioni, che nel caso dell’Istria e della Dalmazia vanno messe in relazione con le corpo-razioni artigianali presenti nelle città della costa sin dall’alto medioevo, se non da prima5. La ricerca storica ha molto da fare in questa direzio-ne. Per quanto le fonti siano poche, c’è da confrontare le situazioni di Venezia con quelle degli acquisti in Dalmazia (Zara, Ragusa) e poi in Istria (Pirano, ad esempio), di cui abbiamo qualche documentazione. La confraternita si è rivelata, mi pare, come uno strumento di uniformazio-ne, forse omologazione della vita sociale e religiosa tra le due sponde dell’Adriatico; fu un elemento imprescindibile di quel costrutto concet-tuale e reale che fu la civiltà di Venezia e che, nella sua essenza, tende a sfuggirci, anche perché incentrata sul mare e sulle connessioni che solo un mare chiuso come l’Adriatico poteva offrire.
In questa sede, non posso che limitarmi a un rapido cenno a quanto riscontrato in altri miei studi sull’Istria in età moderna e alle possi-bilità di ricerca in Dalmazia, sempre per i tardi secoli veneti6. Sono secoli ampiamente documentati, che rendono l’idea di quanto pregnante fosse la presenza della scuola laica nella vita sociale dell’Adriatico orientale.
Ciò che colpisce nel caso istriano, ma vale pure per la Dalmazia dell’acquisto vecchio, è dunque l’estrema numerosità delle scuole laiche,
4 F. ORTALLI, Per salute delle anime e delli corpi: scuole piccole a Venezia nel tardo Medioevo, Venezia, Marsilio, 2001; E. IVETIC, “Religione ed economia: la diffusione delle confraternite laicali nell’I-stria dell’ultimo dominio veneto”, in L’area alto-adriatica dal riformismo veneziano all’età napoleonica, a cura di F. Agostini, Venezia, Marsilio, 1998, p. 449-471.
5 Sulle confraternite: A. TORRE, Il consumo di devozioni. Religione e comunità nelle campagne dell’ancien regime, Venezia, Marsilio, 1995; N. TERPSTRA, Lay confraternities and civic religion in Re-naissance Bologna, Cambridge, Cambridge University Press, 1995; G. ORTALLI, Per salute delle anime. Inoltre: The politics of ritual kinship. Confraternities and social order in early modern Italy, ed. by N. Terpstra, Cambridge, Cambridge University Press, 2000; Sociability and its discontents: civil society, social capital, and their alternatives in Late Medieval and Early Modern Europe, ed. by N.A. Eckstein, N. Terpstra, Turnhout, Brepols, 2009; Brotherhood and boundaries, a cura di S. Pastore, A. Prosperi, N. Terpstra, Pisa, Edizioni della Normale, 2011; Faith’s boundaries. Laity and clergy in early modern confraternities, ed. by N. Terpstra, A. Prosperi, S. Pastore, Turnhout, Brepols, 2012.
che proprio nel Settecento raggiunsero il culmine come istituzione e im-patto sociale, con una forte partecipazione di ogni ceto, di tutta la popo-lazione. Si può ipotizzare una prima espansione nel numero delle scuole laiche nel Quattro e Cinquecento; una stasi verso la fine del Cinquecento, poi una seconda espansione nel Seicento, dopo la pestilenza del 1630-317. Nell’Istria veneta si nota un incremento da 465 a quasi 600 unità in soli due decenni, tra il 1675 e il 1695. Si ebbero molte nuove confrater-nite a Capodistria, a Muggia, a Cittanova, Parenzo e Dignano, mentre in altri posti la situazione rimase più stabile. Seguirono alcuni decenni di stasi, tanto che nel 1741 troviamo per gli stessi luoghi 604 confraternite8. Verso il 1770 sul totale della provincia potevano esserci circa 700 scuole laiche. Si era nel pieno di un’espansione demografica, ma il numero delle scuole rimase invariato fino agli anni Novanta del Settecento, quando, in concomitanza con crisi cerealicole e produttive, la loro numerosità iniziò a scemare, scendendo sotto le 500 unità, precisamente a 470 nel 1806, l’anno precedente alla loro soppressione9.
Al di là della parabola evolutiva, ciò che impressiona è la ca-pillarità del modello che aveva investito gli ambienti non solo della pro-vincia veneta ma di tutta la regione, a prescindere dai confini politici, dai comuni, contadi o feudali, dalle strutture economiche o dalle appar-tenenze etniche. Capillarità e trasversalità. Le confraternite si incontra-vano lungo la costa e sulle pendici del Carso, in castelli e villaggi, in comunità romanze e slave10. Le circa 700 scuole laiche verso la metà del Settecento, su una popolazione di circa 76.000 abitanti, significava una densità altissima, una confraternita ogni 104 abitanti (compresi i bambi-ni), con una distribuzione di 3,8 confraternite per località, dalle città più importanti alle ville più piccole. Considerando che la popolazione ma-schile attiva era intorno ai 28.000 individui verso il 1766, ne deriva un rapporto di 38 adulti maschi per ogni unità; e dato che una scuola laica era mediamente formata da 10-20 soci, ne consegue che era coinvolta tutta la forza lavoro della provincia veneta11. Calcolando anche le con-fraternite dell’Istria asburgica, dove, pur mancando stime complessive,
7 IBIDEM. 8 IBIDEM.
9 E. IVETIC, “Religione ed economia”, cit., p. 449-453. 10 IDEM, L’Istria moderna, pp. 133-134.
si presume che fossero quasi un centinaio nel Settecento, si giunge ad un totale di 800 confraternite nella penisola12. Una così densa presen-za di confraternite sul territorio non si riscontra nei paesi vicini, nella Carniola, di là dal Carso, o nel Friuli13; come detto, ci sono similitudi-ni con la Dalmazia dell’acquisto vecchio e con Venezia e il Dogado14. Non è esagerato pensare che una concentrazione di confraternite di siffatte proporzioni, come nel caso istriano, fosse abbastanza ecceziona-le nell’Europa cattolica, o nel Mediterraneo cattolico. Le confraternite furono abolite, si sa, con decreto napoleonico nel 1807, lasciando un grande vuoto sul piano delle risorse nelle campagne istriane. Il ripristino dell’istituzione nel 1815-20 non fu sufficiente per rilanciare il modello nella prima metà dell’Ottocento. Le proporzioni settecentesche, in fatto di diffusione, non furono più raggiunte15.
Nonostante la numerosità, ogni confraternita aveva una sua spe-cificità16. Lungo la costa, nelle città, c’erano le confraternite secondo i mestieri: le tradizionali san Pietro per i pescatori, san Nicola per i ma-rittimi, san Martino per i coltivatori dei poderi subito fuori le mura. La scuola del Santissimo sacramento era considerata in genere confraternita “di tutti”. Altre confraternite erano in sostanza club di notabili, e lo si riscontra nelle città nobili di status (sedi di diocesi), ma decadute de-mograficamente, come Cittanova e Parenzo; altre ancora erano trasver-sali alla logica del ceto: sempre a Cittanova c’erano confraternite i cui membri erano sia nobili sia popolani17. Lo status sociale, con funzioni di distinzione nella comunità e nella ritualità, diventava evidente durante le processioni e le rogazioni. Di grande impatto erano le processioni a Rovigno, dove un posto d’onore spettava alle confraternite di san
Nico-12 IBIDEM.
13 Per la Carniola e la Stiria meridionale: J. MAČEK, “Eisernes Vieh, im Eigentum einiger unter-steirischen und kärtnerischer Kirschen und frommen Bruderschaften von 17. bis 19. Jahrhundert” , Studia Historica Slovenica. Časopis za humanistične in družboslovne študije, 4 (2004), p. 33-58; M. AMBROŽIČ, “Pregled predjožefinskih bratovščin na slovenskem Štajerskem” [Rassegna delle confraternite pregiuseppine nella Stiria slovena], Acta historiae artis Slovenica, 19 (2014), p. 17-52. Per il Friuli: A. FORNASIN, La Patria del Friuli in età moderna. Saggi di storia economica, Udine, Forum, 2000; A. CEDARMAS, La morte non è uguale per tutti. Usi funebri e sensibilità religiose in Friuli nell’età moderna e contemporanea, Udine, Istituto Pio Paschini, 2010.
14 E. ORLANDO, Altre Venezie. Il dogado veneziano nei secoli XIII e XIV (giurisdizione, territorio, giustizia e amministrazione), Venezia, Istituto veneto di scienze lettere ed arti, 2008.
15 E. IVETIC, “Religione ed economia”, p. 465-471. 16 A. TORRE, op. cit.
lò dei marinari e di san Pietro dei pescatori. Ogni confraternita, è noto, aveva un proprio luogo, la cappella, l’altare o la chiesetta. Ogni località aveva una propria geografia delle confraternite, in fatto di immobili e ri-sorse. Una profonda vocazione associativa coinvolgeva, insomma, vasti strati della popolazione; nelle confraternite era chiamato in pratica ogni capofamiglia, pure le donne, come si riscontra nei grossi centri rurali a ridosso della costa, a Dignano e a Valle18.
Non solo. L’istituzione fu accettata da chi arrivò come colono dalla Dalmazia interna, dalla Bosnia, dalle Bocche di Cattaro, in gene-re dalle tergene-re ottomane. Le poche fonti disponibili indicano che fu un processo graduale, di adeguamento, da parte degli abitanti novi a que-ste forme associative in gran parte ignote sui rilievi dinarici. Prendiamo l’esempio della villa di Altura, presso Pola19. La piccola colonia giunta ivi dalla Dalmazia verso il 1650 aveva inteso l’Istria come una dimora provvisoria, tanto che un nutrito gruppo di famiglie espresse l’intenzione di ritornare nella terra d’origine, a Zemonico, presso Zara, con la fine della guerra di Candia, nel 1670. I legami con i parenti non s’erano scissi e una parte del gruppo effettivamente fece ritorno. Sembrava quindi una comunità restia ad integrarsi nella penisola. E difatti soltanto verso il 1700-1720 osserviamo l’introduzione di due confraternite laiche nella comunità, nonostante il fenomeno delle scuole laiche fosse presente, nel Seicento, in modo capillare nella Polesana, in particolare nella vicina Sissano, abitata da popolazione di lingua istro-veneta e istriota. Dunque per un cinquantennio circa ad Altura si è preferito mantenere come isti-tuzioni fondamentali e luoghi d’aggregazione sociale la parrocchia e il consiglio dei capifamiglia, si è evitato la scuola laica. Poi la svolta; con l’avvicinamento quasi in toto agli usi locali20. Tanto che nel 1741 si con-tavano sei confraternite. Altura, a quel punto, non differiva dai villaggi vicini. Dietro al cambiamento potevano sì esserci motivazioni economi-che, ma non da meno ragioni culturali. Nonostante la memoria delle ori-gini, la lingua, gli usi, i costumi, dopo un periodo di adattamento si sono accolte le modalità di vita della terra scelta come dimora definitiva. In questo processo, c’è da dire, ogni comunità ha avuto una sua vicenda di
18 IDEM, Oltremare, cit., p. 232-233. 19 IDEM, L’Istria moderna, cit., p. 121. 20 IBIDEM, p. 122.
adeguamento. Ad ogni modo, il moltiplicarsi del numero di confraternite in un villaggio fondato sei-sette decenni prima può essere ritenuto un chiaro indice di inserimento nella situazione istriana. Mi spingerei a dire che la diffusione di confraternite tra le comunità di morlacchi di origine dinarica rappresenta un indice di “istrianizzazione” di esse, cioè di una loro integrazione culturale nel contesto dell’Istria21.
Questo aspetto andrebbe approfondito, anche perché l’alta nu-merosità delle confraternite per villaggio si rileva pure nella parte au-striaca della penisola, nella contea di Pisino, dove i coloni morlacchi si sono pienamente adattati al contesto linguistico di riferimento, al dialetto croato locale, in sostanza hanno cambiato parlata; cosa che non avvenne nella Morlacchia dell’Istria veneta, dove la parlata di origine dalmata si è conservata. In altre parole, ci furono due percorsi diversi di inserimento nel tessuto territoriale e sociale dei coloni, a seconda se Istria veneta o Istria austriaca, ma in entrambi i casi, e a prescindere da dinamiche loca-li, la confraternita come istituzione ebbe ampio successo, fu ampiamente accettata22. Rimane perciò da ricostruire come il modello della scuola laica si sia propagato dagli ambienti urbani della costa, a partire dalle piccole Venezie ai contadi e poi all’interno della regione, di come abbia investito popolazioni apparentemente diverse, attraverso un lungo perio-do, dal Cinquecento al Settecento.
Perché le confraternite ebbero un successo così ampio? La scuola appare, soprattutto nelle fonti venete, come piccola cassa a cui attingere denaro in caso di bisogno e non raramente essa si presentava come vera e propria istituzione creditizia. Le ragioni vanno cercate nella stessa struttura economica del paesaggio istriano. Per integrare le entrate si era costretti a cercare, sotto forma di livello affrancabile (“francabile”) da privati o su beni ecclesiastici, altri frammenti di terra arativa, o un fi-lare di viti, oppure olivi sparsi. Le confraternite servivano dunque come ammortizzatore economico nel sistema produttivo istriano23.
Nel corso del Seicento, e nel primo Settecento, la rinnovata ri-chiesta di mezzi finanziari non trovò risposta nei due deboli e decentrati
21 IDEM, Un confine nel Mediterraneo. L’Adriatico orientale tra Italia e Slavia (1300-1900), Roma, Viella, 2014, p. 127-137.
22 IBIDEM.
monti di pietà di Capodistria e Pirano e nemmeno poté bastare il prestito privato24. Non c’era (non poteva esserci) un giro di capitali, quanto una miriade di piccoli crediti, operazioni di poche centinaia di lire, il valore di un campo, di una vigna, di qualche olivo. Da qui la necessità di unirsi, di accumulare beni in piccole corporazioni, tra laici25. Da qui anche il fatto che un contadino, un popolano poteva essere membro di più con-fraternite, da due a quattro. Spesso, in caso di indebitamento, il podere era ceduto in proprietà alla confraternita che a sua volta lo cedeva, con il contratto del “livello francabile” al confratello coinvolto26. Potevano essere la casa o più poderi, da qui la partecipazione, o, meglio, l’investi-mento, in più confraternite. Quanto questo mondo, fra sacro e profano, fosse legato al clero, si intende i cappellani, il cosiddetto clero proletario, si deve ancora precisare. Sembra un mondo decisamente laico; in effetti, fu espressione di quella religione civile su cui si è soffermata di recente molta storiografia27. Fu religione civile e, aggiungerei, nel caso dell’I-stria, economia cooperativa. È chiaro, ad ogni modo, che l’antico regime in Istria è difficilmente pensabile senza considerare le confraternite.
Spostandoci in Dalmazia c’è da precisare che nella Dalmazia dell’acquisto vecchio (quella del periodo 1409-1699) la confraternita fu un’istituzione presente in modo diffuso, un modello di socialità tra-versale fra isole, città e pochi contadi, mentre nella Dalmazia interna, nel mondo delle montagne, mondo ottomano dal 1540 al 1699, essa era del tutto assente. La situazione nell’acquisto vecchio, nelle città (che erano Zara, Sebenico, Traù, Spalato e Cattaro), non era diversa rispetto all’Istria veneta. Anche qui i popolani si distinguevano tra loro a secon-da delle attività, dell’essere contadino, pescatore, marinaio, calzolaio, bottegaio e così via. Il popolo si raggruppava per contrade e per con-fraternite. Anche qui la confraternita poteva fare riferimento alla chiesa parrocchiale, a una chiesetta o semplicemente ad un altare secondario, esprimeva una religione civile ed era la più diffusa forma di vita sociale. Come in Istria, così in Dalmazia, la grande concentrazione di chiese mi-nori (come di altari), antiche e poi restaurate oppure costruite ex novo nel
24 IBIDEM.
25 IDEM, “Religione ed economia”, cit., p. 449-471. 26 IDEM, L’Istria moderna, cit., p. 73-81.
corso del Sei-Settecento, fu il risultato della grande diffusione delle con-fraternite laiche in quei secoli28. Quasi tutte le confraternite avevano una propria cassa e un registro dove venivano iscritti i beni immobili (case, terreni, vigne, olivi). Anche qui c’erano confraternite con una vocazione